Il vescovo di Veneti! benedirà la salma del parrete solo e malato che s'è ucciso di Remo Lugli

Il vescovo di Veneti! benedirà la salma del parrete solo e malato che s'è ucciso Con un colpo di pistola ad una tempia, in ospedale Il vescovo di Veneti! benedirà la salma del parrete solo e malato che s'è ucciso Aveva 73 anni e da due anni aveva un tumore - Dopo l'operazione, in agosto, soffriva molto (D t iit (Dal nostro inviato speciale) Vercelli, 15 novembre. La chiesa, del Settecento, rimaneggiata nel secolo scorso, è piccola, come del resto la borgata, Larizzate, a due chilometri dalla città ma già in aperta campagna. Si arriva alla chiesa passando tra due lunghi e grigi muri di cascine dalle molte finestre buie. La strada è deserta, il sagrato è deserto, anche dentro non c'è nessuno. Quattro ceri brillano intorno ad un feretro su cui sono deposte una stola e una cotta. E' la bara del parroco, don Lino Cavagliano, 73 anni. E' morto sabato sera, all'ospedale Sant'Andrea, di morte violenta. Si è sparato un colpo di rivoltella ad una tempia. Una morte non da prete. Bisogna cercare di capire; da due anni aveva un tumore, lo avevano operato nell'agosto scorso, un intervento demolitore, con l'asportazione della vescica. La fine sarebbe comunque stata prossima, e nell'attesa c'era una enorme sofferenza fisica. Don Lino non l'ha saputa sopportare. Mezz'ora fa, qui nella chiesa, c'erano una quarantina di persone, don Eusebio Regge, parroco della chiesa della Concordia, che è alle porte di Vercelli, ha recitato il rosario. Al quarto mistero ha detto: «Preghiamo la Madonna che abbia a prendere per mano questo nostro fratello sacerdote e lo accompagni nella gloria di Dio». Forse ci sarà a . più gente questa sera, alle 20. Non c'è da attendersi molto, tuttavia, da un paese che conta appena 240 abitanti. Ai piedi della bara c'è un mazzetto di rose rosse, fasciate con una scritta: «La popolazione di Larizzate». Entra un sacerdote, parroco di un paese della provincia. E' accompagnato da un giovane. Il giovane guarda; legge la scritta, conta le rose, quattordici. ' «Un po' poche — dice — per un prete che è stato parroco per trentacinque anni in questo stesso posto». Don Lino non è stato ucciso soltanto dal proiettile alla tempia e dal tumore, ma anche dalla solitudine. La casa parrocchiale è attaccata alla chiesa, e lui l'abitava, un tempo, con la sorella Adelina, di quattro anni più giovane. Morì sette anni fa, di tumore. Da allora è sempre rimasto solo: si faceva da mangiare da sé, lavava gli indumenti, se li stirava. , Il paese via via si andava spopolando. Nella campagna di Vercelli ci sono cascine enormi, con interminabili file di finestre, tutte chiuse. Trent'anni fa erano dormitori per salariati e mondine, mano d'opera che poi è stata soppiantata dalle macchine e dai diserbanti. A Larizzate c'erano più di mille abitanti, se ne sono andati non solo i salariati e le mondine, ma anche molti contadini del posto, attratti dalle fabbriche, nelle città. I fedeli, in chiesa, si facevano sempre meno numerosi. Don Lino sentiva l'abbandono intorno a sé. Poi, la malattia. Già due anni fa gli dissero che si trattava di un tumore e che si sarebbe dovuto far operare. Non ne voleva sapere. Aveva paura, e non lo nascondeva. Dice un contadino che ha la sua stessa età: «Mi salutava chiamandomi coscritto, e tutte le volte che io gli chiedevo come andava lui parlava dell'operazione, che non voleva fare: "Se vado sotto i ferri, per me è finita", diceva». Un anno fa ha lasciato la chiesa nelle mani di don Eusebio e di don Guido Galfione, entrambi della Concordia, i quali venivano la domenica a celebrare Messa, e lui si è fatto ricoverare in una Casa di riposo del clero. Qualche volta faceva una scappata al suo altare. In agosto si è dovuto sottoporre all'intervento. E dopo si è aggravato il supplizio del dolore. Non è più uscito dall'ospedale, e quindi è da ritenere che già prima dell'intervento avesse portato con sé la rivoltella 7,65, che da tempo teneva in casa per i ladri. Sabato sono andati a fargli . visita un suo nipote, Giovanni Cavagliano, che abita ad Olde- nico, e don Eusebio. Dicono: «Non ha lasciato sospettare l'intenzione che invece covava: ha parlato del tetto della chiesa, che bisognava al più presto far aggiustare». Ma un po' più tardi, nel pomeriggio, a Giovanna Roncarolo vedova Negro, la donna che fa le pulizie nella chiesa e che suona le campane, ha detto: «Mi saluti tutti». E ad una signorina pure in visita ha sussurrato: «Mi dica un Requiem aeter-nam». Alle 19,25 un colpo e la fine immediata. Domattina il vescovo monsignor Albino Mensa verrà qui a celebrare la Messa, insieme con monsignor Picco, un sacerdote di Larizzate in pensione; la salma sarà poi tumulata nel cimitero di Oldenico, paese d'origine di don Cavagliano. Il presule leggerà e commenterà un passo del Vangelo secondo Luca: «Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato...». Dal Concilio in poi è mutato l'atteggiamento della Chiesa nei confronti dei suicidi. Pri¬ ma gli si rifiutavano gli onori della sepoltura religiosa, che poteva essere ammessa solo con uno speciale permesso. Ora non più. Spiega don Eusebio: «Si riteneva che l'uomo non potesse scegliere egli stesso il momento in cui doveva finire la vita, dono di Dio; il suicidio era inteso come separazione volontaria dall'amicizia con Dio. Oggi prevale la tesi che al suicida manchi la piena coscienza e consapevolezza dell'amore con Dio; e il suo gesto insano, ingiusto, non può essere considerato peccato». Remo Lugli m

Luoghi citati: Oldenico, Vercelli