Il prigioniero di Varsavia

Il prigioniero di Varsavia Gierek, la crisi economica, gli intellettuali Il prigioniero di Varsavia Gierek è diventato prigioniero del suo stesso sistema. Le conseguenze si sono manifestate nel giugno scorso. Non è stato soltanto l'aumento dei prezzi a provocare gli scioperi. In effetti la gente si aspettava un aumento d'un terzo per i generi alimentari; tutti sapevano che il pane doveva rincarare (costa meno del frumento con cui è fatto ed è così a buon mercato che i contadini lo usano per nutrire i maiali). I polacchi, insomma, sapevano o erano in grado di sapere come stava l'economia prima dell'annuncio delle variazioni dei prezzi (nel 1975 il governo ha speso 100 miliardi di zloti — circa 2 miliardi di sterline inglesi al cambio turistico — in sovvenzioni, più di quattro volte la cifra spesa nel 1970). A provocare il malcontento è stato il modo di attuare le variazioni. In primo luogo i provvedimenti si accompagnavano ad un complicato sistema (oltre tutto male illustrato) di aumenti compensativi delle retribuzioni, il cui scopo doveva essere quello di ripartire equamente il carico dell'aumento del costo della vita, ma che in realtà davano più ai «ricchi» che ai «poveri». Tali misure erano annunciate dopo l'aumento delle paghe per l'esercito e la polizia e piovevano su una già diffusa sensazione che le éliles del regime guadagnassero troppo e che fossero in preparazione altre misure discriminatorie, per esempio aumentando le paghe dei lavoratori edili in misura maggiore rispetto agli altri. C'era un forte sentimento — non ignoto in altri Paesi — secondo il quale, in tempi economicamente difficili i sacrifici debbano essere distribuiti più equamente. Il problema di colmare i dislivelli retributivi contribuì alla tensione sociale più di quanto sia stato detto finora. Ancora maggiore per i polacchi fu lo choc per non essere stati sufficientemente informati. Le promesse consultazioni in parte erano state una finzione, in parte si erano svolte in base a informazioni errate circa l'ampiezza degli aumenti, in parte ancora erano viziate da discorsi troppo interni al partito, che dava a sé stesso risposte sbagliate sugli umori della popolazione. La gente aveva smesso da qualche tempo di parlare liberamente con gli informatori del partito: il risultato fu una grave sottovalutazione di quel che il pubblico pensava. Anche la stampa polacca ha le sue responsabilità. Per anni ha decantato i successi del regime, sciorinando statistiche sul miglioramento del tenore di vita e assicurando i lettori che il socialismo avrebbe protetto la Polonia dal caos economico in cui si dibatteva il mondo occidentale. Le notizie sulla gravità della situazione, sulla necessità di aumentare del 69 per cento i prezzi dei generi alimentari e sul fatto che, dopo tutto, anche la Polonia era soggetta alle tendenze economiche del resto del mondo, sono arrivate così sgradevolmente impreviste, quasi da un momento all'altro. La popolazione si è sentita truffata e umiliata. Quelli che avevano guadagnato negli ultimi cinque anni vedevano i loro vantaggi spazzati via un'altra volta. Quelli che avevano guadagnato molto meno di quanto dicessero le statistiche si vedevano ancor più svantaggiati. Nel Paese esplosero le agitazioni. L'edificio del partito a Radom venne dato alle fiamme e uno dei funzionari fu messo in mutande. Alcuni operai furono uccisi, altri aggrediti, processati e condannati. L'aumento dei prezzi venne subito sospeso, poi, poco a poco, molti operai vennero scarcerati (non tutti), in molti casi sono stati passati a lavori più duri o sono rimasti disoccupati. La tensione da allora è comunque rimasta ed è all'origine d'un nuovo tipo di opposizione. Nel passato la Chiesa, i contadini, i lavoratori, gli studenti e gli intellettuali hanno quasi sempre difeso i loro interessi in modi distinti e in tempi diversi. Nel 1968, per esempio, le dimostrazioni studentesche non ebbero alcun aiuto dagli operai. Nel 1970 gli operai in sciopero non ebbero alcun aiuto dagli studenti e dagli intellettuali. La Chiesa ha sempre sostenuto gli oppressi, ma tendenzialmente s'è preoccupata assai più di rivendicare la funzione di custode delle tradizioni nazionali. Ora si manifesta una certa convergenza tra le varie parti. Gli intellettuali stanno colmando le tradizionali distanze ed hanno formato un comitato per aiutare i lavoratori. Gli studenti stanno svolgendo attività sociale nelle famiglie dei lavoratori che sono stati incarcerati o che hanno perso il lavoro dopo gli scioperi di giugno. La Chiesa, la cui base tradizionale sono i contadini, si sta sempre più interessando dei lavoratori urbani e dei più ampi problemi dei diritti civili. Anche molti intellettuali, già «radicali», stanno cambiando, lacek Kuron, un tempo rivoluzionario dissidente dell'estrema sinistra, ha rivisto il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa come istituzione ed è diventato partigiano dell'evoluzione, con un profondo rispetto dei valori della tradizione. L'alchimia di questi cambiamenti non è stata ancora completamente analizzata. Nell'inverno scorso c'è stato un certo processo di catalisi, quando Gierek, che aveva tentato di costruirsi la figura dell'autentico rappresentante della nazione, presentò improvvisamente al Paese una costituzione che inglobava il concetto sovietico della sovranità limitata. Fu un colpo al punto più sensibile della Polonia c da tutto il popolo, quale che fosse la classe sociale di ognuno, venne un coro di proteste. Poi furono apportate modifiche, ma troppo tardi per restaurare la fiducia nell'impegno del governo a salvaguardare i reali interessi del Paese. Richard Davy Copyright di « The Times » c per l'Italia de «La Stampa» (continua)

Persone citate: Gierek, Kuron, Richard Davy

Luoghi citati: Italia, Polonia