Dattilografe, ragionieri e detenuti per rilanciare la commedia a episodi

Dattilografe, ragionieri e detenuti per rilanciare la commedia a episodi PRIME VISIONI SULLO SCHERMO Dattilografe, ragionieri e detenuti per rilanciare la commedia a episodi Basta che neri si sappia in giro, di Loy, Magni, Contentini, con Nino Manfredi, Monica Vitti, Johnny Dorelli. Italiano, a colori. (Cinema Gioiello e Nazionale). (a. v.) Film a episodi: stavolta ne sono riuniti tre, della durata di circa 30 minuti ciascuno. Il primo, Macchina d'amore, diretto da Nanni Loy, ha per ambiente una copisteria dove una dattilografa romantica (Monica Vitti) s'immagina d'esser lei la protagonista del copione che uno sceneggiatore arruffone (Johnny Dorelli) le detta a spron battuto. Per la giovane donna la breve evasione dal grigiore della vita quotidiana si conclude con la fine della dettatura. Il secondo racconto II superiore, firmato da Luigi Magni, è a sfondo carcerario. In un reclusorio una ribellione di detenuti si concreta nel sequestro d'un « superio¬ re », ossia un capo agente di custodia (Nino Manfredi) che è tenuto in ostaggio e minacciato di sodomizzazione se entro poche ore il carcere non sarà retto da un regolamento più liberale che tenga conto dei problemi sessuali. La piccola rivolta è domata, il carceriere ne esce indenne ma il suo comportamento lascia qualche perplessità. Argomento della novellina conclusiva (L'equivoco di Luigi Comencini), il qui-proquo in cui incappa un ragionierotto balbuziente, scapolo e aeromodellista (Manfredi), cosi sprovveduto da scambiare per la « squillo » attesa a domicilio una complessata maestrina esattrice di rate librarie (ancora la Vitti). I due s'intendono, lui perde la balbuzie lei la timidezza, finiscono sotto le lenzuola. Buoni registi impegnati di solito in opere più importanti, cercano di dare smalto, sapore e consistenza a un trittico un tantino fragile. Il bozzetto migliore è quello centrale, dove viene prospettata non male la condizione carceraria, mentre le figure principali e le altre di contorno escono dal macchiettismo per assumere qualche consistenza umana. Alla modestia narrativa della prima e della terza vicenda sopperisce il buon professionismo degli interpreti, quello di Monica Vitti soprattutto, nei due azzeccati ritrattini femminili. * * Lo stregone di città di Gianfranco Bettetini, con Giulio Brogi, Rada Rassimov, Ludi- I la Morlacchi. Italiano, a colori. Cine Arco-Ine. I (u. bz.) E' il film di un « uomo di televisione », prodotto dalla televisione, destinato alla televisione. E' nato tra il 1973 e il 1974, in un periodo in cui la Bai era lanciatissima sulla strada della produzione cinematografica (negli stessi mesi furono allestiti « Cartesius di Rossellini, « Roma rivuole Cesare » di Jancsò, « La rosa rossa » di Franco Giraldi, « Milarepa » della Cavani, « La porta sul buio » di Dario Argento, oltre al « Mose » di De Bosio e all'« Orlando furioso » di Ronconi). Prima ancora di arrivare sui teleschermi Lo stregone di città fu proiettato a Torino, alla Galleria d'Arte Moderna, nel corso della prima rassegna dei film televisivi organizzati in collaborazione tra il Comune, l'Aiace e il centro Tv torinese, un'inizia¬ tiva che poi non ebbe seguito per il rifiuto (romano) della Rai. In quell'occasione ci fu un dibattito cui partecipò il regista: c'erano parecchi giovani in sala e la discussione fu molto animata. In effetti è un film il cui scopo essenziale è quello di far discutere. La storia, incentrata su due donne, una sognatrice e una razionalista, che rievocano una « magica » figura di prete vissuto alla periferia di una grande città e considerato dalla gente semplice e superstiziosa quasi come uno stregone di villaggio, è piena di echi fascinosi e misteriosi, o di nodi da sciogliere con meditazione. Opera dura e austera cui s'adej gua l'asciutta recitazione di i Giulio Brogi, affiancato dalI l'inquieta Rassimov e dalla i tagliente Morlacchi. Monica Vitti

Luoghi citati: Roma, Torino