Non falsi dibattiti ma negoziati veri di Aldo Rizzo
Non falsi dibattiti ma negoziati veri Il Medio Oriente all'Onu Non falsi dibattiti ma negoziati veri Mentre la crisi libanese vive il suo ultimo strascico, con la vertenza siro-israeliana su chi deve presidiare le frontiere meridionali dello sfortunato Paese, il quadro generale del Medio Oriente si conferma in movimento verso un possibile approdo negoziale. Il corrispondente di « Le Monde » dalle Nazioni Unite ha addirittura l'impressione « che non solo una convergenza senza precedenti esista tra le diverse parli interessate, ma che un'operazione sia discretamente in corso tra di esse per gettare le basi di una trattativa globale e finale, da intraprendere poco dopo l'insediamento di Carter ». Tanto più sorprende un documento come quello approvato a grande maggioranza (ma col voto contrario degli Stati Uniti e di sei dei nove Paesi della Cee, altri tre, fra cui l'Italia, essendosi astenuti) dall'Assemblea generale dell'Orni sulla questione palestinese. Esso non può essere considerato un contributo equo e realistico alle prospettive negoziali, ma piuttosto uno dei « tic » anti-israeliani dei quali abbonda la maggioranza dell'Assemblea, composta da « non allineati » e comunisti. Non è equo, perché invoca il rispetto dei diritti nazionali del popolo palestinese senza far cenno dei diritti d'indipendenza e di sovranità dello Stato di Israele, pur sanciti in precedenti, solenni risoluzioni delle stesse Nazioni Unite. Non è realistico, perché fissa una soluzione finale, prescindendo dalla fondamentale circostanza politica che essa non può che essere frutto di una trattativa. I 90 governi che hanno votato il documento (16 hanno detto no e 30 si sono astenuti) vorrebbero il ritiro di Israele da tutti i territori arabi occupati entro il primo giugno prossimo, al più tardi; il ritorno globale dei profughi; infine la nascita di un'« entità » palestinese nei territori evacuati da Israele, c cioè Cisgiordania e Gaza, una volta esclusi il deserto egiziano del Sinai e l'altura siriana del Golan. Eppure la risoluzione 242 dell'Assemblea generale, adottata dopo la guerra del '67, legava il ritiro israeliano dai territori occupati (o « da » territori occupati, secondo una celebre « querelle ») col riconoscimento del diritto all'esistenza, entro frontiere sicure e riconosciute, di tutti gli Stati della regione. E quanto al problema dei profughi, si sa quanto esso sia complesso: se 6-700 mila o addirittura un milione di arabi dovessero rientrare nello Stato d'Israele, che già ne annovera 500 mila su una popolazione totale di 3 milioni e mezzo, è chiaro che l'identità nazionale ebraica dello Stato ne uscirebbe seriamente compromessa. Quanto infine all'« entità » palestinese in se stessa, è vero che, come in molti hanno osservato, essa contiene implicitamente un riconoscimento di fatto dell'altra « entità », quella ebraica, tanto più che si rinuncia a parlare di un unico Stato multinazionale e multireligioso da edificare sulla distruzione politica di quello israeliano; ma è pur vero che si parla di entità e non di Stato palestinese, col che si lascia irrisolta la questione giuridica, autorizzando il sospetto che possa dopo essere riaperta anche quella politica, della coesistenza di fatto. Però parrebbe eccessivo, a questo punto, dare una concreta importanza al documento dell'Assemblea, che non ha poteri decisionali. Il vero dibattito sul Medio Oriente deve ancora cominciare, all'Onu e soprattutto fra le parti interessate. Ancora Le Monde, giornale non sospettabile di pregiudizi filo-israeliani o antipalestinesi, definisce ciò che è accaduto nei giorni scorsi al Palazzo di vetro « il canto del cigno dell'Olp vecchia maniera » e anche un omaggio platonico alla stessa Olp da parte dei governi arabi moderati. Detto questo, resta il fatto che la questione palestinese è centrale, sulla via della pace in Medio Oriente, ciò che richiede faticosi, ma inevitabili aggiornamenti tattici e strategici anche nella parte israeliana. La posizione ufficiale di Tel Aviv non è neppure essa incoraggiante, ferma com'è al rifiuto categorico del «mini-Stato» della Palestina araba e allo stesso negoziato diretto con i palestinesi. Eppure, ferme restando certe garanzie di fondo, anche di tipo internazionale, e una condizione di fondo, che deve essere quella del riconoscimento reciproco, non c'è alternativa al negoziato, al dialogo. Ora si delinea anche un'ipotesi confederale (Siria, Giordania, Libano e « mini-Stato » palestinese) , che, secondo il giornale libanese Al Anouar, potrebbe « risolvere in una sola volta tutti i problemi del Medio Oriente ». E' un'ipotesi interessante, perché il « mini-Stato » sarebbe inquadrato in una più ampia e responsabile realtà politica e istituzionale. Ma anche per questo è necessario un dialogo. Aldo Rizzo
Persone citate: Golan
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