I 13 chiusi nella gabbia di Luciano Curino

I 13 chiusi nella gabbia I 13 chiusi nella gabbia (Dal nostro inviato speciale) Novara, 23 novembre. Sono tredici nella gabbia che ha solide sbarre dipinte con vernice chiara. Fa sempre senso vedere gente ingabbiata. Anche questa che, per dirla con parole del giudice istruttore, «ha dato prova di particolare malvagità ripugnante alla morale comune». Guardi questi tredici e pensi che, fuori dalla gabbia e se non fossero stati arrestati, non lì noteresti. Facce qualunque, gente anonima. Avrebbero conoscenti e vicini di casa che li saluterebbero, andrebbero nei negozi e nei grandi magazzini, entrerebbero nei bar e nei cinema, la domenica sarebbero negli stadi. Pensi a questo, guardi la gente nel gabbione e ti sgomenta la capacità che ha il malvagio di mimetizzarsi. Un avvocato che ha seguito gli interrogatori di Antonino Giacobbe mi dice: «Gli parli assieme e credi di avere a che fare con un buon ometto. E' dimesso, remissivo. Ma io sono convinto, e il processo lo dimostrerà, che Giacobbe è il personaggio principale. Almeno tra quelli che sono stati arrestati, perché ritengo che il boss ed i maggiori responsabili dell'organizzazione siano ancora sconosciuti». Nella gabbia, gli imputati si sono suddivisi: qui i settentrionali, là i calabresi. Giacobbe sta tra questi, impenetrabile, pare di capire che gli altri lo trattano con deferenza. Alla sua destra c'è Achille Gaetano, che teneva i contatti tra il «ramo nord» della banda e il «ramo sud» e che sorprendentemente sì è costituito. Perché? Per bloccare le indagini, afferma l'accusa, per dare una certa versione dei fatti in modo che non si frugasse troppo nella mafia calabrese. Giacobbe è impenetrabile, Gaetano disinvolto. Anche altri calabresi sembrano abbastanza sicuri di sé. Un difensore chiede ad uno di loro: «Allora, come ti va?». Quello risponde: «Dammi 'n cevingumme, che almeno si mastica». Ride furbesco, altri vicino a lui ridono. E anche nel «gruppo settentrionale» alcuni appaiono di buon umore o, almeno, non hanno l'aria di farsi sangue cattivo. L'unico veramente depresso è Giuliano Angelini, che nel suo cascinotto costruì la cella per Cristina e che dopo l'arresto parlò sfrenatamente e fece molti nomi, dopo di che incominciarono gli arresti in Calabria. Ora c'è chi pensa che Angelini è vivo soltanto perché possa ritrattare tutte le accuse durante il processo. Si sa che teme per la propria vita, ha ricevuto minacce in carcere, ha l'aria di uno che non dorme la notte, che sì sente il coltello alla gola. Se all'interrogatorio negherà tutto, che cosa accadrà? Il terrore di Angelini sembra spiegare la tranquillità, perfino l'ostentata sicurezza di altri imputati. Seduti sulla sua panchina sono imputati del «gruppo settentrionale» e hanno voglia di chiacchierare o mostrano noia. Più che imputati in una corte d'assise, sembrano quelli in una pretura che rischiano una contravvenzione. Giuseppe Milan, uno dei rapitori ed autista della banda, sospettato di altri rapimenti e soppressione dell'ostaggio, è un omone con giacca di pelle, che pare un tipo bonaccione, invece è uno dei più duri. Gianni Geroldi, uno dei carcerieri di Cristina ed uno dei tre che la seppellirono, ha una giacca ruggine e pare indifferente a tutto. Luigi Gnemme, anche lui con giubbotto di pelle, ha l'aria di non capire bene le cose e sovente sorride per qualche propria ragione: nel suo appartamento Cristina visse gli ultimi tre giorni. Il macellaio Albino Menzaghi, elegante, un completo beige di buon taglio, camicia azzurra, cravatta con il nodo grosso un pugno. Accu¬ sato di essere il finanziatore della vicenda. Quelli del Sud lo indicherebbero come il numero uno dell'organizzazione. Non scambia parola con alcuno, sta a braccia conserte come uno spettatore, a volte con un sorriso ironico. Loredana Petroncinì e Rosa Cristiano: zitte zitte, con gli occhi bassi. Stamane, prima di essere portate al palazzo dì giustizia, hanno chiesto la pettinatrice in carcere. Hanno stivali, una gonna classica, maglioncino su camicetta a fiori. Dice un avvocato che ha avuto occasione di conoscerle bene: «La Petroncini è gelida, molto lucida, decisa. La Cristiano è più fragile, ma forse più avida di denaro. Due donna che fanno paura». Altri giudizi, raccolti tra avvocati della difesa: «La Petroncini poteva avere un'esistenza normale, ma si è messa con Angelini e si è trovata invischiata nella vicenda. La Cristiano è cresciuta in una rigida famiglia pugliese. Ha dovuto andarsene da casa perché ragazza madre. Voleva stabilirsi a Torino, per errore è scesa a Novara e al caffè della stazione ha conosciuto Luigi Gnemme. Si è messa con lui, che le garantiva una certa tranquillità. Assieme hanno gestito un baretto, dove il cliente migliore era Angelini, spendaccione, trafficone, pieno di idee per arricchire. Un giorno Loredana, la donna di Angelini, ha promesso a Rosa quattro milioni e rotti per custodire una ragazza...». Luciano Curino Novara. Carlo Galli e Emanuela Luisari, i due ragazzi che furono rapiti assieme a Cristina (Foto Giovetti)

Luoghi citati: Calabria, Novara, Torino