Il provvedimento della Procura di Venezia di Giuliano Marchesini

Il provvedimento della Procura di Venezia Il provvedimento della Procura di Venezia Peteano: comunicazione giudiziaria ai maggiori inquirenti della strage Riguardano il procuratore della Repubblica di Gorizia Bruno Pascoli, il generale dei carabinieri Dino Mingarelli ed i suoi ex collaboratori colonnello Farro e maggiore Chirico - Altre "comunicazioni" per una guardia, un "superteste" e un imputato (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 11 novembre. Chi farà luce sulla strage di Peteano? Tre carabinieri dilaniati dall'esplosione di un'auto imbottita di tritolo: un processo in corso alla Corte d'assise d'appello di Trieste contro un gruppo di giovani la cui assoluzione appare ormai scontata. L'ansimante procedura della macchina della giustizia ha condotto in questa specie di vicolo cieco. E l'attenzione, ora, si sposta sugli inquirenti, che sono al centro di una vicenda inquietante: la Procura della Repubblica di Venezia ha emesso comunicazioni giudiziarie nei loro confronti. Gli «avvisi» partiti dal palazzo di giustizia veneziano riguardano il procuratore della Repubblica di Gorizia, Bruno Pascoli, il generale dei carabinieri Dino Mingarelli ed i suoi ex collaboratori tenente colonnello Domenico Farro e maggiore Antonino Chirico. Di un altro blocco di «comunicazioni» sono destinatari la guardia carceraria Antonio Padula, Romano Resen, principale imputato al processo per la strage di Peteano, il «supertestimone» Walter Di Biaggio e l'avvocato goriziano Livio Bernot. Sgomento, dunque, per questo risvolto nell'inchiesta sulla morte dei tre componenti la pattuglia attirati il 31 maggio 1972 nella tremenda trappola. Le indagini sull'attentato furono condotte dalla legione carabinieri di Udine, di cui Dino Mingarelli era comandante con il grado di tenente colonnello. Dopo una ricerca durata parecchio tempo, gli inquirenti fecero serrare le manette ai polsi di sei giovani che erano soliti incontrarsi in un bar di Gorizia: Romano, Resen, i fratelli Maria e Gianni Mezzorana, Furio Larocca, Giorgio Budicin, Enzo Badin. Già all'epoca di quella fila di arresti, si manifestarono perplessità sulla consistenza degli indizi raccolti. «C'è un'impalcatura eretta dai carabinieri — ci dissero alla Procura di Venezia —, adesso si tratta di vedere se sta in piedi». Il gruppo di ragazzi rimase in carcere, poi andò difilato in Corte d'assise di Trieste, ad affrontare la terribile prospettiva di una condanna all'ergastolo: ne uscì, dopo una lunga serie di drammatiche udienze, con una assoluzione per insufficienza di prove. E nell'attesa che s'iniziasse il processo di secondo grado, per l'appello presentato sia dai difensori sia dalla procura generale, Romano Resen depositò presso la Procura di Verona una denuncia «esplosiva»: il principale imputato per la strage di Peteano accusava senza mezzi termini gli inquinrenti di essersi adoperati «al fine di ottenere la condanna di persone che sapevano innocenti», di avere ostinatamente tralasciato una pista per seguirne un'altra. La suprema corte di Cassazione affidò il caso alla Procura della Repubblica di Venezia, che il 16 ottobre scorso decise di scagionare alcuni magistrati triestini citati tra gli inquirenti da «inquisire». Ma la denuncia di Romano Resen non è finita tutta nell'archivio. E, infine, sono uscite dal palazzo del tribunale veneziano le comunicazioni giudiziarie firmate dal procuratore capo Gianfranco Carnesecchi e dal sostituto Ennio Fortuna. Quali sono gli «indizi» che s'accompagnano a questi avvisi? Secondo quanto si è appreso, il procuratore della Repubblica di Gorizia è chiamato a rispondere di falso per soppressione per non avere consegnato al giudice istruttore, né comunque allegato agli atti, il rapporto del tenente colonnello Farro a proposito di una trasferta in Svizzera; inoltre, per Bruno Pascoli si formula l'ipotesi del reato di usurpazione di funzioni: dato che si trattava di un'istruttoria formale, qualsiasi iniziativa sarebbe toccata al giudice istruttore. Per il generale dei carabinieri Dino Mingarelli, la comunicazione giudiziaria prospetta un concorso, con Antonino Chirico e Domenico Farro, in falso ideologico e con il solo Chirico in falso nella verbalizzazione della testimonianza di Walter Di Biaggio ed ancora di abuso d'ufficio: per il primo degli addebiti, si fa riferimento al rapporto redatto dal tenente colonnello e dal maggiore al rientro dalla «missione» in Svizzera, documento dal quale risulta l'esistenza in un capannone di un certo quantitativo di esplosivo che invece, si è accertato, non c'è mai stato. Per Walter Di Biaggio, il «supertestimone», l'avviso della procura veneziana riguarda i reati di calunnia nei confronti dei sei imputati e di autocalunnia, perché il giovane riferi di essere andato in Svizzera insieme con Romano Resen per prelevare quell'esplosivo che non esisteva. Chiudono l'elenco degli in¬ diziati la guardia carceraria, il Resen e l'avvocato Bernot, che dovrebbero rispondere di calunnia. Il legale goriziano inviò al magistrato di Venezia un telegramma in cui affermava di avere saputo che il procuratore Pascoli si era incontrato con i fratelli di Walter Di Biaggio per «concordare una certa linea di comportamento». Nell'esaminare, infine, la posizione di Romano Resen, la Procura di Venezia ha ritenuto «che vi sia troppa sproporzione tra la massa delle accuse da lui rivolte a magistrati e carabinieri e la realtà emersa dall'inchiesta». Mentre l'interesse si accentra sulle comunicazioni giudiziarie che hanno raggiunto gli inquirenti della strage di Peteano, si attende la ripresa del dibattito in appello a Trieste sulla strage. Ma è un processo che, ormai, va svuotandosi. La recente trasferta de'.la Corte triestina in Svizzera ha consentito di accertare, dopo molte insistenze della difesa, che in territorio elvetico non si trova traccia di quell'esplosivo «T 4» sul quale era costruita l'impalcatura delle indagini. E si è quindi stabilito che Romano Resen non varcò mai la frontiera svizzera a bordo di un camion per andare a fare il «micidiale carico». I sei imputati goriziani, dunque, dovrebbero andare incontro ad una piena assoluzione. Andando cosi le cose, la strage di Peteano resterà immersa nel buio. Erano, quelli, i tempi in cui dilagava anche da queste parti il terrorismo nero, la strategia della tensione portava ventate nel Veneto e nel Friuli-Venezia Giulia. Se s'infilava quella strada, nel muovere l'inchiesta sui tre carabinieri dilaniati, forse si sa¬ rebbe giunti a qualche risultato. Adesso, c'è un vuoto di quattro anni. Ma può darsi non sia ancora incolmabile. Giuliano Marchesini