La religione, la società

La religione, la società WEBER: LA SPIRITUALITÀ NELLA STORIA La religione, la società In una sua celebre lettera del 21 settembre 1890 a Bloch, F. Engels capovolgeva quello che era già allora il giudizio parziale e deviarne sul significato del materialismo storico, presentato, con intenzione polemica di matrice postidealistica, cristiano-spiritualistica e antipositivistica, come un economicismo facile e riduttivo che soffoca tutte le implicazioni della condizione umana nella dinamica dei fatti economici o dei processi che sono marxianamente chiamati rapporti reali di produzione, le cosiddette strutture. Engels onestamente riconosceva che, nella prima fase di elaborazione teorica, quella che aveva portato a II capitale, era stato costretto con Marx ad accentuare, in forma indebita, nell'analisi la rilevanza di quei fatti per svuotare le posizioni idealistiche del loro prepotente referente astratto e astorico, lo spirito e la storia eterna dello spirito. E tuttavia, continuava nella sua lettera, l'affermare che la produzione è l'unico fattore determinante della storia, e non già il fattore determinante soltanto in ultima istanza, significava falsare il pensiero suo e di Marx, mortificando la ricchezza dell'ipotesi interpretativa materialistica in una lettura che Gramsci avrebbe chiamato infantile, rozza o volgare. Venivano, così, recuperate al metodo di indagine sulla storia, proprio in tutta la loro incidenza concorrente con la trama delle ingerenze economiche, le componenti che oggi chiameremmo antropologico spirituali, dalle forme giuridiche alle teorie filosofiche e politiche, ai miti e alle religioni, ai temi artistici. Contro le suggestioni di ogni comoda catechistica pseudo-marxistica e antimarxistica, l'una preoccupata di scandire il puro dato produttivo e classistico, l'altra intesa a gridare i diritti dello «spirito» conculcato, la dialettica dei fatti si riproietta nella nota legge schematica, ma illuminante, della relazione fra struttura e sovrastruttura, in forza della quale le forme ideologiche non possono essere considerate semplice riflesso dei dati economici nella mente umana e nella vita dei gruppi e operano, a loro volta, sul reale strutturale con una persistenza che supera le stesse mutazioni quantificabili dei rapporti di produzione. Sui fondamentali chiarimenti di questa lettera engelsiana invitano a riflettere le pagine con le quali, con vivace acu¬ tezza critica, Franco Ferrarotti introduce la traduzione italiana della serie più significativa degli Aufsàtze zur Retigìonssoziologie pubblicati da Weber fra il 1920 e il 1921 in edizione definitiva. I due volumi, con il titolo Sociologia della religione, appaiono ora nella torinese collezione dei classici della sociologia dell'Utet (complessivamente 1305 pagine con numerazione continua) e offrono agli italiani le tavole fondamentali di un annoso dibattito sociologico che, passando unicamente attraverso lo spaccato della vita religiosa, ha indebitamente costituito Weber in contraltare di Marx, mistificando il pensiero dell'uno e dell'altro, nel tentativo, riuscito almeno a livello di opinione corrente e diffusa, di contrapporre al preteso economicismo marxistico la pretesa rivalsa weberiana dei momenti «spirituali» o comunque ideologici della storia. Weber, quando ha individuato gli sviluppi dello «spirito del capitalismo» — e, cioè, di un tono o modello di vita mai, del resto, nella massa della sua opera schematicamente e precisamente definito —, non ha mai relegato in secondo piano i meccanismi «materiali» della storia, ma ha collocato, si direbbe engelsianamente, nel loro corretto focus le componenti sovrastrutturali. Nessuna etica economica, egli dichiara, è mai stata determinata unicamente da fatti religiosi, ma piuttosto, tra i fattori che determinano l'etica economica, è anche la determinazione religiosa, la quale è, a sua volta, «fortemente influenzata da fattori economici e politici» (pag. 130). Una diversa interpretazione del rapporto è apertamente indicata dallo stesso Weber come un marxismo teorico «ingenuo». ★ ★ La linea direttrice dell'impresa weberiana è la segnalazione e la scoperta dei processi sociologici di formazione del capitalismo, evitando il ricorso ad ogni facile riduzionismo della complessità del fenomeno. Egli intende definire il tema dell'origine dell'ideologia del capitalismo contemporaneo con la sua organizzazione del lavoro libero e con la sua particolare etica che, in termini marxiani, la giustifichi e l'avalli. A monte dei processi storici che portano alla cumulazione di capitale viene a formarsi un modello ideologico, di caiattere squisitamente religioso, che, nel concreto, si esprime come razionalità a livello di aggressione del reale e di organizzazione del lavoro e dell'impresa. E' un fatto maturatosi esclusivamente in una specifica area della civiltà occidentale, nel momento stesso in cui in questa area la realtà è aggredita con le armi dell'epistemologia scientifica, liberata dalla mitologia. ★ * Il nucleo della mutazione ideologica o sovrastrutturale, che determina il sorgere dello «spirito del capitalismo», sarebbe da individuare nelle scelte che la teologia calvinista (e i suoi derivati) fa in rapporto al mondo e alla realtà. Mentre in Lutero la vocazione extramondana e salvifica dell'uomo (Berttf) diviene accettazione passiva della volontà divina e adattamento al proprio stato, il calvinismo istituisce, secondo Weber, un rapporto fra vita religiosa e azione profana del tutto diverso. La drammaticità inesorabile della dottrina della predestinazione e dell'elezione mediante la Grazia — il Cristo dalle braccia sigillate nella condanna che apparirà in quella tarda derivazione calvinista che è il giansenismo delle signore e dei signori di Port-Royal — pone in crisi i criteri di garanzia del proprio stato di salvezza, la certitudo salutis, giacché ogni eletto non differisce dai reprobi esteriormente. Si dovrebbe essere giunti conseguentemente ad una paralisi ascetica dei propri impegni, ad una rinunzia totale nell'abbandono al Dio tremendo che ti sceglie e ti costituisce nell'ignoranza delle proprie decisioni. Ma avviene il contrario, poiché l'unica chance di provare la propria elezione gratuita diviene l'impegno mondano, eticamente inteso come dovere di conquistare nella lotta quotidiana la certezza della propria salvezza nel successo. Ne scaturisce l'etica della socialità del lavoro ad majoretti Dei gloriam e del servizio del prossimo, secondo linee ben distanti da quelle che appartengono ai popoli di influenza luterana e cattolica (a questo proposito andrebbe revisionata tutta l'ipotesi weberiana circa la «passività» ascetica del cattolicesimo, soprattutto in rapporto alle forti suggestioni economiche che possono aver avuto la scuola controriformistica dell'umanesimo devoto e quella del gesuitismo). Questo «spirito del capitalismo» si configura sostanzialmente come una tensione etica, come un impegno umano che ha dato origine alla nostra società in tutte le sue radicali contraddizioni, e che si distanzia nettamente dall'istinto di profitto e dalla sete di guadagno, i quali sono universalmente presenti «presso camerieri, medici, cocchieri, artisti, prostitute, impiegati venali, soldati, banditi, crociati, giocatori d'azzardo, mendicanti... In tutte le epoche e in tutti i paesi del mondo» (pag. 92). Il capitalismo può, anzi, coincidere con il controllo razionale di tali impulsi, divenendo un sistema di organizzazione razionale, non istintuale, del profitto. Il pensiero di Weber, particolarmente vivo ed attuale, conferma, in ultima analisi, gli indirizzi metodologici che Engels maturava nei suoi saggi sulla guerra dei contadini tedeschi e sull'origine del cristianesimo, i due contesti nei quali era messa in luce tutta la poliedricità dei processi storici, che si dispiegano sempre secondo l'intersecazione della materia puramente economica (le hegeliane astuzie della ragione) con gli elementi spirituali che danno corpo e fisionomia alle civiltà umane. Alfonso M. di Nola