L'ex sindaco Adamoli rifarà il «Carlo Felice»? di Paolo Lingua

L'ex sindaco Adamoli rifarà il «Carlo Felice»? Presto nuovo sovraintendente L'ex sindaco Adamoli rifarà il «Carlo Felice»? L'esponente comunista, senatore per tre legislature, dice: "Non ci sono soldi, la soluzione va trovata al di fuori dello schema" (Dal nostro corrispondente) Genova, 18 novembre. «Stalingrado ha il suo mulino diroccato, in messo ai nuovi palazzi, come simbolo della guerra, così come a Berlino c'è la famosa chiesa: se Genova ha deciso che il "suo" ricordo debba essere il pronao neoclassico del "Carlo Felice", sta bene (...). Basterebbe decidersi. Però una città di ZOO mila abitanti sema un centro musicale, senza un teatro decente per l'opera e per i concerti è inconcepibile. Deve esserci una via d'uscita: vorrei, prima di chiudere la mia parentesi politica, trovare una soluzione. Sarebbe come riprendere l'ultimo capitolo della ricostruzione, dopo 25 anni». Gelasio Adamoli, 69 anni, sindaco (comunista) di Genova dal 1947 al 1971, quattro legislature (una da deputato, tre da senatore), questore di Genova della Liberazione, non ha perso l'ardore polemico. Parla nella sua quieta casa di viale Ferrucci, nel quartiere della Foce, nel salotto invaso dalla sua collezione di statuine — ne ha un migliaio, provenienti da tutte le parti del mondo — a pochi mesi dalla sua rentrée in politica attiva. Adamoli, tra gennaio e febbraio, secondo un accordo politico già stipulato tra comunisti e socialisti, che reggono l'amministrazione di sinistra del Comune, sarà nominato sovraintendente del «Teatro dell'opera Carlo Felice» di Genova: una prospettiva che riporta, in primo piano, uno dei protagonisti più popolari della politica genovese del dopoguerra. Adamoli cerca di evitare l'argomento «Sovraintendenza»: «Ne parleremo a cose fatte; adesso non è corretto. Certo, sono contento, perché nasconderlo? Man mano che passano gli anni ci si attacca sempre di più ai valori culturali e voglio legare il mio "ultimo atto" a un'attività di cultura. Ripeto: la battaglia futura sarà imperniata a dare a Genova un teatro». Fin qui l'uomo. Sopravviene il politico: «Certo, bisognerà fare i conti con le casse comunali. I miei compagni, poveretti, a Palazzo Tursi hanno ereditato una situazione disastrosa. Ci sono ben altre priorità, altri problemi. La soluzione, però, va trovata al di fuori dello schema». Adamoli è «in pensione» da qualche mese. E' stato senatore (eletto nel I collegio di Genova, quello che racchiude i quartieri operai del Ponente, da Sampierdarena a Voltri, e dove il pei è vicino al 50 per cento dei suffragi) sino al 20 giugno. «Sono stato fortunato — commenta — perché il partito in genere ferma i candidati n due legislature. La terza è un'eccezione». Adamoli è stato un'eccezione dell'eccezione. Sorride: «Ammetto d'aver goduto d'una certa popolarità. Forse perché non sono genovese, perché sono "foresto"». L'ex sindaco è infatti nato a Teramo nel 1907 (suo padre era un piccolo industriale, piuttosto agiato. Questo non gli impedì di essere tra i fondatori del pei nel 1921). Fu mandato, finito l'istituto tecnico, a Genova alla facoltà di Economia e commercio, dove si laureò brillantemente. «Presi parta a un concorso bandito dalla Cassa dì Risparmio: risultai primo tra 120 concorrenti». Da allora la sua vita passò tra il tranquillo lavoro in banca e l'insegnamento. «Sono iscritto al pei clandestino dal 1926: per quanto controllato dalla polizia fascista, perché Ha mia famiglia era schedata, sono riuscito, sino allo scoppio della guerra, a svolgere l'attività di consulente giuridico ed economico per il pei». Durante la guerra era ufficiale di artiglieria sul fronte francese. Poi tornò a Genova come comandante dei partigiani comunisti. Alla Liberazione è stato, per qualche mese, questore. «Nelle giunte di sinistra tra il 1945 e il '47 fui assessore alle Finanze, sino a quando non fui eletto sindaco». Quei quattro anni, l'inizio della ricostruzione, sono i «più bei ricordi» della vita di Adamoli. «Mi prefissi — dice — nonostante gli anni della "guerra fredda" di essere il sindaco di tutti i genovesi». Cordiale, un po' «attore», dotato d'una oratoria capace di far presa su ogni genere di uditorio, accurato nell'abbigliamento, sempre presente alle pubbliche manifestazioni, da quelle culturali alle sportive (è tifosissimo del Genoa), Adamoli è stato il primo comunista a fare breccia nelle simpatie della chiusa borghesia genovese. Prosegue: « Genova è città ricca di risorse che è stata mortificata negli Anni Cinquanta da uno sviluppo nazionale a una dimensione. Ma oggi che si parla di riconversione può giocare ancora le sue carte. Deve invertire la tendenza (...)». Campanilista? «Beh, sì. Ma il mio è un ottimismo razionale, non offuscato da pregiudizi provinciali, sia chiaro». Però, le «Caravelle di Colombo...». «Sì. le "Caravelle" (le tre navi "storiche" riprodotte sul prato in piazza della Vittoria, presso le quali c'è sempre un via vai di turisti, n.d.r.) le ho volute io 25 anni fa. Sono belle, sono un fondale gentile e sereno, un simbolo della città. Ma non ho detto poc'anzi che sono un ottimista?». Paolo Lingua