Contagio tedesco a Milano

Contagio tedesco a Milano Taccuino di Vittorio Gorresio Contagio tedesco a Milano Le Germanie — come giustamente le enumera Enzo Biagi — ci forniscono storie che mi sembrano esemplari circa i diversi modi di considerare la libertà di pensiero e di espressione. Il governo di una delle due, e precisamente quella orientale, ha privato della cittadinanza il compositore, poeta e cantautore Wolf Biermann reo di avere criticato con impertinenza ed ironia i burocrati dell'apparato comunista della Ddr, invocando l'avvento di un socialismo migliore. Nello stesso Paese, lo scienziato Robert Havemann (già condannato a morte da Hitler) è stato messo agli arresti domiciliari per aver deplorato, in una intervista concessa a Der Spiegel, i provvedimenti adottati dal governo contro Biermann. Nell'altra Germania l'indignazione è stata enorme, come è giusto, e come si è avuta anche nel resto dell'Occidente. Deve essere stato sull'onda di codesta indignazione che la Corte d'assise di Essen ha prosciolto l'ex militare tedescoorientale Werner Weinhold dall'accusa di duplice omicidio e del furto di tre autoveicoli in connessione con il tentativo, drammaticamente riuscito, di rifugiarsi nel territorio della Germania federale. Il furto è stato abbuonato in quanto compiuto in stato di necessità, e i due Vopos di guardia alla frontiera del vergognoso muro dì Berlino «non è da escludere — ha sancito la sentenza — che siano stati ammazzati da loro commilitoni mentre si dava la caccia al fuggiasco ». Il pubblico presente in aula ha applaudito, Werner Weinhold ha detto che se ha ucciso qualcuno ne è immensamente addolorato, e i giornali hanno scritto che egli aveva la febbre quando affrontò l'impresa della fuga: «Febbre, tensione nervosa e stato d'animo di chi sa di rischiare la vita per acquistare la libertà non potevano certo permettere al fuggitivo di calcolare ogni suo gesto, di imporsi un autocontrollo ». Da un punto di vista giudiziario o di stretto diritto sono considerazioni che appariranno poco plausibili se non incongrue, ma sul piano politico non si può negare peso all'incubo ossessivo del muro di Berlino dove sono installate mac- chine di morte, Todesautomaten che anche senza bisogno dell'intervento dei Vopos sono capaci di ammazzare uomini e donne, vecchi e bambini in tentativo di evasione. In altri termini, se la sentenza della Corte di Essen è aberrante, bisogna dire che l'aberrazione si diffonde per contagio tra l'una e l'altra delle Germanie. Un altro degli esempi che si possono fornire in proposito riguarda un nostro concittadino, lo scultore Giacomo Manzù, e per fortuna è quello che fra tutti è il meno drammatico. Non c'è difatti sparatoria, nel caso di Manzù; non c'è arresto come nel caso di Havemann, né esilio come in quello di Biermann: c'è solamente una dimostrazione di alta intolleranza ideologica, di violazione dei diritti della cultura, di oscurantismo, di ignoranza e così via: tutte pecche di cui la Germania occidentale è stata evidentemente contagiata dalla orientale. La municipalità di Muenster ha difatti revocato a Giacomo Manzù non la cittadinanza, ovviamente, ma l'incarico di eseguire una statua avendo accertato che Manzù è comunista. Grande scultore « ma » comunista, e quindi nel giudizio degli scabini di Muenster egli non poteva effigiare, come previsto nel bando del concorso da lui vinto, quel famoso cardinale Von Galen che ai tempi del nazismo ebbe il coraggio eroico di opporsi in ogni modo a lui possibile al regime hitleriano. Probabilmente gli scabini di Muenster ignoravano che lo scultore comunista Manzù è l'autore di una porta di bronzo nella basilica di San Pietro (la Porta della Morte) e di un bellissimo ritratto di Papa Giovanni. Sui suoi rapporti con le autorità vaticane, e in particolare sui suoi colloqui con Giovanni XXIII durante le sedute di posa per il ritratto, ha scritto un libro molto bene informato l'americano Bill Pepper, nostro collega in giornalismo. Non si pretende che gli scabini di Muenster abbiano letto il libro di Bill Pepper, né che siano compiutamente informati delle precedenti prestazioni di Manzù a vantaggio della Chiesa cattolica: l'ignoranza è un diritto che i pubblici amministratori sogliono difendere per se stessi con molta efficacia. Si potrebbe concludere scherzando sui soliti papisti più del Papa, ma la storia di Muenster si è riflessa in Italia in modo ancora più sconcertante. Piero Santerno su II Giornale nuovo di Milano ha espresso piena comprensione per la revoca di Muenster; un lettore del quotidiano ha scritto da Varese disapprovandola in nome dei diritti dell'arte che prevalgono sulle ragioni della politica contingente, e finalmente il direttore ha pronunciato la sentenza: « La lezione che la municipalità di Muenster ha inflitto a un nostro artista può essere interpretata in diversi modi. Io condivido l'interpretazione datane da Piero Santerno. La considero cioè una lezione di libertà ». L'affermazione mi sembra audace, di quelle che nessuna contorsione dialettica può rendere accettabili. Si sa che in nome della libertà si commettono molti delitti, come si diceva già ai tempi della Rivoluzione francese in cospetto della ghigliottina, e un delitto mi pare anche questa grottesca distorsione del significato di un fatto tristemente avvenuto in una delle due Germanie contagiata dall'altra. Si può anche capire che certe cose avvengano colà, contigue come sono le Germanie: ma che il contagio passi le Alpi e colpisca anche i nostri intellettuali è una constatazione che rattrista.