Quale pluralismo?

Quale pluralismo? Quale pluralismo? di Benigno Zaccagnini segretario della de Con l'intervento del segretario de Benigno Zaccagnini si conclude il dibattito sul « pluralismo » aperto da Norberto Bobbio. I precedenti interventi di Pietro Ingrao, Ugo La Malia, Antonio Gioliti!, Flavio Orlandi, Valerio Zanone sono stati pubblicati rispettivamente il 7-91214-20 ottobre 1976. 11 nostro pluralismo è quello che ispira gli Stati democraticosociali dell'Occidente nell'età contemporanea. Si tratta di una concezione della comunità che valorizza innanzitutto, e soprattutto, la presenza e la funzione di formazioni e nuclei sociali particolari ed autonomi, operanti nella società civile sia a livello politico-culturale, sia nell'ambito sociale-economico. Forse questa definizione non apparirà del tutto corrispondente all'immagine, al «ritratto», del pluralismo cristiano-sociale che Norberto Bobbio ha diffuso nei suoi scritti: in realtà la nostra concezione più aggiornata, pur non ignorando i pericoli della disgregazione e delle tentazioni centrifughe, rifugge tuttavia da modelli troppo assoluti di armonia prestabilita, o se preferiamo di «società organica», giacché, con una coscienza storicamente più matura, riconosce e sconta le condizioni permanenti di conflittualità, e tende a raggiungere «dinamicamente» una serie di equilibri che pur vengono continuamente minacciati. In altri termini, senza diventare liberal-democratici, noi pensiamo che non bisogna mai accentuare, sopravvalutandolo, il rischio della disgregazione, per sminuire o sottovalutare, invece, il pericolo della burocratizzazione partitica, anche se unita ad un complesso involucro di assemblee elettive coordinate, però, dal partito o dai partiti egemoni. E' naturale peraltro che, essendosi elettoralmente rafforzato il partito comunista ed affacciandosi in Italia la prospettiva di uno schieramento alternativo di sinistra, sia stata rivolta ai comunisti una domanda che non è affatto provocatoria: ma quale è il vostro pluralismo? In effetti, al di là dello stato d'emergenza economica e delle sue immediate esigenze, il rafforzamento del pei ripropone il problema di ciò che i comunisti definiscono «transizione al socialismo», anche se in una prima fase essi dichiarano di accontentarsi di inserire «elementi di socialismo» nel nostro ordinamento. Come si concilia, dunque, il pluralismo con i postulati della transizione al socialismo, e soprattutto con il logico risultato della transizione stessa? Certo da parte del pei si risponde che non si intende dissociare socialismo da democrazia: ma non v'è dubbio che restano ugualmente oscuri alcuni punii fondamentali. E qui non facciamo alcun processo alla intenzioni, come teme l'onorevole La Malfa, ma ci limitiamo a mettere in rilievo problemi reali che, del resto, l'onorevole Riccardo Lombardi ebbe già ad indicare, sinteticamente e con grande onestà intellettuale, all'ultimo congresso socialista. Le domande di Bobbio, dunque, così come le nostre, non sono esercitazioni astratte o pretestuose, ma motivate storicamente e attualmente dal collegamento esistente tra il rafforzarsi del pei e il traguardo, la scadenza, della transizione al socialismo. L'on. Ingrao ha risposto autorevolmente, a questo tipo di obiezioni, che il pluralismo del pei è quello accolto e sancito dalla nostra Costituzione. Una precisazione, questa, che può adattarsi e riflettersi anche su un periodo molto lungo, ma che si concilia difficilmente con l'opinione illustrata da Togliatti in una dichiarazione programmatica all'VIII Congresso del pei nel 1956, secondo la quale «la stessa nostra Costituzione, che non è una Costituzione socialista, non ha cambiato la natura dello Stato». Una volta compiuta la «transizione al socialismo» come prescindere da una Costituzione veramente socialista? Finora il pei ha definito soltanto «in negativo» — se così si può dire — la situazione che si creerebbe con quel «mutamento di qualità», che secondo i comunisti sarebbe rappresentato dalla conquista da parte delle classi lavoratrici della funzione dirigente loro destinata in un nuovo blocco di potere, sulla strada di una avanzata verso il socialismo nella democrazia e nella pace: né socialdemocrazia di tipo Occidental-, né democrazia popolare di tipo orientale. Ma, in positivo, quale immagine di Stato e di società emerge da questo doppio rifiuto? Il modo di distinguersi e di differenziarsi dei comunisti rispetto al riformismo socialdemocratico — il fatto cioè che il pei valorizzi e insista sul legame tra lotta per le riforme e lotta per il potere — porta subito a mettere l'accento sul concetto di egemonia: e non ci tranquillizza molto la precisazione che comunque non si tratterebbe tanto dell'egemonia del «Principe» gramsciano, vale a dire del partito comunista, quanto della classe operaia che, però, non può prescindere dal «momento partito». Si dice: ma non è affatto arbitrario che all'egemonia della classe borghese succeda l'egemonia della classe operaia. Possiamo rispondere che siamo usciti da tempo dalla fase dell'egemonia e del dominio borghese e che il nostro è uno Stato tipicamente pluriclasse. E poi nella «società regolata» che risulterebbe dalla transizione al socialismo, o che già si delineerebbe in una fase avanzata di tale cammino, quali «contropoteri» reali potrebbero funzionare e resistere nella società, una volta che siano mutate le parti sociali e le loro rappresentanze partitiche? Il richiamo dei comunisti al consenso ed alla sua reversibilità suona piuttosto astratto quando si assicura che, nel quadro di una democrazia pluralista, l'elemento della «coercizione» sarebbe rivolto soltanto contro il grande capitale «per spezzare — come ha scritto Gruppi in "Critica marxista" dell'aprile scorso — i suoi legami con l'imperialismo, per imprimere un nuovo corso all'economia, per trasformare i rapporti sociali e di proprietà». Noi temiamo, in ahre parole, che il pluralismo, secondo tale versione, risulti del tutto interno al nuovo blocco di potere e che il rischio della disgregazione liberal-democratica venga evitato solo perché tale pluralismo sarebbe organicamente collegato all'egemonia del partito. A questo punto, da alcune parti ci si invita a considerare il fatto che la vera sostanza del disegno comunista — ossia la avanzata verso il socialismo nel quadro di una democrazia pluralista — potrebbe manifestarsi compiutamente, proprio per il suo carattere arduo e innovatore, solo nel momento della sua effettuazione pratica e concreta: come dire, in termini più semplici, che la bontà del nuovo prodotto si apprezza assaggiandolo. In realtà noi non pretendiamo affatto di verificare pretestuosamente le credenziali di democraticità del partito comunista, cosa che del resto non ci compete, in una specie di esami che non finiscono mai. Ma abbiamo diritto non solo noi ma ogni elettore e tutta l'opinione pubblica, di sapere qualcosa di più, almeno sulla formula e sostanza del nuovo prodotto. Roma. II segretario della democrazia cristiana, Benigno Zaccagnini (Telefoto Ap)

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