Genova: aumenta il traffico in porto ma il lavoro è lento e con alti costi di Filiberto Dani

Genova: aumenta il traffico in porto ma il lavoro è lento e con alti costi Mentre si prospetta la nuova organizzazione dello scalo Genova: aumenta il traffico in porto ma il lavoro è lento e con alti costi L'attività di sbarco, imbarco e movimento (gestita da tre enti diversi, con 10.000 dipendenti) appesantisce il sistema tariffario portuale e fa "fuggire" i clienti verso altri porti (Dal nostro inviato speciale) si propone di far funzionare su rotaia La Compagnia seiparti bisogna rivedere l'intera (Dal nostro inviato speciale) Genova, 19 novembre. Nel 1975 il porto di Genova ha totalizzato 52 milioni e mezzo di tonnellate di tragico contro i 59 milioni e mezzo del 1974. Poteva andare peggio. La crisi mondiale dell'economia, dei trasporti marittimi e delle fonti d'energia non ha risparmiato nessuno. Negli scali del Nord Europa il movimento delle merci è diminuito mediamente del 15 per cento, in quelli italiani il calo ha toccato punte del 18 per cento, mentre a Genova non ha superato l'Ufi per cento. Quest'anno va meglio. Nei primi otto mesi il traffico cosiddetto «ricco» (merci in colli e a numero) ha registrato, rispetto al corrispondente periodo del 1975, un aumento del 4,6 per cento, quello dei traghetti il 31,8 per cento. Buone notizie anche dal settore dei «containers»: il 15,7 per cento in più nei primi nove mesi del 1976. Queste cifre sembrano dimostrare che il porto italiano numero uno sul quale vivono, direttamente o indirettamente, 60 mila persone, è in miglior salute di quanto in generale si creda. Gratta gratta, però, affiora un malessere che può dirsi cronico perché alimentato da diversi e opposti interessi, da situazioni anacronistiche che, trascinandosi da anni, hanno catalogato lo scalo genovese tra quelli ad altissimo costo e a lento disbrigo del lavoro. Adesso, qualcosa si sta muovendo per curare questo malessere ed è qualcosa di straordinaria importanza. Basti dire che ha già dato la stura a polemiche più o meno palesi, ch'è oggetto di accesi dibattiti nel chiuso dei partiti, dei sindacati e delle categorie portuali. Il tema è scottante perché coinvolge grossi interessi, antichi privilegi, posizioni di potere. Ha un titolo I generico, «vertenza porto», e si propone di far funzionare meglio lo scalo dando una nuova organizzazione al lavoro per restituirgli tutta la vitalità. Cerchiamo di sintetizzare il complesso argomento con la maggior chiarezza possibile. Il lavoro in porto. E' diviso fra tre organismi, il Consorzio autonomo del porto (presieduto da un socialista), la Compagnia unica merci varie (feudo comunista), la Seport ' (vertice socialdemocratico). Il Consorzio, duemila e più dipendenti, gestisce lo scalo e provvede alla movimentazione dei mezzi meccanici fissi e ' su rotaia. La Compagnia, seimila dipendenti con alta qualificazione tecnica, ha il monopolio della manipolazione delle merci. La Seport, quasi duemila dipendenti, gestisce i servizi portuali. Il costo del lavoro. / dipendenti del Consorzio e della Seport hanno uno stipendio fisso, quelli della Compagnia, invece, sono pagati secondo le tariffe d'imbarco e sbarco e i cottimi; se non lavorano (perché non c'è lavoro) percepiscono il «salario minimo garantito» che a Genova è di 10 mila 400 lire al giorno. Se in porto c'è crisi, dunque, i primi a pagarne lo scotto sono i portuali della Compagnia. Nel 1974, per fare degli esempi, hanno lavorato mediamente 19 giornate al mese; nel 1975, 15 giornate e nel primo semestre di quest'anno non hanno superato le 13 giornate. Non è più tempo di vacche grasse, gli alti guadagni d'una volta sono svaniti, oggi un portuale della Compagnia mette assieme, si e no, dalle 250 alle 300 mila lire mensili per un lavoro che è fra i più duri. Nella cifra è compreso il «salario garantito» che attinge da un fondo nazionale il cui bilancio, l'anno scorso, si è chiuso con un passivo di 25 miliardi. Il fondo è alimentato da una serie di addizionali che gravano sul traffico portuale: se il traffico cala, calano gli introiti, e allora, nel tentativo di far quadrare le cifre, si aumentano le addizionali. Ma, di pari passo, aumenta il costo complessivo del traffico e così succede che la merce non in grado di sopportare nuovi oneri va alla ricerca di porti meno costosi (è il caso del traffico minore: 12,7 per cento in meno a Genova nei primi otto mesi del 1976). I nodi da sciogliere. C'è, tra i tanti, quello dell'eccesso di complicazioni che aggrovigliano il sistema tariffario portuale. Da più parti (è cosa nota) si accusa il porto di Genova di essere fra i più cari. «Certo che siamo cari — rispondono al Consorzio — ma la misura dei costi va anche rapportata alla qualità dei servizi che offriamo e sono servizi di prim'ordine». Non tutti, però, sono di questo parere. E' una polemica vecchia come il porto stesso ma che ha trovato alimento alla luce delle nuove realtà che hanno radicalmente mutato il concetto dei trasporti per mare: l'avvento dei traffici specializzati, «containers» e traghetti, le nuove tecnologie d'imbarco e sbarco, la velocità delle operazioni. «A Genova — dicono i critici — certe strutture portuali sono ancora legate al passato. Nei grandi porti i servizi hanno una dimensione industriale, qui invece è artigianale». La «vertenza porto». E' nata proprio dalla difficile convivenza dei tre organismi portuali. Il discorso è stato aperto dalla Compagnia che, senza mezzi termini, ha reclamato il «superamento» della Seport, cioè la soppressione dell'impresa a capitale pubblico subentrata nel 1969 ai privati. E i servizi? Ecco la proposta della Compagnia: «A noi la parte operativa e di banchina, al Consorzio la parte amministrativa e la responsabilità di gestione». Adesso il confronto delle idee s'è allargato. Non basta arrivare al «superamento» della Seport, si dice da più parti, bisogna rivedere l'intera organizzazione del lavoro; puntare alla «commerciabilità» delle tariffe. Qualcuno ha rimesso sul tappeto una vecchia questione, qual è quella di trasformare in un rapporto d'impiego subordinato e salariato le prestazioni dei portuali della Compagnia. Ma la Compagnia, che difende con risoluta intransigenza la propria autonomia, non vuole neanche sentirne parlare. Il discorso, comunque, resta aperto anche se le intese su questa strada appaiono estremamente difficili. Filiberto Dani

Luoghi citati: Genova, Nord Europa