Riconversione industriale non salvataggi di Giorgio Rota

Riconversione industriale non salvataggi Proposta alternativa Riconversione industriale non salvataggi Con una procedura insolita, ma non priva di giustificazioni, il governo ha sospeso per un mese la spirale dell'austerità in attesa che imprenditori e sindacati si accordino sulla riduzione del costo del lavoro e sul recupero della produttività. Potrebbe essere un semplice scarico di responsabilità; ma potrebbe anche essere l'inizio di una maggiore attenzione per le decisioni delle categorie produttive. L'alternativa rispetto all'austerità è infatti quella di produrre di più e meglio, in condizioni di economicità: e questo risultato non si può ottenere per decreto, senza la collaborazione degli addetti ai lavori. Proprio per quello è da sperare che gli incontri non si limitino ai temi della scala mobile e degli accorgimenti (festività, ferie, orari, turni, assenteismo) per migliorare la produttività. La discussione deve essere portata anche su questioni che vadano oltre le soluzioni congiunturali. Nel programma governativo, il punto che è meno lontano da tali questioni è probabilmente il progetto per la ristrutturazione e riconversione industriale. Esso, nato alla fine del 1975 e modificato in un paio d'occasioni, è stato presentato alle Camere come disegno di legge il 6 ottobre. Il progetto vorrebbe agire su due fronti: la ristrutturazione, per una migliore efficienza delle attività produttive in difficoltà; e la riconversione, per aiutare lo sviluppo di settori più dinamici ed avanzati. Però lo strumento proposto è unico: un'accoppiata di credito agevolato, erogato direttamente dallo Stato, e di contributi statali agli interessi pagati dalle imprese su altri finanziamenti. Provvedimenti collaterali dovrebbero facilitare la mobilità tra aziende degli occupati e la loro riqualificazione, nonché la ricerca applicata. Ma non sono dimenticati i salvataggi di aziende, quando la crisi assume rilevanza sociale. Il testo del disegno di legge è stato proposto come una traccia per la discussione; ed in effetti non è uscito del tutto bene dal dibattito. Ricordiamo rapidamente le principali osservazioni avanzate. Tra i partiti maggiori, la de ha espresso un appoggio ovvio, ma non pressante. Questo tema, nei suoi programmi, sembrerebbe rinviato ad una fase post-austerità, insieme ad altre misure per il rilancio produttivo. Il pei, pur non respingendo il metodo, ha giudicato clientelare la soluzione specifica. Preferirebbe un meccanismo incondizionato e indifferenziato, che lasci spazio alla verifica del mercato. Il psi è stato più critico: la strada seguita sarebbe vecchia, e porterebbe ad un salvataggio tacito d'imprese già prenotate. La Confindustria ha accolto abbastanza bene l'uscita del progetto. In seguito le sue critiche si sono infittite: la disponibilità dei finanziamenti sarebbe precaria, la discrezionalità politica eccessiva, e l'effetto propulsivo insufficiente. Da queste osservazioni è nata la controproposta di Carli per la trasformazione di debiti in partecipazioni. Dal canto suo, la Confapi ha giudicato il progetto assistenziale e garantistico, ed ha chiesto riserve a favore delle piccole imprese. I sindacati, dapprima contrari per il tradizionalismo dei meccanismi e la mancanza di garanzie di crescita dell'occupazione, hanno insistito per un preciso orientamento degli investimenti entro programmi territoriali e settoriali per il rilancio produttivo. Dalle osservazioni risulterebbe che il progetto governativo può forse essere adatto, con qualche rettifica, per puntellare situazioni barcollanti; ma rischia di non riuscire a stimolare nuove espressioni imprenditoriali. Per questo secondo aspetto, tuttavia, non mi risulta che vi siano state controproposte precise (quella di Carli è sull'altra linea anch'essa), tranne quella del partito liberale, che ha forse il difetto di essere poco nota. II meccanismo proposto dai liberali è semplice. Al posto delle consuete agevolazioni, per le nuove iniziative che devono avere una validità economica ed imprenditoriale dev'essere concessa una parziale garanzia pubblica di buon fine per finanziamenti che le imprese si procureranno da istituti di credito, o sul mercato con obbligazioni, o in altre forme. La garanzia parziale ha il pregio di mantenere la responsabilità del debitore e del finanziatore: perciò favorisce la scelta dei progetti più validi. D'altro canto, variando la percentuale della garanzia si possono stimolare maggiormente detcrminate iniziative, nel Mezzogiorno, per la creazione di posti di lavoro, per l'esportazione, per sostituire importazioni. Essa è pure manovrabile nel tempo. La convenienza della formula è notevole. Per ogni miliardo di finanziamenti garantiti, dopo diversi anni la perdita massima ipotizzabile sarebbe di circa 200 milioni. Supponiamo che la metà sia a carico dello Stato, cioè 100 milioni. Ebbene, un miliardo d'investimenti produttivi crea valore aggiunto per circa 300 milioni all'anno, sui quali lo Stato preleva almeno un terzo come imposte e contributi. Così l'iniziativa si pagherebbe in un solo anno, per il bilancio statale, e per di più in anticipo sull'effettiva spesa. Un ragionamento analogo vale per la bilancia commerciale, se vengono scelti bene i settori da incentivare. Certamente, perché il meccanismo funzioni occorrono condizioni generali di incoraggiamento e tutela dell'imprenditorialità, che il pli indica. Ma, al di là delle difficoltà contingenti, sono i provvedimenti strutturali di quel tipo, che si pagano da soli, quelli che servono all'Italia per uscire dalla gestione della stagnazione. Imprenditori e sindacati hanno ricevuto quasi una cambiale in bianco dal governo, con scadenza a un mese: sarebbe una fortuna se la riempissero con decisioni che rispondano a quei requisiti strutturali. Giorgio Rota

Persone citate: Carli

Luoghi citati: Italia