Perdere in Cile di Gianni Brera

Perdere in Cile Finestra aperta di Mario Soldati Perdere in Cile In questo momento, mentre ancora non sappiamo se la nostra squadra di tennis andrà o non andrà a Santiago per la finale della Coppa Davis contro la squadra del Cile di Pinochet, un ricordo, un ricordo vecchio quarantadue anni, mi imbroglia, mi tormenta, mi ossessiona. Primavera del 1934, Firenze, secondo campionato mondiale di foot-ball: la squadra della Spagna socialista di Azaria disputa i quarti di finale contro la squadra dell'Italia fascista. Ricordo che con alcuni amici parteggiavo disperatamente per la Spagna. Avevamo bisogno della vittoria dei rossi come di un simbolo, cone di un auspicio che presto il fascismo sarebbe caduto. Ricordo il disgusto, l'orrore provocato in noi dai metodi di Vittorio Pozzo, il quale aveva allenato i giocatori della nostra nazionale chiudendoli nella stia dell'Impruneta quasi galli da combattimento, incitandoli soprattutto non a contrastare gli spagnoli come avversari ma a odiarli come nemici, e preparandoli così a un estremo cinismo nell'uso della violenza anche se le finzioni necessarie a masche- rarla con un formale rispetto del regolamento avevano pochissime probabilità di ingannare l'arbitro e i più avvertiti degli spettatori. Intendiamoci. Vittorio Pozzo era un bravissimo uomo e un autentico sportivo: il raptus sciovinistico, che lo aveva sconvolto, e che da lui fu trasmesso alla maggioranza dei nostri giocatoti, era un effetto fatale della dominazione fascista: fatale dato che in qualche misura tutti gli italiani ebbero a sopportarlo, se non altro con un'esagerazione in sencontrario, estendendo la pensione politica allo sport senza esclusione di colpi. Nel non escludere i colpi bassi Pozzo era stato il primo. « Perché, sapete? » disse arringando i giocatori negli spogliatoi prima del match, « loro... » loro erano g'i spagnoli, « ...loro cercheranno di vincere! » e disse queste parole con voce strozzata e sbarrando gli occhi, come se la vittoria degli spagnoli socialisti contro gli italiani fascisti fosse un'ipotesi assurda, atroce, mostruosa, che soltanto a formularla verbalmente sfiorava i] sacrilegio! Ricordo che, contagiati da questa stessa violenza da cui aborrivamo, noi a nostra volta odiammo gli azzurri: è da allora che la sola espressione azzurri ci dà fastidio. A Firenze, la partita finì uno a uno: il portiere degli spagnoli, il grandissimo Zamora, fu « massacrato » dai mstri, e non potè partecipare alla ripetizione del match, che il regolamento della Coppn imponeva, in caso di parità, per il giorno successivo. Nel secondo match, l'Ita¬ lia vinse con vergognose sopraffazioni: se ben ricordo, per uno a zero. Adorammo, allora, il terzino Quincoces, il quale ci parve un eroe: ciascuno dei suoi furibondi e risolutivi rimandi era per noi un'immagine della Rivoluzione Socialista e della Libertà. Come ci comporteremo, adesso, i miei vecchi amici e io, nel caso che i nostri tennisti giochino a Santiago? Tutto, fortunatamente, si è rovesciato: adesso, i socialisti (i meno lontani dal socialismo) siamo noi. E una vittoria dei cileni sarebbe una ghirlanda di propaganda al priapeo Pinochet. Dovremo, dunque, partecipare decisamente per la nostra squadra. E invece no, non ce la sentiamo. Anche se sembra una follia, brucia ancora in noi l'antica piaga del contagio. Se i nostri giocheranno a Santiago, tanta sarà la nostra rabbia che parteggeremo per i cileni. Esiste, infatti, un'essenziale differenza tra il match di Firenze con la Spagna e il match di adesso a Santiago. Allora la nostra squadra arrivò regolarmente ai quarti di finale: oggi i cileni sono arrivati in finale avendo battuto per forfait i sovietici, che si sono rifiutati di giocare con loro; e mentre per noi una nostra eventuale vittoria avrebbe quindi minor valore, per i cileni la nostra sola partecipazione sarebbe un onore, e per loro anche una sconfitta sarebbe la gloria. Figuriamoci poi se i cileni vincessero. Si può essere sicuri che Pinochet darà disposizione di usare tutti i mezzi, non importa quanto illeciti, pur che il Cile vinca... Ma è proprio quello che i miei amici e io ci auguriamo, nello sciagurato caso che si giochi. Sì, sarcasticamente esulteremo: l'avete voluto, ben vi sta. « Santiago? L'unica cosa da fare è di non andarci: per non perdere». Così ha detto alla tv il pur patriottico Gianni Brera.

Persone citate: Mario Soldati, Pinochet, Pozzo, Quincoces, Vittorio Pozzo, Zamora