La morte di Jachino (87 anni) l'ammiraglio di Capo Matapan di Giuseppe Mayda
La morte di Jachino (87 anni) l'ammiraglio di Capo Matapan Comandò la flotta italiana in guerra La morte di Jachino (87 anni) l'ammiraglio di Capo Matapan Roma, 3 dicembre. L'ammiraglio d'Armata Angelo Jachino è morto la scorsa notte a Roma, a 87 anni. L'ammiraglio Jachino nel '40 assunse il comando delle Forze navali italiane in mare e lo mantenne ininterrottamente fino all'aprile 1943. Per circa tre anni fu il protagonista di tutte le azioni navali in cui la fiotta italiana fu impegnata contro quella inglese: assunse così la figura dell'antagonista dell'ammiraglio Cunningham. Per quanto inferiore di mezzi, l'ammiraglio Jachino comandò la flotta in importanti azioni tattiche per contrastare la potente flotta inglese. Fu il comandante delle Forze navali a Capo Matapan, la battaglia del marzo 1941 in cui l'Italia perse gli incrociatori «Zara», «Pola» e «Fiume». (Ansa) Il ligure Angelo Jachino (era nato a Sanremo il 24 aprile 1889) è stato uno dei maggiori protagonisti della guerra navale del Mediterraneo durante l'ultimo conflitto mondiale e uno dei rarissimi ammiragli, con Da Zara, che cercò di ritessere — in libri come «Gaudo e Matapan», «Le due Sirti» e, ancora, «La sorpresa di Matapan» — i motivi più profondi del tramonto di una grande marina, quella italiana. Lachino divenne comandante della flotta in mare l'8 dicembre 1940 ma, nei sei mesi che avevano preceduto la sua assunzione al massimo comando operativo, la nostra flotta aveva subito gli amari scontri di Punta Stilo e di Capo Teulada e la disastrosa in-1 cursione della «notte di Taranto». L'arma che egli si trovò nelle mani era già spuntata in i partenza: una Marina senza solide tradizioni militari e sulla quale incombeva tuttora la nera giornata di Lissa; una Marina che non possedeva [ quadri moderni e i cui equi- \ paggi, ad esempio, non erano addestrati al combattimento notturno; una Marina priva del più moderno degli strumenti, il radar e, soprattutto, che mostrava di ignorare quanto fosse determinante la stretta collaborazione con l'aviazione. Occorre però dire che Ja egino apparteneva anch'egli a I quella «classe degli ammira-i gli» che non aveva saputo eia- I barare una propria autono- mia strategia della guerra navale nel Mediterraneo e in cui i dati del problema consistevano nell'impedire agli inglesi di proteggere Malta partendo dalle loro basi di Gibilterra e di Alessandria d'Egitoo e, al tempo stesso, rifornire la Libia di uomini, benzina, materiali. Soggetta al potere politico del fascismo la «classe degli ammiragli» accettò supinamente sia la rinuncia alle «Task forces» — l'unico strumento per giungere con la guerra al cuore del nemico —, alle portaerei, secondo l'assioma mussolinìano che «la nostra Marina non ha bisogno di portaerei perché già l'Italia è una portaerei naturale». Matapan, nel mare della Grecia, prima grande battaglia diretta da Jachino, non fu dissimile nei risultati da quelle che l'avevano preceduta. Il 27 marzo 1941, poiché i tedeschi insistevano per un nostro «raid» attorno a Creta allo scopo di tagliare la rotta ai convogli inglesi da e per Malta, la squadra di Jachino, con la cupereorazzata «Vittorio Veneto», partì scortata dagli incrociatori «Zara» «Fiume» e «Pola». La «Vittorio Veneto» venne colpita dagli aerosiluranti dell'ammiraglio Cunnigham, già avversario di Jachino a Punta Stilo e a Capo Teulada, la stessa sorte toccò a Pola», che rimase immobilizzato da un siluro, senza luce e senza energia. Il «Fiume» e lo «Zara», mandati in soccorso del «Pola», furono sorpresi dagli inglesi e affondati. Il risultato di Matapan fu che perdemmo tre incrociatori, tre caccia e 5000 marinai. Ma, al pari di tanti altri generali e ammiragli, Jachino non seppe fare l'auto; critica e cercò di attribuire j alle decisioni tattiche di Su! permarina gli errori strategici fondamentali ch'erano il frutto dell'impreparazione dell'inefficienza di tutta unaccasta militare. Giuseppe Mayda ; j ! L'ammiraglio Jachino
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