Tanti socialismi riuniti in Spagna

Tanti socialismi riuniti in Spagna Tanti socialismi riuniti in Spagna L'eco che ha avuto e che continua ad avere il congresso del partito socialista operaio in Spagna, che vede riuniti alcuni dei maggiori capi storici e attuali del socialismo europeo, tra i quali Pietro Nenni, simbolo dell'unità fra la vecchia Spagna e la nuova, è una conferma della straordinaria vitalità di quegli ideali e di quelle forze che al socialismo, come dottrina o concezione della vita, s'ispirano, e verso il socialismo, come nuovo modello di società, si muovono. Nato come movimento europeo, il socialismo è diventato, anche se in diverse forme, aspetti e prospettive (in questo contesto non distinguo il socialismo dal comunismo), un movimento extra-europeo, è diventato anzi, più ancora che nel mondo occidentale (si pensi all'inesistenza del socialismo come fenomeno politicamente rilevante negli Stati Uniti), l'ideale umano e la proposta politica in cui si riconoscono i movimenti di liberazione, vittoriosi o vinti, già giunti al potere o in lotta per conquistarlo, del Terzo Mondo. Dovunque sono crollati gli imperi coloniali, dovunque cadono governi dispotici, i liberati chiedono non solo democrazia, ma democrazia più socialismo. In un secolo il socialismo è diventato, nonostante gli ostacoli che ha dovuto superare, la grande offensiva di tutti i fascismi e di tutti i regimi militari e polizieschi del mondo, un movimento universale, anzi, piaccia o non piaccia, l'unico movimento veramente universale di questa seconda metà del secolo ventesimo. Ma che cosa è il socialismo? Una domanda come questa, quando la parola è sulla bocca di tutti, quando non c'è discorso politico che non concluda nel chiedere più socialismo o meno socialismo, quando uno dei problemi che interessano maggiormente gli ideologi di tutte le parti politiche è se siamo o non siamo in una fase di transizione al socialismo, e quali siano gli « elementi di socialismo » che si possono introdurre in una società capitalistica ecc., può sembrare insolente. Eppure è una doman- da seria, inevitabile, e anche imbarazzante. Quanti sono i socialismi oggi nel mondo? Il socialismo, dicevo, è diventato un fenomeno universale, ma universalizzandosi ha perduto ogni determinatezza specifica: è diventato un immenso genus che comprende una miriade di species. Un tempo, quando per socialismo s'intendeva soprattutto una dottrina, un sistema d'idee (prima dell'avvento di regimi che si autoproclamano socialisti), i dotti si divertivano a elencare le innumerevoli definizioni di socialismo: mi pare di ricordare che Sombart ne elencasse duecentosessanta. E' forse esagerato affermare che oggi, dopoché il socialismo è diventato, da dottrina, movimento o addirittura regime, vi sono duecentosessanta fra movimenti e regimi socialisti? (I partiti socialisti, poi, sono molti di più). Prima del grande scisma che ha separato i partiti comunisti dai socialisti, una caratterizzazione soddisfacente del socialismo era più facile da trovare: tralasciando la dispula sui mezzi e sui fini, che vi è sempre stata e vi è tuttora, si poteva identificare il socialismo con il programma politico del movimento operaio. Socialismo e movimento operaio sono cresciuti ad un tempo. Dico che questa definizione di socialismo era la più facile perché ne cercava l'elemento specifico in un soggetto storico (la classe operaia appunto) che è qualche cosa di ben più corposo che un sistema d'idee. I due grandi partiti socialisti del principio del secolo, il partito laborista inglese e la socialdemocrazia tedesca, erano i partiti della classe operaia: quale fosse il fine prossimo e remoto, ciò che permetteva di definire immediatamente il socialismo sia da parte di coloro che l'avversavano sia da parte di coloro che vi si riconoscevano era un movimento, un'organizzazione, un corpo visibile come un partito: non un fine appunto, sempre vago e interpretabile in mille modi diversi, ma, per riprendere la famosa distinzione di Berstein, se pure utilizzandola diversamente il movimento. Oggi questa definizione attraverso il movimento operaio sarebbe limitativa e quindi fuorviarne. Sono entrati a far parte del movimento per il socialismo le masse contadine dei paesi meno sviluppati, molte frange di piccolo-borghesi nei paesi più sviluppati, gli emar- ginati, gli esclusi il sottopro-, letarialo, avanguardie di studen-1 ti, le punte avanzate dei mo- vimenti femminili Quel processo di universalizzazione del socialismo, di cui ho parlato, dipende in gran parte dal sempre maggior numero di ceti, classi, gruppi sociali, che aspirano, più o meno consapevolmente, a un cambiamento, a una grande riforma, a una trasformazione della società, a una vera e propria svolta nel corso della storia umana, che continua a chiamarsi, in senso eulogico, socialismo, nonostante i contenuti nuovi di cui il vecchio concetto si è venuto arricchendo, nonostante il contrasto sulle tattiche e sulle strategie che divide anche aspramente i « soggetti storici » che del socialismo si considerano di volta in volta gli esclusivi banditori, nonostante le differenze insormontabili su ciò che dovrebbe servire a contraddistinguere il socialismo da qualsiasi altro ideale politico, cioè sul modo d'intendere la futura società socialista. Se oggi qualcuno mi domandasse che cosa accomuna i vari socialismi non tenterei di rispondergli avviando un'ennesima disputa sui mezzi e sui fini. Soprattutto non mi arrischierei a descrivere una società che si possa chiamare a buon diritto (ma con quale criterio?) socialista. Non saprei da che parte (o più concretamente da quale dei mille autori che ne hanno parlato) cominciare. Non saprei dire in base a qual titolo una società sia più socialista di un'altra. L'unica risposta che mi sento di dare è che socialismo in tutte le sue diverse e anche contrastanti incarnazioni, significa prima di tutto una cosa: più eguaglianza. Sembra una risposta un po' povera. Eppure una delle poche cose che ho appreso dalla storia e dal colloquio attraverso i libri con uomini di tutti i tempi, è che una delle più grandi linee di divisione fra gli uomini nel loro atteggiamento verso i propri simili è quella che passa fra gli egualitari e gli inegualitari, cioè fra coloro che credono che gli uomini siano fra loro, nonostante le differenze, eguali, e coloro che credono che siano, nonostante le somiglianze, diseguali, oppure fra coloro che ritengono le diseguaglianze sociali ingiuste perché gli uomini (e ora, dopo le richieste dei movimenti femministi, anche le donne rispetto agli uomini) sono più eguali che diseguali, e coloro che ritengono ogni processo di accorciamento delle distanze fra classi e ceti ingiustificato, perché gli uomini (e ancor più le donne rispetto agli uomini) sono più diseguali che eguali. Semplifico, lo so, tanto da parere uno che invece di spaccare il filo d'erba in quattro, divide il mappamondo in due emisferi; ma proporrci di chiamare liberale colui che tende a mettere in evidenza non ciò che gli uomini hanno in comune, in quanto uomini, ma ciò che hanno di diverso, in quanto individui (donde la frequente riduzione del liberalismo a individualismo) ; socialista colui che tende a mettere in evidenza non ciò che distingue gli uomini in quanto individui ma ciò che hanno in comune in quanto uomini (donde il connubio di socialismo, oltre che con le differenti forme di egualitarismo, con il solidarismo, con il comunitarismo, con il collettivismo ecc.). Da un punto di vista astratto, cioè prescindendo da un preciso contesto storico, l'un sistema d'idee vale l'altro: fattualmente è vero tanto che gli uomini sono eguali, per esempio di fronte alla morte, quanto che sono diversi, per esempio rispetto al modo di morire, ragion per cui se è vero che tutti gli uomini muoiono è anche vero che tutti muoiono in modo diverso. Ma in un detcrminato contesto storico, dove ci sono dominanti e dominati, oppressori ed oppressi, sfruttatori e sfruttati, i due sistemi d'idee non sono più indifferenti ed equivalenti. L'ideologia di coloro che stanno in alto è generalmente inegualitaria, quella di coloro che stanno in basso generalmente egualitaria. Dicendo « più eguaglianza », dico anche più libertà. Ed è per questo che io personalmente ritengo l'ideale socialista superiore a quello liberale. La prima ingloba la seconda e non viceversa. So che generalmente si sostiene il contrario, ma anche se il discorso dovrebbe a questo punto essere molto lungo, tento di deviar l'acqua verso il mio mulino almeno con due argomenti. Primo: la dottrina liberale classica ha sempre sostenuto che la funzione dello Slato fosse quella di garantire a ogni individuo non solo la libertà ma la egual libertà, cioè ha lasciato intendere che non potesse essere considerato giusto un sistema in cui gl'individui fossero, sì, liberi, ma non fossero egualmente liberi (anche se poi per eguaglianza ha seni- - . è soltant0 re8uagiian ,„ za formale o, nelle forme più avanzate, l'eguaglianza delle opportunità). Secondo: la maggior ragione di mancanza di libertà dipende dalla diseguaglianza di potere, cioè dal fatto che vi sono alcuni che hanno più potere (economico, politico, sociale) di altri. Pertanto l'eguaglianza del potere è una delle maggiori condizioni per l'accrescimento di libertà. Mentre non avrebbe alcun senso dire che senza libertà non vi è eguaglianza, è perfettamente legittimo dire che senza eguaglianza (rispetto al potere reciproco) non vi è libertà. Norberto Bobbio

Persone citate: Berstein, Norberto Bobbio, Pietro Nenni, Sombart

Luoghi citati: Spagna, Stati Uniti