Firenze aspetta dal '71 i soldi per evitare un'altra alluvione di Francesco Fornari

Firenze aspetta dal '71 i soldi per evitare un'altra alluvione Inchiesta sulle condizioni di sicurezza dei fiumi italiani Firenze aspetta dal '71 i soldi per evitare un'altra alluvione L'Arno è rimasto quello del '66 - Nel '68 si prevedeva una spesa di 20 miliardi: ora il preventivo è raddoppiato - La situazione è resa ancora più grave dall'abbandono dell'agricoltura e dal disboscamento (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 30 novembre. La gente continua a ripetersi che dovranno passare dei secoli prima che si ripeta un'inondazione come quella del '66, e guardando le acque dell'Arno che scorrono limacciose sotto i ponti di Firenze, molto al di sopra del limite di guardia, confidano proprio nell'eccezionalità di quella piena per trarre speranze per il futuro. Perché altro non resta da fare: se arriva un'altra piena, Firenze finisce sotto l'acqua come allora, perché non è stato fatto nulla per evitare questo pericolo. La situazione è rimasta la stessa di dieci anni fa quando, sull'onda dell'emozione per la tragedia accaduta, erano stati annunciati dei lavori in grande, tali da far fronte una volta per tutte a qualsiasi sorpresa. Purtroppo, sono anni che Roma dorme sui progetti che sono stati presentati: sono stati fatti degli interventi di emergenza per tamponare le falle e ricostruire gli argini che avevano ceduto. Adesso il sistema di sicurezza è di nuovo a posto, tale e qual era prima dell'alluvione, vale a dire insufficiente, come è stato tragicamente dimostrato Davis Ottati, assessore all'ambiente, dice sconsolato: «Sono anni che Roma dorme sui progetti dì tutta una serie di bucini a monte dell'Arno e degli affluenti più pericolosi, soprattutto la Sieve, il Bisanzio e l'Ombrane. Uno di questi, il lago di Bilancino, rappresenterebbe da solo un caposaldo che metterebbe Firenze al sicuro per almeno 90 probabilità su cento. Il Bilancino avrebbe una capacità di 87 milioni di metri cubi, con un margine di sicurezza, in caso di piene eccezionali, di altri 20 milioni». Quando il piano è stato presentato, nel '68, la spesa prevista era di circa 20 miliardi. «Ora saranno saliti almeno a 40 — dice il dott. Ottati —. Nel '71 il governo ha varato la legge per la difesa del suolo, assicurando un finanziamento di mille miliardi per tutto il territorio. A Firenze ne sarebbero toccati cento, a rate dì dieci all'anno. Siamo nel '76, dovremmo aver ricevuto almeno 40 miliardi, ma non abbiamo ancora visto una lira». Nell'attesa, si va avanti con la manutenzione ordinaria, facendo il poco che si può con i 50 milioni che lo Stato elargisce ogni anno a questo scopo. La situazione diventa ancora più precaria col passare del tempo perché vengono a mancare, una dopo l'altra tutte quelle condizioni di si curezza che nei tempi antichi assicuravano una tranquillità relativa. Il danno maggiore è provocato dall'abbandono della terra: i contadini delle campagne nel bacino dell'Arno sono sempre di meno, la terra non viene più coltivata, la rete per l'irrigazione sparisce ed i torrenti, che prima trovavano nei campi coltivati un sistema di equilibrio di flusso e riflusso, si avventano senza freno lungo le direttrici di massima pendenza. Altra fonte di guai, l'indiscriminata speculazione edilizia che distrugge i boschi, elemento indispensabile per la stabilità del terreno. Nel '68 una commissione ministeriale (presieduta dal prof. De Marchi), aveva presentato un piano per la difesa di Firenze. Fra gli altri, erano elencati una serie di lavori con carattere d'urgenza, ma nulla è stato fatto. A quel piano ne sono seguiti altri, l'ultimo, il progetto pilota elaborato dalla Regione, è stato presentato alla fine di ottobre. Dice l'ing. Sorace, dell'acquedotto di Firenze: «Il progetto Supino-De Marchi aveva preso in considerazione soltanto la difesa dalle piene e non le possibilità di sfruttamento dell'acqua. Non si può ritenere l'Arno semplicemente come un pericolo, ma bisogna considerare le ipotesi di sviluppo del territorio e programmare lo sfruttamento di questa importante risorsa idrica». Il ragionamento non fa una grinza, resta tuttavia il fatto che dopo dieci anni, un numero infinito di incontri, seminari, assemblee, siamo ancora allo stesso punto, l'Arno incombe come perenne minaccia sulla città, ogni volta che piove gli abitanti dei quartieri bassi vivono nella paura di trovarsi un'altra volta con l'acqua in casa. Si continua a perdere tempo: il progetto della diga del Bilancino, per esempio, risale al 1958. Dice l'assessore Ottati: «Le prospettive sono solo tutte sulla carta. In dieci anni non abbiamo fatto molti passi avanti. Progetti ne sono stati fatti tanti, ma prima dei progetti occorrono leggi che diano maggiore autonomia alle Regioni». L'ultimo progetto, quello «pilota» elaborato dalla Regione, è formato da ben quattro volumi che racchiudono i risultati di un lungo lavoro iniziatosi nel '72. Questi gli obiettivi che si prefigge: una più razionale utilizzazione delle risorse idrauliche esistenti, in rapporto alle richie- ste di acqua; un'efficace difesa delle acque al fine di consentire in ogni periodo e dovunque la vita acquatica e l'utilizzazione delle acque a fini potabili e ricreativi; una razionale difesa del territorio dai fenomeni alluvionali, in grado di dare le maggiori garanzie in caso di eventi eccezionali, come la piena del '66. Il progetto prevede la costruzione di undici bacini regolatori, fra i quali l'invaso di Laterina, sull'Arno (della cui necessità si discuteva già nel 1932); la diga di Pogi, sul torrente Ambra; quella di Bilancino, sulla Sieve e l'invaso di Praticello, sul Bisenzio. Forse i fiorentini avrebbero preferito più dighe e meno carta stampata, comunque tutti si augurano che finalmente si dia attuazione ai piani previsti nel progetto per risolvere il problema e liberare Firenze dalla «grande paura». Purtroppo, il nostro si presenta sempre come il Paese dove si fanno molte parole ma pochi fatti. Ogni volta che accade una tragedia (che si sarebbe comunque dovuto — e potuto — evitare affrontando e risolvendo i problemi via via che si presentavano, senza rimandare tutto a poi), sbucano come funghi commissioni ministeriali con l'incarico di trovare al più presto le soluzioni più idonee per evitare che possano ripetersi fatti così tragici. E' accaduto dopo l'alluvione del Polesine, quella di Firenze ed in decine di altre occasioni. Ma dopo pochi mesi, proposte, programmi, ricerche finiscono nel nulla. Nel 1970 la commissione interministeriale De Marchi aveva calcolato in oltre cinquemila miliardi la somma necessaria, in un trentennio, per rimettere in sesto il nostro sistema idrografico. Tre anni dopo, nel 1973, i senatori Luigi Noè e Manlio Rossi Doria avevano presentato al Se¬ nato un disegno di legge che prevedeva almeno millecento miliardi da spendere in dieci anni per risolvere lo stesso problema. Quel disegno di legge ormai è decaduto, il programma della commissione De Marchi, anche se quanto mai attuale per certi aspetti, quasi ignorato. Sappiamo come difenderci, insomma, ma non lo facciamo: per la difesa del suolo il governo stanzia una cifra irrisoria, che rappresenta appena lo 0,16 per cento del reddito nazionale lordo (come risulta dal «rapporto sullo stato ambientale del Paese», di tre anni fa), salvo poi a spendere somme colossali per porre rimedio in qualche modo quando sono sopravvenuti i disastri. E restiamo soli a piangere i morti. Francesco Fornari Dopo dieci anni dall'alluvione che sconvolse Firenze, l'Ar no è ancora una grave minaccia per la città (Tclcfoto Ansa)

Persone citate: Davis Ottati, De Marchi, Luigi Noè, Manlio Rossi Doria, Sieve, Sorace