Nella gabbia (vuota) parla Angelini: era il "capo carceriere,, di Cristina di Remo Lugli

Nella gabbia (vuota) parla Angelini: era il "capo carceriere,, di Cristina Il processo alla corte d'assise di Novara entra nel vivo Nella gabbia (vuota) parla Angelini: era il "capo carceriere,, di Cristina Gli altri imputati erano stati portati via - Ha ritrattato le accuse contro Giacobbe - Teme una vendetta della mafia L'allucinante racconto di come gli venne consegnata la studentessa dai complici e la lunga agonia della ragazza (Dal nostro inviato speciale) Novara, 1 dicembre. Finalmente la parola è a Giuliano Angelini, il capo carceriere di Cristina Mazzotti. Il processo entra nel vivo del dibattimento, con le voci, le intonazioni, gli slanci, le incertezze dei protagonisti. Conclusa dal. presidente la lettura delle ultime pagine degli interrogatori di Libero Ballinari, il contrabbandiere in stato di arresto in Svizzera, la gabbia viene fatta sgomberare dagli imputati. Resta soltanto Angelini: il presidente dottor Canfora si avvale di una facoltà che gli dà il codice e fa deporre l'imputato cardine del processo da solo perché non abbia a subire influenze psicologiche dalla presenza dei coimputati. Sono le undici e quindici quando Angelini, seduto davanti al presidente incomincia il suo racconto. La parola è chiara, ma il discorso stenta a mantenersi sul filo cronologico, i dettagli intralciano la narrazione, sono dispersivi. Il presidente deve faticare a mantenere l'imputato su quello che, nella sua avvertenza iniziale, ha definito «il binario su cui io la porterò per questa panoramica». Fatica e spesso non ci riesce, Angelini devia e va a parlare di cose che dovranno essere affrontate più avanti. Ha però già dato una precisa indicazione della sua linea di condotta: tentativo di scagionamento, oltre che del Giacobbe.della sua amante Loredana Petroncini e di Luigi Gemmi, il convivente di Rosa Cristiano, che considera estraneo alla conoscenza dei fatti (anche Ballinari era su questa linea, l'aveva addirittura classificato «troppo stupido»); tentativo di dimostrare che la tragedia accadde per disgrazia, senza intenzione; accusa precisa ad Achille Gaetano, il capo calabrese al Nord, che la mafia deve avere sacrificato per salvare Giacobbe e che si costituì dopo una conferenza stampa per bloccare con la sua presenza le indagini al Sud. All'inizio salta fuori di sfuggita anche il cognome Alberti (Gerlando, il boss siciliano?) come di colui che sarebbe stato alle spalle di Achille Gaetano: «L'Achille si presentò a me con lo pseudonimo di Marco e dicendo che era diretto da un boss, certo Alberti». L'idea del sequestro parte da Ballinari che, tramite il macellaio Alberto Menzaghi, gli presenta Achille Gaetano. Questi ribadisce l'idea, Angelini si convince e Menzaghi, per conto di Achille, consegna un primo finanziamento di ciquecentomila lire per preparare la buca ove nascondere l'ostaggio. L'arrivo dell'ostaggio sembra imminente (doveva essere un giovane, mai si era parlato di una ragazza), ma non avviene mai. Angelini ad un certo momento si trova un lavoro, a Novara, e dice al Gaetano che si tira indietro, non ne vuole più sapere, ma l'altro è minaccioso: «Tu sai troppe cose, non puoi ritirarti». Angelini cede: «Se c'è da farlo, facciamolo». Aggiunge al presidente: «Ne avevo parlato con Gianni Geroldi perché facesse, eventualmente, da custode, ma ero convinto che l'Achille non fosse di parola, che non venisse mai nessun ostaggio». La sera del 31 luglio Achille Gaetano viene ad annunciare l'arrivo e alle due della notte c'è la consegna di Cristina. La portano Achille Gaetano e altre due persone: «Uno scarmigliato, uno Piccolino con i capelli ricci» che non paiono identificabili con nessuno degli imputati. «Cristina era un po' tesa, spaventata, ma dopo che le parlai, disse che sentendo una voce settentrionale si era calmata». Viene calata nella buca, vestita con i pantaloni e un giubbotto da sci di Angelini perché ha freddo. «Poi lei mi diede gli oggetti che aveva: una catena lunga, l'orologio...». Angelini tiene d'occhio l'imputazione di ra¬ plglfVcurmdastld pina, insiste nel dire che fu lei a darglieli. «Volle tenere gli anellini e io glieli lasciai, le dissi solo "attenta a non farti male"». La Petroncini parte per Viareggio per non essere coinvolta, ma la sua auto ha un guasto, rientra per ripartire. «Io però la costrinsi a rimanere». Presidente: «Ballinari esclude che sia partita». Angelini: «Ballinari esclude anche di avere fatto parte del sequestro. Perché non mi avete fatto fare un confronto con lui in Svizzera?». E' qui che Angelini devia dal racconto per parlare di Giacobbe, dice che chiese al giudice Roggero di appartarsi con il suo avvocato per dirgli che Giacobbe non era presente a quell'incontro mafioso nell'uliveto di Catanzaro Lido, il 7 agosto '75. «Non me lo consentì, sospese l'interrogatorio per rimandarlo al pomeriggio e non fu più fatto. L'istruttoria è stata falsata fino all'impostura. Volevo parlare del perché, di come era venuto fuori il nome del Giacobbe...». Presidente: «Lei dirà tutto a suo tempo, non adesso». Mentre il presidente sta consultando un verbale, Angelini scatta: «Sono stato mas¬ sacrato di botte dalla alla zeta, con fratture costali, ed ero in segregazione, non avevo ancora conferito con gli avvocati». L'avvocato Allegra e l'avvocato Mandalari, difensori di Giacobbe, citano con prontezza il certificato medico rilasciato nel carcere di Alessandria, il 12 settembre '75, quattro giorni dopo l'avvenuto pestaggio dell'imputato nell'ufficio della ps di Lamezia Terme dove, secondo Allegra, si pretendeva cha Angelini accusasse Giacobbe. C'è, nel corso della mattinata, un altro episodio che tratta di percosse. Angelini afferma che a Como anche la Petroncini fu picchiata a sangue da un brigadiere dei carabinieri: «La sollevava per i capelli e la batteva sul petto davanti a me dicendole: "Parla, se no t'ammazzo"». Una sconosciuta, che si è infilata in aula, che sta seduta a lato dei giornalisti, dice a questo punto: «A quel brigadiere bisogna dargli la medaglia d'oro». Il presidente la fa espellere. Le condizioni di Cristina peggiorano, nella cascina stanno per arrivare gli operai per fare l'impianto del termosifone, Angelini vorrebbe disfarsi dell'ostaggio, ma arriva Achille Gaetano: «Mi disse: "Azzardati a rilasciarla e ti ammazzo, ammazzo la tua donna, ti brucio la casa". E io dissi: "Non doveva essere una donna, dovevo tenerlo per una settimana al massimo e sono passati più di venti giorni, presentami il capo che io gli parlo". Mi portò a Milano, in via Varesina, ma il capo non lo vedemmo. "Gli ordini li dò io"disse». La sera del 28 luglio Cristina viene portata a Galliate nell'appartamento dello Gnemmi e della Cristiano. Siamo prossimi all'epilogo della tragedia. Remo Lugli Novara. Giuliano Angelini nella gabbia degli imputati (Foto « La Stampa »-A. Bosio)