Utopia di Dubuffet di Renato BarilliAngelo Dragone

Utopia di Dubuffet Il grande ciclo dell'Hourloupe Utopia di Dubuffet Renato Barilli: « Dubuffet: oggetto e progetto, il ciclo dell'Hourloupe », Ed. Fratelli Fabbri, pag. 132 con 137 ili., lire 12.000. Nel suo nuovo, ampio saggio sull'Hourloupe, Barili! approfondisce e sviluppa in maniera sostanziale la prima messa a punto da lui offerta fin dal '64 in occasione della mostra ordinata a Venezia, in Palazzo Grassi, e già dedicata a questo affascinante ciclo pittorico. Allora, tuttavia, VHourloupe era ben lontano dall'aver esaurito la sua carica vitale; stava, anzi, per assicurarsi inedite dimensioni e nuove direzioni di espansione. Due anni dopo infatti « invade lo spazio in un crescendo di ampiezza che porta alle proporzioni enormi degli edifici e dei giardini », precedendo e fiancheggiando in tal modo, sino al '73 — quando l'artista inaugura un'altra delle sue fertili stagioni di lavoro — « un abbondante decennio di ricerche sul versante dell'oggetto, del pro¬ getto, dell'ambiente (pop art, op art, land art, body art ecc.) svolto dalle nuove generazioni di artisti ». Dubuffet (75 anni) si è sempre mosso su una linea di contestazione fin dai giorni in cui si dichiarava nemico del « sistema delle belle arti », inaugurando i tempi dell'ari brut. Ma di qui, frutto persino emblematico d'una società tecnologicamente progredita, era nata intanto l'immagine dell'Hourloupe. Dubuffet, il maestro delle « alte paste », aveva abbandonato la sapienza e le raffinatezze dello scaltrito materiologo per rifarsi a ciò che di più istintivo avrebbe potuto affiorare dall'inconscio mondo figurale depositato nell'uomo d'oggi, nel momento di un suo libero divagare quando — come a tutti può accadere durante una lunga telefonata — ci si trovi con un foglio sotto la mano e una «biro» tra le dita. La nuova figurazione dubuffettiana prendeva così l'avvio da un motivo cellulare che da tempo pareva ossessionarlo. «La cellula in realtà — nota Barilli — non è più cellula, è pura invenzione grafica, scintillante gioco lineare totalmente disponibile... i colori standard di cui si vale sono fondamentalmente due, il rosso e il blu... tipicamente artificiali e anonimi, del tutto sintonizzati con la civiltà tecnologica, con la sfera della produzione artificiale e quindi dell'antinatura». Aveva già scritto Lorenza Trucchi (Jean Dubuffet, De Luca, Roma 1965): «La società-Hourloupe vuole mani agili e bianche, calzate di asettici guanti di gomma; vuole un segno chiaro, definito, schematico; vuole superfici larghe e aerate; colori forti e decisi, che tranquillizzino e diano un senso di benessere all'uomo-massa, al cittadino, acquirente, utente, votante, tesserato, dipendente, dirigente, attore e comparsa di questa complessa Anonima dell'Efficienza ». In questi dipinti le forme dai contorni marcati, vagamente antropomorfe e geometrizzanti, assumono carattere ameboide, dando vita ad una nuova progenie dubuffettiana che va verso l'oggettivazione mono-logica, fantasiosa, paradossale, per codificare — al di là d'ogni contrapposizione di forma e materia, di figura e fondo — l'immagine di un mondo «altro», subito gremito dal «suo elegante lastricato cellulare». Quasi per un antico terrore del vuoto, molto spesso nessuna zona rimane libera: non c'è angolo che non sia, come al centro, colmo di immagini e ognuna di queste sembra disposta, con i suoi elementi ad incastro, a saturare ogni possibile valenza figurale delle vicine. Abolita la categoria del pittoresco, il rigato diventa intanto l'indice pittografico dell'Hourtoupe, termine che — va pur detto — non poteva avere a priori alcun significato particolare. «... Come ogni indice — osserva Barilli — esso è puramente arbitrario e convenzionale: non importa cercare di capire da dove venga, quanto piuttosto come funzioni...». E Dubuffet, da quel magistrale illusionista che è, proprio con l'uso di quei tratteggi finisce col fingere uno spazio a più dimensioni. Nulla di meglio, quindi, per raffigurare questo ciclo pittorico che Barilli definisce come «ciclo dell'utopia, del nonluogo». Eppure anche il vocabolo appare tutt'altro che casuale. Quasi trasparente è l'ingegnosa corruzione attraverso la quale, almeno per una certa assonanza, lascia intendere la sua parentela col termine «tourlouper» (turlupinare) quasi per denunciare la sottile, allarmata ed allarmante turlupinatura di cui siamo possibili vittime, coinvolte in una lunga commedia degli errori. Angelo Dragone

Luoghi citati: Roma, Venezia