Il caso Biermann

Il caso Biermann PROBLEMI DALL'EST PER IL PCI Il caso Biermann Roma, dicembre. Le notizie in arrivo dall'Est ronzano con suono molesto nei corridoi delle Botteghe Oscure. Il cantautore Wolf Biermann espulso dalla Germania orientale. Il filosofo Robert Havemann agli arresti domiciliari. Gli ex collaboratori di Dubcek aggrediti nelle loro case a Praga. Comitati di protesta (anzi di « resistenza socialista » come dice lo storico Michnik) nascono in Polonia. E riprende con virulenza la polemica contro il cosiddetto « eurocomunismo »: stavolta è di scena non il solito giornalista o ideologo dell'ortodossia, ma un segretario di partito, il bulgaro Zivkov. Sappiamo che Giancarlo Pajetta è in partenza per Mosca. La sensazione che si coglie nella direzione del pei è che il nuovo corso dei partiti comunisti occidentali stia portando scompiglio nei Paesi dell'Est. Lo voglia o no — ed è presumibile che non lo voglia — con le promesse agli italiani (democrazia, libertà), Berlinguer finisce con l'incoraggiare anche i dissidenti dell'Est, gli scontenti, i contestatori come Biermann e Havemann, e così irrita i governi e i partiti al potere. Diventa sempre più difficile confezionare giorno per giorno quella delicata miscela di solidarietà e di dissenso con cui il pei giustifica la sua appartenenza al movimento comunista internazionale. Potrà durare? L'eurocomunismo, questa nebulosa opaca e forse inesistente, è diventata un fattore destabilizzante per i regimi dell'Est. La radio americana Free Europe, che negli Anni 50 incitava gli ungheresi alla rivolta, oggi si limita a divulgare i discorsi di Berlinguer o dello spagnolo Cardilo. E' un bombardamento a tappeto, in lingua russa, ceca, bulgara, polacca, che annulla di fatto le censure e i silenzi della stampa comunista locale. Può essere un sintomo di qualche interesse il fatto che il Defense College della Nato, ossia l'accademia di studio dell'Alleanza atlantica, che ha sede a Roma, abbia invitato recentemente come conferenzieri due personaggi così diversi come il signor Kevin Devlin, uno dei dirigenti di radio Free Europe, e il giornalista e storico comunista Giuseppe Boffa. E il bello è che i due, con gran sorpresa dei militari della Nato, non hanno poi detto cose granché diverse sull'eurocomunismo. Sul tema dei rapporti tra eurocomunismo e regimi dell'Est abbiamo intervistato il professor Lucio Lombardo Radice, membro del comitato centrale del pei e buon conoscitore della cultura del dissenso. Volevamo chiarire un piccolo mistero. E' da oltre dieci anni che Wolf Biermann componeva canzoni di protesta. Eppure solo ora, autunno 1976, è stato espulso dalla Germania orientale. E' da almeno tre lustri che Robert Havemann criticava il regime nelle interviste a giornalisti stranieri. Eppure solo ora, autunno 1976, è stato posto agli arresti domiciliari. Entrambi, ecco forse la novità, hanno sbandierato stavolta, facendole proprie, le tesi del pei. — Professore, è fondato il sospetto che Biermann e Havemann siano le prime «vittime» dell'eurocomunismo? « In un certo senso, sì. Oggi non si può più concepire l'eurocomunismo come una variante regionale di una strategia che resta quella codificata dal marxismo ufficiale dei Paesi socialisti. In verità è lo scontro di due prospettive generali. Si tratta della questione del rapporto tra socialismo e libertà, che si pone negli stessi termini qualitativi tanto nei Paesi socialisti quanto nei Paesi capitalisti ». — Dunque, sta saltando l'armistizio concordato a Berlino nella conferenza dei partiti comunisti a fine giugno? « Il recente articolo del compagno bulgaro Zivkov dimostra che la linea del silenzio, finora adottata dai Paesi socialisti, era insostenibile. Questa linea presupponeva che si potesse fare una politica comunista nell'Europa occidentale senza con ciò criticare la gestione del socialismo nell'Europa dell'Est. L'accordo tacito, in altre parole, poteva essere questo: voi vi fate i fatti vostri e non ci facciamo i nostri». — E invece stanno rivenendo fuori le divergenze? « Di fatto è inevitabile che l'opposizione socialista ai governi socialisti dell'Est (per esempio, Havemann nella Rdt e Medvedev nell'Urss) si colleghi quantomeno idealmente con l'eurocomunismo. E' altrettanto inevitabile che il « modello » italiano, francese o spagnolo diventi un problema politico per i partiti comunisti al governo nell'Est europeo. I fatti sono sempre più forti dei patti e della buona volon¬ siErloeBd tà. Berlinguer, nei suoi discorsi, si occupa della rivoluzione italiana e europeo-occidentale. Eppure questi discorsi diventerebbero voci di opposizione se tradotti e diffusi a Mosca, Berlino Est, Varsavia ». — Come spiega che la Rdt, ossia il Paese più forte e più efficiente dell'Europa orientale, abbia tanta paura di un Biermann o di un Havemann? « Nella Rdt l'avvento del potere socialista ha favorito un decollo tecnico-economico e la diffusione di un'elevata cultura di massa, soprattutto nel campo scientifico. Tuttavia il suo sistema politico intralcia e impedisce oggi un ulteriore progresso della società. Bisogna passare da strutture autoritarie, monolitiche e centralizzate a strutture democratiche e articolate ». — Facile a dirsi: ma come si potrà realizzare questo passaggio? « Io dico che si può. Tranne pochi specialisti, nessuno conosceva il nome di Alexander Dubeck alla fine del 1967. Eppure questo sconosciuto, che stava dentro l'apparato, avrebbe proposto di lì a poco un nuovo modello di socialismo... ». — Che è finito come è finito. Non è una lezione? « Lo sappiamo come è finita. E' stato un formidabile errore storico da parte dell'Urss. Però una svolta è ancora possibile. In Paesi molto forti, come per esempio nella Rdt, possono avvenire cambiamenti in forme nuove, intermedie, tali da sollecitare a loro volta una evoluzione anche nell'Urss ». — Professore, perché il pei critica i singoli episodi (Biermann, Sacharov), ma non analizza mai il sistema politico che li determina? « Ritengo che il pei si renda conto che è necessario un approfondimento teorico e sistematico su questi problemi. Bisogna inquadrare il particolare nel generale e questo è stato fatto finora in maniera insoddisfacente. Noi riteniamo però che la vera discussione si faccia con l'azione. Solo quando noi italiani e europei costruiremo un socialismo che è "un di più di democrazìa", come diceva Togliatti, solo allora avremo davvero criticato le posizioni del socialismo autoritario ». — Norberto Bobbio le chiederebbe: ma è davvero socialismo quello esistente nell'Est? « Io lo definisco un socialismo di Stato, che è una variante del socialismo. Il compagno Berlinguer mi ha detto che giudica insoddisfacente la mia formulazione, ma per il momento non ne trovo una migliore ». — Professore, quanti mem¬ bri del Comitato centrale del pei condividono le cose che lei mi sta dicendo? « Non voglio essere presuntuoso, parlo a titolo personale, ma penso che tutti siano d'accordo con me ». — Nei comunicati ufficiali non ho mai Ietto l'espressione « socialismo autoritario », da lei usata: come mai? « Non dimentichi che un grande partito come il pei ha due aspetti: uno di partito e uno, se così possiamo dire, di Stato. Bisogna stare sempre attenti che il secondo non annulli il primo, ma bisogna rendersi conto che deve esistere anche il secondo: il momento diplomatico, statuale ». — Perché Berlinguer non ha inviato un messaggio di protesta ai dirigenti della Rdt per la vicenda Biermann-Havemann? « Appunto, perché lui è un po' il capo dello Stato all'interno del pei ». Gaetano Scardocchìa