I padrini dell' Anonima sequestri» attendono (impassibili) la sentenza di Vincenzo Tessandori

I padrini dell' Anonima sequestri» attendono (impassibili) la sentenza Il tribunale di Milano è riunito in Camera di consiglio I padrini dell' Anonima sequestri» attendono (impassibili) la sentenza (Dal nostro inviato speciale) Milano, 12 novembre. Da oltre tredici ore i magistrati del tribunale di Milano, che giudicano gli imputati dell'« Anonima sequestri », sono riuniti in camera di consiglio per emettere la sentenza. La lunga, sfibrante attesa — dei 32 accusati, dei legali, del pubblico — prosegue nella notte; secondo un'opinione abbastanza diffusa la decisione sarà resa pubblica soltanto nelle prime ore del mattino. Per il giorno del verdetto sulle attività della cosca mafiosa impegnata al Nord, nel ramo sequestri di persona e giudicata al tribunale di Milano per i rapimenti di Pietro Torielli junior, Emilio Baroni e Luigi Rossi di Montelera, non tutti eli imputati si erano presentati alla sbarra. Mancava Nello Pernice, il nuovo «padrino», il timido, bravo ragioniere che, secondo l'accusa, aveva nell'organizzazione un ruolo delicato e determinante: «Costituiva il tramite fra il gruppo Leggio-Coppola e il gruppo Guzzardi-Ciulla». Deserto era rimasto il posto in prima fila che per mesi nessuno aveva conteso a Luciano Leggio detto Liggio: il «padrino» è inchiodato a una branda nel carcere di San Vittore da una violenta colica renale. E non era venuto neppure don Giacomo Taormina, indicato come il «capo» nel ratto di Rossi di Montelera. Non si è presentato — ha spiegato in un documento scritto di suo pugno in insospettato stile forense — perché «non me ne sono sentito l'animo, tanta è la stanchezza morale che mi opprime. Dò atto che il processo è stato condotto correttamente e senza preconcetti. Ribadisco la mia innocenza e spero che essa sia qui riconosciuta dopo tanta galera immeritata». Da tempo, ormai, il carceriere confesso diMontelera.il fragile e malaticcio Francesco Taormina, fratello mezzano, sembra disinteressarsi al dibattimento. Ammesso di avere tenuto da solo il prigioniero nella segreta ricavata dalla concimaia- interrata della sua cascina a Treviglio, ha forse assolto al compito che l'organizzazione sembra avergli affidato. Anche stamani il suo posto, in alto nella gradinata, accanto a Giuseppe più giovane e disinvolto, è rimasto vuoto. Ma gli altri, «padrini» o «uomini d'onore», non sono mancati all'ultimo appuntamento con la giustizia, non hanno rinunciato all'ultima occasione per far udire la propria voce, gridare la propria innocenza. C'erano, dunque, i fratelli Coppola, don Agostino e Domenico detto «Dom» per via degli anni passati negli Stati Uniti. Avevano fatto toeletta, capelli scolpiti a rasoio, camicie stirate, abiti inappuntabili. Quando il presidente, Angelo Salvini, ha chiesto se gli imputati avessero qualcosa da aggiungere, sono scattati in piedi. Ha parlato per primo «padre santa lupara», con voce ferma, tono aggressivo: «Eh, certo che ho da dire, signor presidente». Ha subito cambiato tono: «Cioè, se permette, vorrei dire due parole. Oggi siamo giunti alla con clusione di questa grande maratona giudiziaria. I miei avvocati hanno già egregiamente dimostrato la mìa estraneità ai fatti contestatimi. Non sono mai stato un correo, mai un associato per delinquere, così come sostenuto in buona o in mala fede, lo lascio decidere alla sua coscienza, dall'accusa ». Burbero, forse rissoso, Domenico Coppola ha da farsi perdonare dal tribunale almeno uno scatto di nervi. Dice: «Mi scusi per il mio scatto, quel giorno, quando si parlava di Coppola. Ma questo nostro nomignolo che abbiamo è stato per la nostra famiglia una rovina». L'episodio al quale allude il maggiore dei fratelli Coppola è avvenuto nel corso della requisitoria del pubblico ministero Gianni Caizzi. Quel giorno Coppola sbottò: «Quel Frank Coppola non è nostro parente, è un farabutto, e glielo direi in faccia, se potessi». Quando il 14 marzo 1974, dopo quattro mesi, Rossi di Montelera venne liberato dal giudice istruttore Giuliano Turone un camionista siciliano, Giuseppe Ugone senior, proprietario di una cascina a Moncalieri, scomparve. Venne stabilito che, in un'umida segreta ricavata da una cella sotto casa sua, era stato tenuto prigioniero l'industriale torinese nella prima metà della sua lunga prigionia. Ugone venne arrestato a Torino nel mese di agosto di quell'anno; mandato al penitenziario di Saluzzo, dimostrò la sua sfiducia nei confronti della giustizia ed evase il 4 febbraio scorso. Un breve periodo di libertà, però; e il primo ottobre gli vennero nuovamente messi i ferri ai polsi. Ora sorride al presidente, accattivante. Dichiara: «Io sono qui, in questo tribunale, innocente. Ribadisco che Montelera non è mai stato nella mia cascina. Sono fiducioso nella vostra giustizia». Ancora. Pullara Giuseppe, titolare della «vinicola Borro- ni», ditta che aveva inviato alla cascina Taormina alcune bottiglie di champagne «Dom Perignon» trovate dalla Guardia di finanza durante la per¬ quisizione seguita al ritrovamento di Montelera. E' ritenuto dall'accusa come colui che aveva indicato l'industriale torinese quale ricco obietti¬ vo di un sequestro. Dichiara: «Desidero solo essere restituito alla società e alla mia famiglia con la stessa integrità morale che avevo quando so- I no stato portato qui». Subito dopo, erano le 10,15, i il tribunale si è ritirato in camera di consiglio. I Vincenzo Tessandori À Milano. Luciano Liggio (il primo a destra) e gli altri impu tati al processo per P« Anonima sequestri » (Telefoto Àp)