Nuova indagine per il giovane che uccise il padre generale: omicidio volontario?
Nuova indagine per il giovane che uccise il padre generale: omicidio volontario? Alba: decisa dal tribunale in Camera di consiglio Nuova indagine per il giovane che uccise il padre generale: omicidio volontario? (Dal nostro inviato speciale) Alba, 12 novembre. La notte del 26 marzo 1975, verso le 23, un colpo di pistola echeggiò sinistramente nella villetta del generale Virginio Michelis, 58 anni, a Canale d'Alba. Accorrono i familiari, e nella camera del figlio Eugenio, 29 anni, scoprono con raccapriccio il corpo ormai esanime dell'ufficiale: un proiettile lo ha raggiunto al mento, gli è uscito dalla nuca e si è conficcato in una parete. Il figlio è sconvolto, non connette. Solo in un secondo tempo, quando potrà essere interrogato, dirà che quella sera si sentiva particolarmente depresso, anche per la rottura d'un lungo fidanzamento, e pertanto aveva deciso di «farla finita». Quando già teneva in pugno la pistola, una «Heckler and Kock» calibro 7,65, il padre era entrato in camera sua, aveva capito le sue intenzioni e gli era andato incontro per disarmarlo. In quell'attimo era partito il colpo fatale. Ma l'inchiesta all'inizio non si orientò verso la tesi della fatalità, della morte occasionale. Il giovane fu arrestato, con la grave imputazione di aver volontariamente ucciso il proprio padre, un delitto da ergastolo. E le indagini portarono alla luce due altri episodi di lesioni, una caduta da una scala nel '64 e un ferimento con carabina flobert nel '72, che vennero pure attribuiti ad Eugenio Michelis. Il giudice istruttore si convinse tuttavia che la morte del generale era veramente dovuta ad una disgrazia, che mancavano le prove della volontarietà, e rinviò a giudizio il giovane solo per omicidio colposo, concedendogli la libertà provvisoria. Tutto sembrava avviato, stamane alle 9,30, verso un processo tranquillo nel tribunale di Alba, presieduto dal dottor Rispoli. L'imputato, accampando un malessere, era addirittura assente. E la difesa (gli avvocati Delgrosso e Agnese) ha preliminarmente chiesto che la maggior parte dei ventidue testimoni citati dall'accusa fossero respinti in quanto estranei alla causa. Il p. m. dott. Venesia ha invece ottenuto che fossero ascoltati perché «potevano recare un contributo alla conoscenza dell'antefatto e far luce sulla complessa personalità dell'imputato». Ma esiste un antefatto? Dalle dichiarazioni dei testimoni esce un quadro sconcertante della famiglia Michelis. In pratica il generale, in casa sua, non solo non comandava niente, ma era succube della moglie e dei figli, in particolare di Eugenio, che gli facevano condurre un'esistenza insopportabile. Il padre dell'ufficiale, che si chiama Eugenio come il nipote, è venuto ugualmente, nonostante i suoi 84 anni, dalla casa di riposo per dire: «Afio figlio mi confidò più volte che in famiglia lo trattavano come un cane. Mio nipote non è un pazzo, è soltanto un malvagio». La vedova Michelis, Giulia Bordon, 51 anni, di Siracusa, replica seccamente: «Non è vero niente. Non capisco l'atteggiamento di mio suocero. I rapporti tra mio marito e mio figlio erano talmente amichevoli e affettuosi da rendere assurda l'ipotesi di un delitto. E non è nemmeno vero che prima dello sparo vi | sia stata una discussione con un litigio tra Eugenio e mio marito. Io li avrei uditi: ero nella camera accanto». Ad una domanda del presidente, la donna precisa: «Sul conto della nostra famiglia sono sempre state diffuse voci calunniose, anche dopo il fatto ». Il fratello minore dell'im putato, Massimo, ò pure sicuro che si trattò di una disgrazia. «I rapporti tra mio padre ed Eugenio erano ottimi. Non c'era nessun motivo di astio, anzi...». Per l'accusa, invece, un motivo di tensione, comunque, esisteva. Il padre, infatti, avrebbe indotto il figlio a restituire alla fidanzata, dopo la rottura, un pacco di fotografie, alcune delle quali piuttosto piccanti. Queste immagini compromettenti sarebbero addirittura servite al giovane per tenere legata a sé la ragazza. Costei, Fiorentina Porello, risponde a tutte le domande, anche a quelle più imbarazzanti, con estrema franchezza. Ma ad un certo punto, lei che dell'omicidio non sa proprio nulla, si ribella e osserva: «Mi sembra che il processo lo facciate a me». Conferma, comunque, di essersi rivolta al generale per riavere le fotografie e riconosce per sua una lettera, indirizzata all'ex-Iìdanzato, nella quale tra l'altro è scritto: «Tu non salvi niente, sei come tua madre. Quando litigate, siete capaci di dileggiare anche le cose più degne di rispetto». Ma chi è, dunque, questo Eugenio che ieri ha preferito non presentarsi in aula? Sappiamo soltanto chi era dodici anni fa, quando fu ricoverato per un breve periodo in una clinica per malattie nervose. Il prof. De Michelis, che redasse allora la cartella clinica, lo definiva un caratteriale, dimesso «per la natura costituzionale del suo carattere perverso». I dati relativi all'anamnesi erano, nel '64, assai indicativi: «Non vuole studiare né lavorare. Alza le mani sui familiari e sputa loro in faccia. E' sporco, ma si profuma e ama ì bei vestiti. Vendicativo, nervosissimo e simulatore. Si fa pulire il... dalla madre. Mangia solo cibi fatti da lei». «Chi le ha fornito queste informazioni?», chiede il presidente. «Lo stesso generale, allora colonnello. Ho ancora gli appunti, scritti di suo pugno». Così dicendo il prof. De Michelis consegna al dott. Rispoli quel vecchio documento. E' cambiato, nel frattempo, Eugenio Michelis, studente di lettere fuori corso? Il p.m., invece di formulare una richiesta di pena, ha sollecitato il rinvio degli atti alla procura della Repubblica per una nuova istruttoria sul fatto, ritenuto diverso e ben più grave di quello contestato. I difensori, Delgrosso e Agnese, si sono opposti, sottolineando, tra l'altro, che il dibattito non ha aggiunto né modificato nulla di quanto, in sostanza, già si sapeva. Soprattutto non ha recato elementi di prova su un ipotetico omicidio volontario. « Come si potrà affermare — ha rilevato in particolare Delgrosso — che dalle testimonianze udite oggi sia emerso un fatto diverso da quello che ha portato Eugenio Michelis al giudizio del tribunale di Alba? ». Il tribunale, dopo circa due ore di camera di consiglio, ha emesso un'ordinanza con la quale gli atti del proces- so sono stati trasmessi alla Corte Costituzionale. La suprema Corbe dovrà decidere se l'omicidio del generale Michelis fu colposo o volontario, dopo di che il processo sarà di nuovo assegnato al giudice istruttore che formulerà in una nuova sentenza un adeguato capo d'imputazione. Ciò significa, in pratica, che il giovane Eugenio Michelis corre il rischio di essere giudicato dalla corte d'assise con l'imputazione più grave, formulata in un primo momento, quella cioè di parricidio. Gino Apostolo Eugenio Michelis
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