Un siciliano

Un siciliano RETROSPETTIVA DI TROMBADORI Un siciliano Nel quindicesimo annlver sarto della morte del pittore Francesco Trombadori (18861961) si inaugura oggi In Siracusa per iniziativa del Municipio una mostra retrospettiva dell'artista. Siamo lieti di pubblicare l'introduzione al catalogo scritta da Leonardo Sciascia. Se volessimo scrivere la biografia immaginaria di un pittore nato in Sicilia a un quarto di secolo dall'Unità, che a vent'anni si trasferisce a Roma e vi passa tutta la vita, trascorrendo le esperienze figurative del tempo e sviluppando e maturando la propria; se volessimo scriverla, questa biografia immaginaria, così come Max Aub scrisse quella di Jusep Torres Campalans, pittore catalano emigrato ventenne a Parigi (ovviamente mai esistito, anche se quando apparve la biografia di Aub molti si ricordarono di averlo conosciuto: ma è esistito — vasta e tentacolare esistenza — Pablo Ruiz Picasso), cioè con l'intenzione di dare attraverso un personaggio fantastico la cristallizzazione di una vita possibile, di una storia particolare che coincide con la storia di una società, dei movimenti culturali che vi si producono, della ricerca di nuove o ritrovate forme espressive e insomma con la storia della pittura in Italia tra le due guerre; se volessimo scriverla, i dati in cui si devolverebbe l'immaginazione finirebbero con l'essere quelli della vita di Francesco Trombadori. * ★ La ragione per cui leggendo la cronologia della vita di Francesco Trombadori ci siamo ricordati di quella di un pittore mai esistito, è duplice. Da un lato s'appartiene al costume, dall'altro alla storia. Al costume, per il fatto che è facile in un paese come il nostro rendere alla non esistenza un pittore, un vero pittore (e anche un vero scrittore: e si vedano i casi di Savinio, di Viani, di Bartolini, che erano anche pittori, e di Alvaro e Brancati; mentre più difficile è sgomberare quelli che non valgono nulla); alla storia, per quel che abbiamo accennato e che ribadiamo rilevando una curiosa, quasi borgesiana (da Borges, non da Giuseppe Antonio Borgese: che potevamo mettere al primo posto tra gli scrittori ingiustamente relegati alla non esistenza) coincidenza: Francesco Trombadori e Jusep Torres Campalans sono nati nello stesso anno, il 1886. Questa coincidenza assume un preciso significato: se Max Aub ha scelto il 1886 per far nascere Campalans, è perché nascendo in quell'anno (o intorno a quell'anno) un pittore — immaginario o veramente esistito — poteva nella sua vita assommare e rappresentare altre vite possibili in un arco di esperienze varie, inquiete ed intense; e più rapide ed ardue che in altri tempi, più corrosive e corrose. Quest'arco di esperienze Francesco Trombadori l'ha vissuto. L'ha vissuto — come dice Salinas del posto che occupava Cernuda alle sue lezioni e che forse allude occupasse nella generazione poetica — « ni muy atràs ni muy addante », né troppo avanti né troppo indietro: che è il posto della discrezione, dell'eleganza. L'ha vissuto, dunque, difficoltosamente: in un mondo che diventava sempre meno discreto, sempre meno elegante. Francesco Trombadori nacque a Siracusa. Forse è proprio in quel periodo che Otto Weininger pronuncia la sentenza che « a Siracusa si può nascere o morire, non vivere ». Nulla di meno vero: Siracusa non solo è una città in cui si può vivere, ma da vivere. Nessun'altra è più città al tempo stesso che come città si nega, si dissimula, si fa segreta e visionaria: da scoprire. Non vi poteva vivere, questo si, un pittore: un pittore ha bisogno di stare in un luogo dove stanno altri pittori, e con gli altri a contatto quanto è più possibile: in un quartiere, in una strada, al Bateau-Lavoir, a villa StrohlFern. Ma del suo nascere a Siracusa, degli anni dell'infanzia e della prima giovinezza che vi ha passato, del suo esserci anche standone lontano, la pittura di Trombadori è ineffabilmente, segretamente intrisa. L'assenza che si fa essenza. Guttuso dirà: « Anche se dipingo una mela, c'è la Sicilia ». E così è stato per Trombadori: anche dipingendo assiduamente Roma, nella « sua » Roma c'è, come per essenza, Siracusa. Quel che piaceva a Roberto Longhi delle « vedute » romane di Trombadori — una Roma incantata e deserta in cui la luce d'alto meriggio sembra mutarsi in quella di un silenzioso plenilunio — è appunto in questa essenza, che chi conosce e ama Siracusa non stenterà a cogliere: la luce che pur intensa e dilagante per magia di silenzio sembra attenuarsi (ma non a velare le cose e confonderle, a renderle invece più nitide), i colori farsi più leggeri e quasi sul punto (ma in quel punto più segretamente ricchi) di essere come assorbiti, di svanire nell'aria; e il rendere le strade, le case, i monumenti a un fatto di natura: ma una natura clemente, propriamente da idillio (stato di pace), e insomma teocritea: e cioè popolata da invisibili miti. E invincibilmente pensiamo a Siracusa — non al portarsela dentro del Trombadori pittore pienamente padrone dei suoi mezzi, maturo; ma del Trombadori giovane che ci vive e attento e ansioso segue i movimenti di quegli anni — quando leggiamo la firma che egli appone alle sue prime cose: Franz d'Ortigia o Franz Trombadori d'Ortigia. Pensiamo a una Siracusa in cui è arrivato D'Annunzio: e ci è guida all'immaginazione quel racconto di Vitaliano Brancati sulla Singolare avventura di Francesco Maria: l'avventura dannunziana di un giovane di Pachino, in provincia di Siracusa, che è stata un po' anche l'avventura di Vitaliano Brancati e in pieno quella di Francesco Trombadori, nato vent'anni prima. E possiamo anche spingerci alla caricatura, all'irrisione (come Brancati, anche verso se stesso che raccoglie dal fascismo gli ultimi aneliti dannunziani, si spinge); ma il fatto è che il dannunzianesimo è stato come una vaccinazione. Nella pittura del Trombadori maturo (così come del maturo Brancati) non una sola ombra ne resta. E' una pittura serena e severa, di vibratile j essenzialità, di una semplicità in cui confluiscono però le più complesse esperienze del novecento europeo. * * Ci vorrebbe un lungo discorso (e da affidare ad altri) per fare la storia delle esperienze corse da Trombadori nella prima metà di questo nostro secolo e specialmente nel decennio '20-'3Ó: che sono esperienze di tutta una generazione di pittori, ma in ognuno trovavano particolare declinazione. Lo notava Longhi: « Ciò che più convince al riguardo si è che i pittori citati {dell'ambiente romano: Trombadori, Donghi, Bartoli, Socrate, Ziveri) non si assomigliavano troppo fra loro, non facevano gruppo, o équipe. Ognuno cercava in parallelo la sua strada, lentamente, scontrosamente persino. Di ognuno occorrerebbe ormai una retrospettiva a segnare i singoli percorsi ». E' ciò che per Trombadori si sta facendo con questa mostra: e vi apparirà crediamo evidente quello che Longhi dice « il suo ostinato, continuo progresso ». Solo che l'ostinazione bisogna intenderla nel senso di vocazione e di coerenza, non di una travagliata volontà che supplisce il talento. Si ha anzi l'impressione, di fronte ai quadri di Trombadori, che egli abbia voluto come « contenersi », imporsi la coscienza di un limite: e insomma serenamente restare «ni muy atràs ni muy adelante», col piacere di dipingere per sé — che già ai suoi anni cominciava ad essere raro, e figuriamoci oggi — che è sempre il modo migliore e più felice di dipingere per gli altri. Leonardo Sciascia Francesco Trombadori. « Casine in Sicilia », dipinto nel 1955