Incontro con De Laurentiis l'ultimo "zar,, del cinema di Sandro Casazza

Incontro con De Laurentiis l'ultimo "zar,, del cinema Il produttore ormai vive e lavora in America Incontro con De Laurentiis l'ultimo "zar,, del cinema (Dal nostro invialo speciale) Roma, 2 dicembre. Lo hanno definito l'ultimo Zar di Hollywood. Napoletano, 57 anni, Dino De Laurentiis in poco tempo ha saputo conquistarsi un solido trono tra le antiche e feroci dinastie del cinema americano. L'affare Vaiachi, Serpico, Mandingo, I tre giorni del condor, sono successi di box-office che gli hanno fornito « credibilità » commerciale e i milioni di dollari necessari a progetti sempre più ambiziosi. L'ultima fatica compiuta si intitola King Kong, un affare di oltre 20 miliardi di lire che tra il 17 e il 22 dicembre esploderà contemporaneamente in 2200 cinema di tutto il mondo. Un grosso rischio per chi conosce già il disastro finanziario di un kolossal come Waterloo. De Laurentiis segue personalmente il lancio pubblicitario del film accompagnando in un tour di conferenze stampa Jessica Lange, la nuova seduttrice del gorillone che già 43 anni fa fece impazzire milioni di spettatori. «Credo in Kong come in me stesso — dice il produttore con assoluta fiducia —. E' una favola per grandi e piccini. Una formula sempre valida per il successo di un fdm. La gente è stanca di porno-politica, sesso e violenza. 1 genitori vogliono andare al cinema con i figli. Io cerco di dare loro uno spettacolo completo: avventure, amore, idee e tanta, tanta fantasia. Spendo 24 milioni di dollari, faccio costruire un mostro alto 12 metri, che costa da solo 3 milioni di dollari, scelgo un regista come Guillermin, quello dell'Inferno di cristallo, e lancio sul mercato un prodotto di alta qualità ». Un film-maker Il tono di De Laurentiis si fa sempre più appassionato. Sta quasi disteso sul prezioso divano del «Grand Hotel». Gli siede accanto il fratello Luigi. Si agita, la voce si scalda e l'accento napoletano scivola fuori tra frequenti espressioni in inglese. «Io sono un film-maker, sono uno show-man. // mio padrone è il pubblico. Devo rispettare i suoi gusti. Sempre. E cercare di offrirgli il prodotto che vuole nella miglior forma possibile. Bergman ha visto King Kong e gli è piaciuto. Secondo lui ci sono alcune sequenze indimenticabili. Fellini proprio ieri mi ha detto: "Dino se tu mi avessi chiesto di girare questo film avrei accettato subito". Devo confessare che due anni fa non pensai a lui. Peccato, avrebbe fatto uno splendido "Fellini-King-Kong", folle e geniale come soltanto Federico sa essere. Comunque si presenterà senz'altro una nuova occasione. Scommetto, e sono sicuro di vincere, che ai più presto io porterò Fellini in America a lavorare con me». I tempi di Riso amaro (quando conobbe e sposò Silvana Mangano), La strada, Le notti di Cabiria, Guerra e pace, La Bibbia e « Dino Città », sembrano ormai molto lontani. Ma la sua «filosofia» del cinema rimane sempre la stessa, aggiorna';! soltanto nei costi. «Penso che la "star" principale di un film sia la storia. Non sono gli attori o i registi che danno il successo, ma l'intreccio, l'invenzione centrale del racconto. Se manca quella crolla tutto e nessun divo trascinerà le folle al cinema. Poi bisogna curare la qualità. Io mi propongo di riuscire a portare gli spettatori di Bergman, che sta girando con rie L'uovo del serpente, nelle sale dove proiettano King Kong e il pubblico popolare di King Kong a gustare le raffinatezze di Bergman. Se è capace di realizzare questi impegni il produttore diventa autore al pari del regista. Ma deve poter comandare senza interferenze. L'industria cinematografica è industria di un uomo solo». A volte le decisioni di un «principe assoluto» sono discutibili. Il taglio di venti minuti di pellicola dall'ultimo film di Altman, «Buffalo Bill e gli indiani», ha sollevato molte polemiche. «Il signor Altman era un mio impiegato — risponde contrariato —. Le parti tolte sono completamente inutili e noiose. Inoltre contravvenivano a precisi accordi che lui aveva accettato. Anche un grande regista come Altman può sbagliare un film e bisogna cercare di rimediare. A Fellini tagliai un pezzo dalle Notti di Cabiria. Federico non voleva e io, letteralmente, gli rubai la pellicola durante la notte. Altman in più mi ha ingannato. Io gliel'ho detto: caro signore tu mi hai imbrogliato una volta e mi potresti imbrogliare ancora. Perciò ho affidato a Milos Formali la regia di Ragtime, uno dei miei prossimi film che in un primo momento doveva dirigere lui». Perché la crisi De Laurentiis ha lasciato il nostro paese nel '73 e lavora ormai «a tempo pieno» negli Stati Uniti. Cosa pensa, alla luce della sua doppia esperienza e dell'attuale rilancio del ci-, nema hollywoodiano, della crisi nell'industria cinemografica italiana? «Per un'impresa che può essere redditizia come il cinema, in America si riescono a trovare più crediti e quattrini. Ma questo non basterebbe. Hollywood ha riscoperto, e sta mettendo a frutto, la lezione del neorealismo italiano. Storie vere, credibili, girate negli ambienti della vita quotidiana. Anche supercolossi come Lo squalo seguono fedelmente questo principio. Negli ultimi film tante scene, infatti, sono state realizzate per strada, ira la gente che fa da comparsa senza accorgersene. «Per la crisi del cinema italiano le motivazioni sono più complesse e numerose. «Una delle cause più gravi, secondo me, sta proprio nell'attuale legge che regola il settore. Ha ucciso ogni possibilità di competere in campo internazionale. Limitando l'uso di registi e attori stranieri il nostro cinema si è rinchiuso in un provincialismo che ha finito con lo stancare anche gli spettatori italiani. Senza la possi¬ bilità di importare talenti stranieri è arrivata inevitabile l'asfissia. Altra parte della colpa va ai cosiddetti autori: hanno saputo inventare soltanto stupide e ripetitive storielle di sesso e violenza. Ci sono poi i costi: le alte paghe di attori e registi. Mi dicono che alcuni divi, sconosciuti al di là delle Alpi, chiedono parecchie centinaia di milioni a film: metà in patria e metà depositati in Svizzera. Un regista come Guillermin a me è costato 250 mila dollari (oltre 200 milioni di lire) per un lavoro di due anni. Senza dimenticare che il 50 per cento della cifra negli Usa viene prelevata inesorabilmente dal fisco. Non c'è paragone». E la concorrenza della televisione? mNoii ci credo assolutamente. Ho una mia teoria in proposito. Via col vento incassò 100 milioni di dollari e fu un record. Per ripetere la stessa cifra si dovettero attendere 20 anni, fino a Tutti insieme appassionatamente. Soltanto dieci anni dopo lo stesso incasso era raggiunto dalla Stangata. Ora, nel giro di poco tempo i film che hanno di gran lunga superato i 100 milioni di dollari, netti, sono giù quattro o cinque. E questo mentre la televisione è diffusissima. La crisi del cinema sta sempre nella crisi delle idee. Trovate una buona storia: arriveranno puntualmente finanziatori e pubblico. Non mi stanco mai di ripeterlo ai miei collaboratori: la gente ha bisogno di belle favole per grandi e piccini, raccontate con il cervello e soprattutto con il cuore». Soltanto per scaramanzia, forse, non aggiunge: «come il mio King Kong». Sandro Casazza

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