Perché in Germania si chiede la liberazione di Kappler di Gaetano Scardocchia
Perché in Germania si chiede la liberazione di Kappler LE RAGIONI AVANZATE DAGLI "INNOCENTISTI Perché in Germania si chiede la liberazione di Kappler Possediamo la documenta- ; zione, inedita in Italia, a suo | tempo raccolta da un gruppo di avvocati tedeschi per sollecitare la liberazione di Herbert Kappler. E' un opuscolo di 74 pagine (Der Fall Herbert Kappler, curato da Rudolf Aschenauer) che contiene scritti e testimonianze a discolpa del criminale di guerra. E' una lettura interessante per capire il vasto movimento di opinione pubblica che si è creato in Germania federale a favore di Kappler e che non sempre è riconducibile a una ispirazione neo-nazista. Uomini di insospettabile moralità, dal defunto Gustav Heinemann a Willy Brandt, se ne sono fatti interpreti presso i governi | j ! ; italiani negli ultimi dieci an | ni La documentazione espri| me il parere degli innocenti¬ sti, l'ala destra del movimenj to, coloro che giudicano sleale il processo di Roma e in! giusta la condanna. Essi cercano di provare che Kappler non commise un crimine, ma un'azione dì Stato, un terribile atto amministrativo, qualcosa di ineluttabile nella logica della guerra e della rappresaglia. Siamo nella linea della famosa tesi enunciata dal generale Jodl a Norimberga quando gridò che non tocca a un soldato ergersi a giudice dei suoi comandanti: «Questo tocca alla storia o a Dio in cielo». Poiché l'accusa principale rivolta a Kappler fu quella di avere esagerato nella misura della ritorsione, facendo uccidere 335 ostaggi invece di 330, i testimoni tedeschi si sforzano di dimostrare che la colpa ricade sul questore di Roma, Caruso, il quale inviò 55 prigionieri di Regina Coeli invece dei 50 richiestigli. «E la sua lista purtroppo non era numerata» spiega l'ex capo della Kriminalpolizei di Roma, Cari Schuetz. Insomma, nessuno contò i nomi né gli uomini. Kappler si accorse solo il giorno dopo di avere ucciso cinque persone in più. Disciplinato com'era — ci assicura Schuetz — si premurò di segnalare egli stesso ai suoi superiori «das bedauerliche Versehen» (il deplorevole errore). L'assenza di eccesso criminoso nel suo comportamento sarebbe dimostrata, secondo i testi citati nell'opuscolo, dalla circostanza che nei giorni successivi alla strage morirono altri otto soldati del battaglione «Bozen», ciò che avrebbe giustificato — in base all'ordine di Hitler di fucilare dieci italiani per ogni tedesco morto — l'uccisione supplementare di 80 ostaggi. Kappler invece non calcò la mano. «Era un uomo intelligente, concreto e comprensivo» dice uno dei testi. Il punto che ci interessa sottolineare è proprio que- sto: che tipo di uomo, che esemplare morale esce da queste testimonianze di commilitoni e complici? Kappler viene descritto come un soldato modello ivorbildlicher Soldat), privo di istinti malvagi o crudeli, perfettamente ligio alle gerarchie e alle leggi di guerra. Friedrich Moellhausen, un diplomatico tedesco che nelle sue memorie non è tenero con Kappler, qui lo discolpa: nel tragico intreccio degli eventi egli fu soltanto «uno strumento disciplinato», che non poteva fermare «la ruota che girava», dunque un uomo trascinato al delitto da fatti più grandi lui. A parte che Kappler fu descritto in luce ben diversa dai testimoni italiani, c'è da osservare che la sua presunta innocenza, di esecutore senza scampo, di rotella finale nell'immenso congegno della vendetta, può diventare a sua volta la peggiore delle colpe. In queste pagine Kappler appare come Eichmann apparve a Hannah Arendt durante il proI cesso di Gerusalemme: un uomo che non aveva nulla di diabolico o di demoniaco, non era un Iago o un Machbeth, non fu spinto al male da una fredda determinazione ma dalla casualità o banalità delle circostanze, perché occupava un certo grado gerarchico in uno sfortunato momento storico. Kappler può dire, come Eichmann, che un altro uomo al suo posto avrebbe fatto le stesse cose. Criminali controvoglia, intercambiabili. Ma è proprio cosi? Può esser vero che il nazismo ha creato un criminale di tipo nuovo? Il burocrate privo di idee morali e perciò predestinato a diventare strumento di sterminio? Ma resta il fatto che la giustizia degli uomini deve giudicare le responsabilità dei singoli per i fatti accertati che essi hanno compiuto. E' il discorso immaginario che Hannah Arendt rivolgeva a Eichmann: «Quali che siano gli acciden- ! ti esterni o interiori che ti spinsero a divenire un criminale, c'è un abisso tra ciò che tu hai fatto realmente e \ ci0 cne 6"' altri potevano fa j re>>- i Nell'opuscolo tedesco ven¬ gono poi sollevati alcuni dubbi giuridico-morali sulla legittimità del giudizio italiano circa il comportamento di Kappler (anche Leo Valiani, in Italia, ha manifestato qualche perplessità sulla coerenza della nostra giustizia): l'esercito italiano ha compiuto rappresaglie contro la popolazione civile durante la guerra libica, in Etiopia, nei Balcani, eppure non ha mai processato i responsabili e ha rifiutato l'estradizione di alcuni di essi chiesta nel dopoguerra dalla Jugoslavia; e poi l'Italia ha amnistiato i criminali fasciti (leggi del 1953 e del 1959), discriminando i cittadini stranieri. In altre parole: se Kappler avesse indossato la camicia nera invece dell'uniforme delle SS, a quest'ora sarebbe libero. Queste sono le argomentazioni degli avvocati tedeschi di Kappler. Bisogna dire che il governo di Bonn non ne ha mai fatto uso e ha chiesto la grazia per motivazioni umanitarie, sostenendo che il prigioniero ha comunque già scontato una pena adeguata al suo delitto. E qui si riapre una argomentazione bifronte, perché il concetto di giustizia non è mai assoluto. Commisurata all'ergastolo che altri detenuti italiani, per delitti assai meno gravi, sconteranno fino alla morte, la scarcerazione di Kappler è iniqua. Ma i tedeschi fanno altri confronti e dicono: i condannati di Norimberga (eccetto Rudolf Hess) sono ormài tutti liberi, la Francia I e perfino l'Unione Sovietica i hanno rilasciato i criminali I tedeschi, e dunque del grande fiume di sangue che inondò l'Europa tra il 1939 e il 1945 restano a espiare la colpa cinque o sei personaggi minori, tre in Olanda e due in Italia (Reder e Kappler). E' giusto? Ma è un dubbio perfettamente rovesciabile e noi possiamo chiederci a nostra volta se a vulnerare il principio di giustizia sia la prigionia degli uni e non invece l'avvenuta liberazione di tutti gli altri. Gaetano Scardocchia Herbert Kappler fotografato al processo del 1948
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