Il mistero De Carolis di Gaetano Scardocchia

Il mistero De Carolis UNA "SUCCESS - STORY,, A MILANO Il mistero De Carolis Deputato de da quattro mesi, è diventato simbolo della destra - Scavalca il partito con spregiudicatezza, appellandosi all'opinione pubblica - "Essere moderato è bello" (Dal nostro inviato speciale) Milano, 25 novembre. Parliamo ancora di Massimo De Carolis. C'è un piccolo mistero nella sua success-story ed è questo: come si spiega che un giovane avvocato, consigliere comunale a palazzo Marino e deputato da quattro mesi, noto in campo nazionale fino a qualche tempo fa solo per aver preso una pistolettata dalle Brigate Rosse, sia assurto in così breve tempo a profeta e simbolo della destra de? E' stato proiettato tanto in alto dal suo retroterra elettorale, da complici astuti e con oscure manovre, o è decollato con le, sue ali e grazie a un sicuro intuito politico-pubblicitario? La prima ipotesi è legittima. Può darsi che De Carolis sia lo strumento di un gioco più grande di lui. ma non ne abbiamo le prove. La seconda ipotesi ha un fondamento meglio verificabile e pone a noi giornalisti un sottile problema eticoprofessionale: intervistandolo, affidandogli un ruolo di protagonista sul palcoscenico della vita nazionale, non finiamo col fare il suo gioco, con l'attribuirgli una pericolosità o un merito sproporzionati al peso politico della sua persona e dei 151 mila 555 milanesi che lo hanno eletto? Quando gli ho chiesto in che paese straniero gli piacerebbe vivere, De Carolis ha risposto senza esitazione: « Certamente negli Stati Uniti ». Non sappiamo se in America (e in Germania), l'avvocato milanese abbia trovato gli appoggi e gli incoraggiamenti di cui tanto si parla. Sappiamo che vi ha trovato modelli di comportamento politico che nella de erano sconosciuti: la trovata eccentrica, la provocazione, la capacità di utilizzare con spregiudicatezza i mass-media, un linguaggio esaltato e aggressivo che non ha nulla in comune con la tradizione del suo partito. Paradossalmente si potrebbe affermare che De Carolis è un Marco Pannella di destra, nel senso che ha saputo aggirare e scavalcare tutti i soffici labirinti nei quali veniva mediato il rapporto tra uomo politico e opinione pubblica. Alcune sere fa, in un albergo di Milano, si è svolto un dibattito sull'eterno tema de/Z'identità della de. De Carolis ne ha subito approfittato per esibirsi in uno show temerario. A un pubblico di 500 attivisti de ha presentato due manifesti elettorati, uno della de e l'altro della Cdu tedesca. Nel primo appariva solo il volto di Zaccagnini, un volto onesto, sofferto e malinconico. Per De Carolis era un emblema privo dì grinta, esprimeva rassegnazione ed era quindi perdente. Nel secondo manifesto campeggiava invece una bella ragazza bionda e seminuda che indossava i guantoni da boxe e diceva allo spettatore con occhio malizioso: « esci dal tuo angolo di sinistra ». La via giusta, per De Carolis, è quella tedesca: la persuasione occulta, la manipolazione psicologica che i Packard e i Riesman denunciarono venti anni fa nella società americana. Questa pubblicità a sfondo sessuale applicata alla politica provocò l'indignazione degli altri leader de. Era furente Luigi Granelli, che ha alle spalle il cattolicesimo sociale della provincia padana, ed erano preoc- cupati Vittorino Colombo e Andrea Borruso, anticomunisti fin che si vuole ma abituati a pescare ì loro voti nelle file più o meno integraliste del vecchio e nuovo cattolicesimo lombardo. Diceva Granelli: « Che cosa ha in comune quel manifesto lì, quei simboli di forza e di sesso, con le tradizioni del nostro partito? ». Un altro esponente della sinistra de, il professor Enrico De Mita, professore all'Università cattolica e fratello di Ciriaco, osservava che « fanterie incognite » si sono infiltrate nell'esercito de: « Io dico che un partito come il nostro non è un veicolo senza data e senza identificazione, a disposizione del primo che vuole impos¬ sessarsene. La de ha una storia, è figlia di certe esperienze. Il giorno in cui vincesse De Carolis, la de sarebbe un'altra cosa ». De Carolis è un uomo che inquina, che dirotta, che snatura la de? Lui risponde che la sua è un'operazione perfettamente legittima perché anche i partiti possono cambiare: « Ma che storie son queste? Io ho portato 151 mila voti alla de. Una parte di essi vengono da altri partiti? Dalla destra laica e liberale? dal msi? Benissimo. I miei amici de dovrebbero ringraziarmi per questi voti. E invece me li rinfacciano. E' il segno del loro provincialismo, del loro settarismo, della loro concezione del partito-chiesa. In America nessuno si sognerebbe di rimproverare a Carter di aver tolto un po' di voti a Ford e in Germania sarebbe ridicolo accusare Schmidt di aver sottratto voti alla Cdu ». Granelli sostiene che i 151 mila voti di De Carolis, proprio perché conquistati con l'irreale promessa di una svolta a destra, pongono ora il neo-deputato in difficoltà col suo elettorato. Costretto a votare a Roma per un governo che si regge sull'astensione del pei, a fare cioè una cosa che è l'opposto di quel che egli aveva predicato durante la campagna elettorale. De Carolis cerca di salvarsi l'anima a Milano con un sempre più forsennato e isterico anticomunismo verbale. Granelli può aver ragione. Ma la sua spiegazione non basta. Ci sono molte circostanze oggettive che aiutano De Carolis. Dire, come dicono gli esponenti della sinistra, che il frenetico avvocato milanese non ha radici nella vecchia destra de, quella dei Bettiol e degli Scalfaro, dei Dominedò e degli Sceiba, è una costatazione che non serve a decifrare il fenomeno. Il fatto è che quella vecchia destra a cui oggi si guarda con nostalgia, la buona destra codina e clericale, non esiste più. E' scomparsa, finita. Ma nella de esistono ancora un elettorato di destra e uno spazio a destra. Nessuno dei leader storici osa esporsi, a petto nudo, su questo frante. E allora ecco che De Carolis vi si precipita come un kamikaze. « Essere moderato è bello » egli grida. E le « fanterie incognite » di cui parla De Mita, i drappelli sbandati alla ricerca di un nuovo condottiero, riprendono coraggio e si riconoscono in De Carolis. E Mi ha saputo scegliersi un ruolo pubblicitario perfettamente adeguato al mercato: un uomo coraggioso, risoluto, sicuro di sé fino alla smodatezza, che si staglia bene sullo sfondo di un gruppo di po¬ liticanti che egli descrive come amletici e pavidi. C'è anche una carenza di leadership da cui De Carolis trae alimento. Prendiamo l'esempio di Milano. I Granelli, i Marcora, i Bassetti sono convinti che senza la collaborazione col pei non si può oggi governare l'Italia. Può darsi che essi abbiano perfettamente ragione. Ma resta il fatto che non dicono ad alta voce e con la stessa chiarezza le cose che forse pensano. Se si chiede loro: dove sta andando la de? verso il compromesso storico? verso il governo unitario d'emergenza?, rispondono a mezza bocca, con parole gelatinose come confronto e fluidità che non hanno forza strategica e capacità di persuasione. L'elettorato è perplesso, insicuro. La forza di De Carolis è di dare risposte chiare e brusche, magari politicamente irresponsabili, ma assai efficaci come messaggio propagandistico per se stesso. De Carolis dice che il successo del suo linguaggio ha una spiegazione sociologica. In una città che è senza dubbio la metropoli italiana socialmente più complessa e articolata, egli ha capito che la vecchia attrezzatura organizzativa della de. le sezioni, le parrocchie, le clientele, erano costruite a misura di una società provinciale, contadina e cattolica, che in gran parte è andata distrutta. E così come la destra de di ieri non può essere quella di oggi, anche la macchina del consenso deve adottare nuove tecniche, più vicine ai modelli americani o nord-europei: sapersi servire dei giornali (e De Carolis è balzato in prima pagina su tutta la stampa italiana e non solo sul Giornale nuovo di Montanelli), esprimersi con un linguaggio ricco di suggestioni emotive, avere la capacità di personalizzare V immagine politica. Sono esigenze che s'avvertono in tutte le fasce nuove del partito, anche in quelle che sono più lontane dal radicalismo di De Carolis. Da questa vicenda, i leader tradizionali de dovrebbero trarre almeno un insegnamento: oggi esìste un'opinione pubblica, forse anche erratica e nevrotica, ma assai più sensìbile di quella di un tempo. Bisogna che essi sappiano elaborarsi una cultura e una tecnica del consenso perché finora — come ha osservato acutamente Umberto Eco — il consenso se lo sono procurati con altri mezzi e il loro linguaggio « così oscuro e sintatticamente irsuto non ha mai mirato a convincere, bensì solo ad ammonire in codice (segreto) gli avversari di corrente ». Gaetano Scardocchia Massimo De Carolis