Prendersi libertà con il "che"

Prendersi libertà con il "che" QUESTIONI DI LINGUA Prendersi libertà con il "che" Se di quel che diciamo dovessimo sempre rendere conto al tribunale dell'analisi logica (il che per fortuna non è), ci troveremmo spesso imt -ogliati nel cogliere a colpo la differenza tra il Che pronome relativo e il Che congiunzione subordinativa. Certo sono casi che non ammettono incertezza: la speranza che lo sosteneva venne meno. Qui basta sostituire la quale a che, perché quest'ultimo si riveli per quello che è, cioè pronome relativo. Ma la stessa sostituzione non si potrebbe fare, senza scapito del senso, nella frase: la speranza che gli amici lo aiutassero, gl'infuse coraggio; e dunque qui il che non è pronome ma congiunzione ( Satta). Nell'uso popolare, spesso ripreso dai Classici, abbondano esempi di Che di lor natura perplessi, di cui non è facile stabilire il valore. Si legge nel Furioso (XXXIV, 82): «Che se non era interprete con lui, Non discernea le forme lor diverse ». Nota il Papini: « è il che usato con molta libertà come fa il popolo. Veramente è relativo, ma il periodo prende poi un'altra piega, e il che, diventato superfluo, dovrebbe cambiarsi piuttosto in e ». Ma sarà proprio vero? Ci sollecita intorno a quest'arduo punto di lingua lo studioso Alfonso Leone enumerando quattro esempi tolti dalla sintassi del popolo: 1) Polifemo, che nessuno poteva vincerlo con la forza; 2) quello che gli mori la suocera; 3) la pentola che ci si fa il brodo; 4) prestami la penna, che te la do subito. Se nei primi tre è lecito, a nostro avviso, ritenere che pronome relativo (rafforzato nel primo dal pleonastico lo, e risolto negli altri due coll'anacoluto che gli, che ci, per «al quale », « col quale » o « dentro il quale », frequentissimo nell'italiano antico), il quarto, dove par categoricamente da escludere che il che sia pronome riferito a penna (la riprova è offerta dalla variante: «vieni che te la do io»), riempie di pensieri, sedati alla fine dalla convinzione che si tratti invece di congiunzione, per l'appunto della congiunzione subordinativa di più largo uso (ti dico che riuscirà). Incalza l'articolista di « Lingua Nostra »: « Succede non di rado che la lingua parlata, volendo stringere i legami tra proposizioni logicamente vicine e semplicemente affiancate, non arriva a definire chiaramente il valore di questi legami (finale ipotetico causate consecutivo concessivo); si limita a cogliere, mediante che, una vaga dipendenza della seconda proposizione dalla prima, a rilevare che la seconda è subordinata alla realizzazione della prima e quindi una conseguenza di essa ». Si può convenire sul valore consecutivo di che in « cosa hai che piangi? », « cammina che sembra zoppo » (valore comprovato dalla possibile sostituzione di che con da: « cosa hai da piangere? », « cammina da sembrare zoppo »), ma è dubbio che lo stesso valore possa cogliersi in « vieni che te la do io », « prestami la penna, che te la do subito ». Non meno intriganti sono questi altri esempi della lingua parlata: « partimmo che era tardi »; « largo, che passa la signora! », dove che sembrerebbe rispettivamente temporale (partimmo quand'era tardi) e causale (largo, poiché passa la signora!); se non che la sostituzione a che di quando e poiché non è chi non veda come alteri il tono originario della frase, il quale suona altrimenti (vagamente enunciativo o dichiarativo). Con altri esempi che si potrebbero fare, accanto a che finale, consecutivo, dichiarativo, siamo dunque alla presenza di un che privo di valore specifico, quale appare frequente nell'ipotassi blanda della lingua popolare, dove « prestami la penna: te la do subito » diventa « prestami la penna, che te la do subito »: un che intorno al quale i vocabolari ci lasciano all'oscuro e che bisogna ingegnarsi d'interpretare con la propria zucca. Il Che è dunque una paroletta che si butta là come nulla, ma che non manca di dar filo da torcere al parlatore riflessivo. Pronome o congiunzione? e quando congiunzione, di che tipo? Un « che » ambiguo e contestato è anche nella Commedia (Inf. XV): « Io dissi lui: Quanto posso ven preco; e se volete che con voi m'asseggia, faròl, se piace a costui che vo seco ». Lo Zingarelli legge: « ... se piace a costui, che vo seco » e chiosa: « In quanto all'ufficio sintattico di quel che nella frase che vo seco, è semplice congiunzione, perché; tuttavia resta sempre un legame un po' debole e stanco; gli interpreti si sono impuntati, ma quella fiacchezza sintattica rispecchia appunto la irresolutezza della volontà di Dante in questo momento ». Altri, i più leggono invece « che vo seco » = col quale io vo: esempio palese di disaccordo interpretativo fra Che congiunzione e Che pro- nome Leo Pestelli

Persone citate: Alfonso Leone, Furioso, Leo Pestelli, Satta