Quattro Amleto fra gli stracci e Buster Keaton per Beckett

Quattro Amleto fra gli stracci e Buster Keaton per Beckett Teatro e cinema 'off al Cabaret Voltaire e agli Infernotti Quattro Amleto fra gli stracci e Buster Keaton per Beckett Negletto e ramingo per teatrini e scantinati, ridotto a due o tre gruppi, l'off torinese dà ogni tanto un sussulto, chiede invano soccorso allo Stabile, al Comune o a non so bene chi (e tutti rispondono che hanno altre gatte da pelare), e poi s'arrangia da solo. Così, nella sala degli Infernotti, la cooperativa Teatro Proposta presenta sino al 15 novembre Quattro studi su Amleto che Rubino Rubini ha allestito con nemmeno duecentomila lire di spesa per una scena (Dudi D'Agostini) di vecchie camere d'aria da autocarro, rivestite da un rosso coltrone e circondate da un praticabile di assi, e per i costumi (Margherita Pavia) ricavati da stracci e tendaggi. Su questo instabile palcoscenico, che suggerisce bene la precarietà del teatro (e, suppongo, della stessa compagnia), Rubini scompone e ricompone in meno di un'ora la tragedia scespiriana con aguzze e risentite intenzioni. Che ! voglia contestare il teatro tra1 dizionale, del quale Amleto, o meglio il modo «borghese» di rappresentarlo, è un illustre esempio, è abbastanza chiaro nel terzo «studio» — La farsa, la commedia, il dramma — dove la recita dei comici, affidata a due attori-clowns con giuste intonazioni parodistiche, sembra rimettere in discussione tutto un modo di fare teatro, ed è addirittura lampante nel fulmineo finale con il bla-bla di tutti e cinque gli interpreti che dichiara l'impossibilità, oggi e con strumenti logori, di recitare Amleto. Più ovvio, anche se forse è il migliore, lo «studio» sul Complesso d'Edipo di Amleto, in cui i personaggi si scambiano ruoli e battute, Amleto bamboleggia sul seno di un'Ofelia-Regina e infantilmente s'infiamma contro una Regina-Re; più confuso quello su Varie forme di follia. Dietro tutto questo c'è mol¬ to lavoro, e si vede, e un mucchio di propositi: troppi perché tutti possano essere compiutamente tradotti in una rappresentazione * ★ Ma se l'off di casa parla sommesso, per lui strillano avanguardia e la sperimentazione di fuori che hanno cominciato le loro prove al Cabaret Voltaire dove teatro e cinema hanno preso il via con Roberto Benigni nel suo ormai famoso monologo doni Mario di Gaspare fu Giulia, dove l'invettiva tocca i vertici della più proterva, e oserei dire poetica, scatologia, e con due opere cinematografiche d'eccezione. Di Benigni si è parlato quando il suo spettacolo fu presentato, non senza qualche scandalo, in vari centri della regione nel quadro della rassegna «Proposte di un teatro popolare», dei due film occorre almeno ricordare che Un chant d'amour, intriso di un lirismo e di un simbolismo tardoromantici, è l'unico realizzato da Jean Genet (1950), senza sonoro e in bianco e nero, e subito vietatissimo per il realismo trasfigurato con cui rappresenta amori omosessuali in un carcere maschile. Muto e in bianco e nero è anche Film (1965) di Beckett, diretto da Alain Schneider: venti minuti di grandissimo cinema con un Buster Keaton assolutamente beckettiano, sempre di spalle tranne nello sdoppiamento finale, che distrugge se stesso e i suoi ricordi murandosi in una squallida stanza. Questo straordinario cortometraggio viene replicato fino a domani sera, dalle 10 del mattino a mezzanotte. Da giovedì, dopo l'esordio teatrale del gruppo di Giancarlo Nanni con Artificiale naturale (in cartellone sino a domenica), proiezione del primo King-Kong, quello diretto nel 1925 da Merian Cooper e Martin Schoedsack Alberto Blandi

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