Essere liberi oggi

Essere liberi oggi CONCLUDENDO SUL PLURALISMO Essere liberi oggi Avevo cominciato il primo articolo sull'argomento scrivendo: « Ferve la discussione sul pluralismo ». Posso essermi sbagliato in tante cose, ma non in questa constatazione. La discussione che si è svolta per due mesi su questo giornale (e non solo su questo giornale) ne è una conferma. In questo frattempo sono anche usciti due libri, che segnalo ai curiosi (e di cui si potrà parlare in altre occasioni): Unità e pluralismo nella Chiesa (Atti del convegno di studio, Roma, maggio 1975, a cura del Comitato cattolico dei docenti universitari, Edizioni Ares, Milano, 1976) e II pluralismo fra liberalismo e socialismo di Rainer Eisfeld (Il Mulino, Bologna, 1976). Nel primo, Giovanni Bognetti traccia le linee della dottrina e della pratica pluralistica nello Stato contemporaneo in un saggio intitolato Pluralismo nella società civile (pp. 23-63). Nel secondo il giovane autore, ultimo rampollo della Scuola di Francoforte, fa del pluralismo, con una certa forzatura, una categoria storica di vasta portata, considerandolo lo strumento di analisi più adeguato per comprendere quella fase di sviluppo della società industriale che ha superato il liberalismo ed è destinata ad essere superata dal socialismo. La discussione, seguita ai miei due articoli, si è concentrata soprattutto su questi tre punti: 1) significato di « pluralismo »; 2) aspetti positivi e negativi del pluralismo; 3) pluralismo e socialismo. Tratto i primi due in questo articolo; il terzo nel prossimo. I "gruppi,, Alla mia descrizione del pluralismo è stato mosso il rimprovero di essere limitativa (Passerin d'Entrèves) e arretrata (Ingrao). Probabilmente i miei critici non hanno considerato che io non avevo affatto preteso di dare una mia personale definizione di « pluralismo », ma mi ero limitato ad assumere questo termine nel suo significato tecnico, che potevo presumere noto agli addetti ai lavori, non altrettanto noto ai lettori di un giornale. Nella storia del pensiero politico dell'ultimo secolo si chiamano pluralistiche certe dottrine e non altre; e si chiamano così perché hanno certe caratteristiche e non altre. Le dottrine pluralistiche nascono dalla scoperta dell'importanza dei gruppi sociali (una volta si diceva i « corpi intermedi ») che si interpongono fra gli individui singoli e lo Stato; e tendono a considerare bene organizzata quella società in cui i gruppi sociali godono di una certa autonomia rispetto al potere centrale e hanno il diritto di partecipare, anche in concorrenza fra loro, alla formazione delle deliberazioni collettive. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere — e in ciò sono d'accordo con Ingrao — che alcune dottrine storiche del pluralismo sono sotto molti aspetti arretrate (di questa arretratezza c'è ad esempio un riconoscimento nell'intervento di Zaccagnini nei riguardi del pluralismo organico dei cattolici), anche se l'esigenza fondamentale, da cui tutte le varianti storiche del pluralismo sono sorte, di trovare antidoti al prepotere dello Stato nel contro-potere dei gruppi, non solo non è venuta meno, ma, proprio per quel che dice lo stesso Ingrao circa la formazione delle grandi concentrazioni, è sempre attuale, anzi — si dovrebbe dire — sempre più attuale. Ma se sono arretrate alcune forme di pluralismo, non è arretrata la mappa con cui le ho descritte. Chi scava ruderi non è egli stesso un rudere, ma un archeologo. L'unico giudizio legittimo per una descrizione, per una « mappa », qual era la mia, è: « Fedele o non fedele? ». Dicendo che « pluralismo » è un termine del linguaggio tecnico non contesto il suo uso sempre più frequente (anche nel nostro dibattito) come termine del linguaggio comune. Mi limito ad ammonire che non si può gonfiare o sgonfiare a piacere e neppure svuotare di qualsiasi significato, come fa, ad esempio, Cerroni in un articolo di « Paese sera » (Pluralismo e democrazia socialista, 22 settembre 1976), quando scrive che il pluralismo « a volte allude al metodo della democrazia politica » (il che è molto generico), « a volte, invece, alla esistenza dei rapporti sociali tipici del capitalismo» (il che è fuorviarne), e conclude che in questa seconda accezione « il pluralismo finisce col significare puramente e sempli¬ cemente individualismo dominante, libertà di mercato, e anche sfruttamento » (il che è insieme generico e fuorviarne). Considero una spia del passaggio del termine dal suo significato tecnico a un significato più generico il richiamo fatto da Ingrao all'art. 3 della nostra Costituzione: l'articolo della Costituzione che ha introdotto il pluralismo nel senso tecnico, come teoria e ideologia dei gruppi sociali, è l'art. 2, che vuol tutelato l'individuo non solo in quanto tale ma anche nelle « formazioni sociali » di cui fa parte. Il pluralismo dell'art. 3 è generico, quello dell'art. 2 è specifico. Le ombre Anche del pluralismo si può dire che non è tutto oro quello che luce. Io stesso avevo detto che accanto al beneficio che può derivare dalla frantumazione del potere c'è il maleficio della disgregazione. Chi vada a rileggere il secondo articolo (Come intendere il pluralismo, 22 settembre 1976) mi darà atto che sulla mappa del pluralismo non avevo piantato una bandiera (vessillo), ma semplicemente collocato delle bandierine (segnali). Ad eccezione di Orlandi (Il pluralismo negato, 14 ottobre) e di Zaccagnini (Quale pluralismo?, 18 novembre), il quale scrive saggiamente « che non bisogna mai accentuare il rischio della disgregazione, per sminuire o sottovalutare, invece, il pericolo della burocratizzazione partitica », la maggior parte dei miei interlocutori hanno colto più l'aspetto negativo che non quello positivo. Sull'aspetto negativo si è soffermato in modo particolare C. Tullio Altan, Forze disgreganti nella società italiana (6 ottobre). Ma vi hanno richiamato l'attenzione anche altri, come Ugo La Malfa (Pluralismo e socialismo, 9 ottobre) e con maggior forza Valerio Zanone (Il pluralismo si basa sul dissenso, 20 ottobre). D'Entrèves ha osservato che il pluralismo di oggi a differenza di quello proprio della società medioevale è pur sempre una « creatura dello Stato, perché sussiste in quanto lo Stato... lo permette e addirittura lo tutela». Giustissimo: il pluralismo non è anarchismo. Il pluralismo è un'interpretazione, e insieme un progetto di riforma, dello Stato moderno: non è mai stato una negazione radicale di ogni forma possibile di Stato. Al Festival di Napoli, dopo aver indicato la tendenza delle nostre società alla moltiplicazione dei gruppi d'interessi non soltanto politici ed economici (i genitori degli alunni di una scuola non costituiscono né un gruppo politico né un gruppo economico), avevo aggiunto: « Non bisogna peraltro nascondersi che questa tendenza può presentare pericoli gravissimi. Non c'è alcun processo lineare nella storia. Se la storia fosse lineare, sarebbe meno complicata di quel che appaia a noi che la facciamo (o la subiamo). Il pericolo più grave è l'eccesso opposto alla concentrazione, cioè la disgregazione. Detto altrimenti, la riduzione dell'interesse pubblico a una miriade scomposta e non più ricomponibile d'interessi privati. Ovvero: il paventato (o evocato) ritorno al Medioevo, dove anziché contese fra famiglie rivali (del resto in un'economia precapitalistica la famiglia è anche il centro del potere economico), sorgono contese fra gruppi d'interessi contrapposti che rendono impossibile la soddisfazione di qualsiasi interesse collettivo ». Il pluralismo nasce contro 10 Stato-totalità, e difatti è rinato dopo i vari totalitarismi contemporanei; ma non è una teoria eversiva. Riconosce l'importanza dei gruppi, nelle società parziali che l'unitario Rousseau deprecava, ma non disconosce l'importanza decisiva e conclusiva di quel gruppo universale i cui membri sono gl'individui in quanto cittadini, e che costituisce lo Stato-comunità (distinto dallo Stato-apparato). Accentua, per ragioni polemiche e in date circostanze storiche, il momento della ridistribuzione del potere, ma non rifiuta quello della riaggregazione. Invita a non dimenticare che in una società complessa come lo Stato moderno accanto all'equilibrio fra il momento della forza e 11 momento del consenso, su cui si soffermano di solito i teorici della politica, ci deve essere anche un equilibrio fra il momento dell'unità e quello della pluralità. Chi ha consuetudine coi testi classici sa che la secolare discussione prò e contro il governo misto si muove fra i fautori dell'unità e i fautori della pluralità del potere. Due volti Constato se mai che non è stato ripreso l'accenno che io avevo fatto alla società policratica, cioè a quell'aspetto negativo del pluralismo che consiste non già nell'impotenza dello Stato ma nella prepotenza del gruppo sull'individuo. Il pluralismo è sempre stato bifronte: una faccia rivolta contro lo statalismo totalizzante e un'altra contro l'individualismo atomizzante. Se dal punto di vista dello Stato l'accusa che può essere mossa al pluralismo è d'indebolire la compattezza e quindi di diminuirne la necessaria forza unificante, dal punto di vista dell'individuo il pericolo consiste nella tendenza naturale di ogni gruppo d'interesse a irrigidire le sue strutture via via che cresce il numero dei membri e si estende il raggio dell'attività, sicché l'individuo singolo che crede di essersi liberato dallo Stato padrone diventa servo di tanti padroni. Valga la considerazione che nelle nostre società caratterizzate da gruppi e organizzazioni sociali a grandi dimensioni, la rivendicazione dei tradizionali diritti di libertà, come la libertà di pensiero, d'opinione, di riunione, e persino della libertà politica intesa come diritto di partecipare alla formazione della volontà collettiva, si va spostando dal terreno tradizionale dello Statoapparato a quello delle grandi organizzazioni che sono cresciute dentro o anche al di là dello Stato (come le imprese). L'art. 1 dello Statuto dei lavoratori che proclama il diritto dei lavoratori di manifestare liberamente il proprio pensiero nei luoghi dove prestano la loro opera, dimostra che la libertà dell'individuo non si difende soltanto contro lo Stato ma anche dentro la società, e che, dovunque si è costituito un potere, questo mostrerà presto o tardi il suo volto « demoniaco ». Norberto Bobbio

Luoghi citati: Bologna, Francoforte, Milano, Napoli, Roma