Kappler ieri scarcerato, ma rimane in ospedale di Guido Guidi

Kappler ieri scarcerato, ma rimane in ospedale Kappler ieri scarcerato, ma rimane in ospedale (Segue dalla 1* pagina) cuzione dell'ordinanza del tribunale militare. Si è davvero ravveduto Kappler? Questo del «ravvedimento» è l'unica condizione che la legge pone alla concessione della libertà a un condannato, oltre a quella, per un ergastolano, di avere scontato almeno 28 anni di reclusione. Non è facile rispondere al quesito in modo categorico: ma non vi è dubbio che Kappler di oggi è completamente diverso dal Kappler di ieri. La sua tesi di sempre e soprattutto di questi ultimi tempi: «Mi ritengo corresponsabile per quello che è avvenuto da un punto di vista religioso e morale e per questo non mi sono mai ribellato, per questo non mi sono mai sentito un martire o un capro espiatorio. Ma sotto il profilo giuridico dovrei discutere a lungo: non mi pare giusto considerarmi l'unico protagonista di quella strage alle Fosse Ardeatìne». Herbert Kappler arrivò a Roma nel 1936: aveva 29 anni (è nato a Stoccarda nel settembre 1907) e un incarico di grande fiducia per lui da poco ufficiale di polizia. Aveva il compito di «preparare» dal punto di vista tecnico la visita di Hitler. A Roma rimase sino al settembre 1943 quando organizzò il servizio ó\ vigilanza intorno a Mussolini di cui aveva preparato (è storicamente provato che l'intervento del famoso maggiore Skorzeny fu soltanto casuale) la fuga dal Gran Sasso. La fine della guerra lo sorprese a Bolzano e il 6 maggio 1945 si costituì spontaneamente agli inglesi avendo saputo (questa, almeno, è la sua versione) d'essere ricercato come «criminale di guerra». Gli Alleati lo consegnarono nel luglio 1947 alle autorità italiane e il 20 luglio 1948 il tribunale militare di Roma condannò Kappler all'ergastolo perché responsabile di avere trucidato alle Fosse Ardeatine 335 detenuti italiani per rappresaglia in seguito all'attentato compiuto il 23 marzo 1944, in via Rasella. Kappler organizzò non soltanto la strage, ma compilò durante la notte, l'elenco di coloro che avrebbero dovuto morire. «L'ordine — si è sempre difeso l'ex colonnello tedesco — arrivò direttamente da Berlino e io non potevo non eseguirlo. In sostanza, io sono soltanto stato un esecutore ed ho compiuto un ordine al quale, come militare, non potevo sottrarmi». Dopo che la condanna è diventata definitiva, Kappler venne trasferito al reclusorio militare di Gaeta, dove ha vissuto per 26 anni circa nell'ala sinistra dell'antica fortezza destinata agli ufficiali detenuti: prima da solo, poi in compagnia del maggiore delle SS Walter Reder, responsabile della strage di Marzabotto. Si è sempre rifiutato di raccogliere in un libro i suoi ricordi storici che sono numerosi e importanti: fu lui il primo che avvertì Berlino delle intenzioni italiane di trattare l'armistizio con gli Alleati, fu lui che pensò di arrestare re Vittorio Emanuele III e fallì il colpo per una questione di ore, fu a lui che Ciano si rivolse per fuggire da Roma finendo in Germania dove venne arrestato. «Non credo alla obiettività e alla sincerità delle testimonianze dirette; — mi confidò quando otto anni or sono andai a Gaeta per intervistarlo — non voglio cadere nell'errore compiuto da altri che, magari involontariamente, hanno alterato la verità». Intendeva riferirsi soprattutto ai racconti di Dollman e dell'ex ambasciatore tedesco a Roma von Rahn. Kappler ha vissuto sempre con una speranza: tornare in libertà. Per due volte gli è stata rifiutata la grazia dal Capo dello Stato, ora ha raggiunto l'obiettivo attraverso la libertà condizionale. Il tribunale militare però ha deciso che per cinque anni deve rimanere in libertà vigilata: la clausola non gli impedisce di tornare subito in Germania perché esiste un trattato italo-tedesco in proposito. Ma Klapper è ancora «prigioniero di guerra»: perché possa tornare a casa è necessario che il governo italiano lo restituisca a quello tedesco. Nello scorso aprile, i medici accertarono che l'ex colonnello era ammalato di cancro all'intestino; decisero di trasportarlo subito all'ospedale militare del Celio a Roma. Le reazioni alla liberazione di Klapper sono state vivaci soprattutto negli ambienti ebraici. «Gli ebrei italiani — ha commentato Pietro Bayern, presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane — sentono il dovere di riaffermare che i delitti di cui Klapper si è macchiato sono delitti contro l'umanità e come tali non possono essere oggetto di perdono da parte dei singoli giudici. Da stessa concessione della libertà — ha aggiunto Bayern facendo riferimento alle indiscrezioni relative all'interessamento delle autorità tedesche — acquista il valore politico di acquiescenza a pressioni che, se dovute alla particolare condizione in cui versa l'Italia, comporta un giudizio morale ancora più severo». Guido Guidi