Inglesi e chiacchiere sconfitti dagli azzurri di Giovanni Arpino

Inglesi e chiacchiere sconfitti dagli azzurri Inglesi e chiacchiere sconfitti dagli azzurri (Dal nostro inviato speciale) Roma, 17 novembre. Il risultato è un classico due a zero, prettamente inglese, ma si tinge d'azzurro. La nazionale italiana, pur non disputando una partita di puro fascino (però l'agonismo condiziona l'ispirazione, lo sappiamo, così come altera la scioltezza dei movimenti) ha fatto sua la posta, e senza mai demeritare, contro la squadra di Don Revie. Attenti, caparbi, anche se spesso soffocati o in affanno nella manovra a centrocampo, dove i «cervelli» funzionano a corrente alternata e — purtroppo, ma va detto, proprio se vogliamo migliorare questo Club Italia futuribile — con ginocchi persi, invecchiati. Due gol sono un'ottima opzione per la rivincita in calendario nel lontano novembre '77. A Wembley, se nel frattempo Don Revie mantiene il cadreghino e non scopre un novello genio della pelota britannica, % nostri «prodi» potranno agevolmente attendere le offensive dei «bianchi» e magari infilarli in contropiede, senza rischiare più di un'unghia. Oggi come oggi il passaporto per i «mondiali» del '78 ha un timbro nostrano, e non l'emblema del temibile leone britannico. Costretta a far gioco, la nostra squadra ha denunciato in modo anche preoccupante le sfasature del centrocampo, dove Romeo Benetti era sovente smarrito e in ritardo, dove la lentezza cronica di Capello faceva sognare il maggior dinamismo di Zaccarelli e Patrizio Sala, dove Antognoni non tornava a coprire, a dare una mano. Il miglior centrocampista azzurro — ma questa sì che è una invenzione di Enzo Bearzot, perfetto conoscitore degli inglesi — è stato a lungo Graziani, che arretrava e pigliava botte con una generosità straordinaria. Mentre sui calci piazzati dei «bianchi» anche Bettega si trovava pronto a difendere nella nostra area. Molti si sono domandati: perché non spedire in campo, ad un certo momento, uomini dai muscoli più freschi, appunto quel Zaccarelli granata che sedeva in panchina? Durante la ripresa il «forcing» inglese, tutt'altro che geniale ma continuo, creava una situazione di squilibrio perico- I «collettivo» era loso di fronte alla nostra area. Ma certo Bearzot non poteva mutar volto a una squadra studiata a lungo, che nel bene e nel male doveva ritrovarsi, far blocco, a costo di consumare su questa erba dell'Olimpico la sua ultima identità. E' evidente — l'esame risulta importante proprio per questi inglesi, vinti ma in qualche modo «maestri» di tecnica e di strategia — che il Club Italia ha un futuro, purché sposti pedine, inserisca gente fresca, aumenti il suo potenziale dinamico. Per molte fasi i britannici hanno sfoderato una «difesa avanzata» più che pregevole. Il loro era, in qualche modo, un catenaccio, ma non vituperevole perché mai rinunciatario, sempre spostato venti metri oltre la linea d'area. Subivano e attendevano il gioco azzurro, pronti a «contrarlo», ma con una intelligenza tattica che riscattava la mediocrità di vari giocatori. E alle durezze (le costole e le tibie di Graziani ne sanno qualcosa) non hanno mai rinunciato. Tuttavia, la squadra di Enzo Bearzot, determinatissima, a costo di mangiar gramigna, ha fatto i gol necessari: su I punizione il primo, con Antognoni (e con la complicità d'una leggera deviazione in barriera) e con una favolosa azione impostata da Causio, rifinita da Benetti, conclusa dalla «testina d'oro» di Bobby Bettega, tuffatosi come un kamikaze, sì, ma un kamikaze disegnato da Cartier il gioielliere. Una vittoria onesta, pulita, senza grinze, chiedevamo a questa nazionale «made in Twin». Ne conoscevamo certi limiti, ma si sapeva che il in ogni caso convinto dì poter far suo il risultato. Proprio perché fummo e siamo — da queste colonne — sinceri protettori della Nazionale torinese, possiamo, senza cedere all'euforia, riconoscere che la squadra abbisogna di ritocchi importanti. Però ha vinto «prima» di questi ritocchi, e il valore di questa vittoria va sottolineato in modo giusto. Oggi tutti gli ex-nemici di Emo Bearzot corrono a brucargli in mano, avendo il «vedo» imposto una piccola Waterloo a Don Revie. Noi stiamo con i piedi per terra, e mentre elogiamo Giacinto Magno, Causio, Cuccureddu, Graziani e Bettega, non ci sfugge la necessità di approfondire una politica ed un lavoro indispensabili al club azzurro. Dopodiché si brindi pure alla vittoria contro gli inglesi, «suonati» e meritevoli di «suonatura» per le troppe chiacchiere seminate nella lunga vigilia. Giovanni Arpino I servizi alle pagine 18 e 19

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