Così il mio Palazzeschi di Lorenzo Mondo

Così il mio Palazzeschi Montale a Firenze ricorda il poeta a 2 anni dalla morte Così il mio Palazzeschi (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 6 novembre. Sì, Palazzo Vecchio assediato da colombi e piovaschi, e poi, il conferimento della cittadinanza onoraria ad Eugenio Montale, le chiarine soffiate dai valletti del Comune, il saluto del sindaco, del presidente del Gabinetto Vieusseux, del rettore dell'Università. Ma il momento più vero del convegno si è avuto quando Montale, cereo in volto, esitante nel passo, ha lasciato il braccio della Gina, la domestica di via Bigli, per avviarsi al tavolo della presidenza. «Io ve lo consegno», ha detto la Gina con qualche apprensione, non diminuita per tutto il corso della cerimonia che ha visto il premio Nobel ospite e oratore privilegiato. Si trattava di ricordare, a due anni dalla morte, un altro grande vecchio, Aldo Palazzeschi. Perché il convegno? C'è la tradizione del Gabinetto Vieusseux, intanto. Lo scrittore Alessandro Bonsanti, che lo dirige, ricorda che non siamo più agli Anni Trenta della rivista «Solaria», con quelle smanie di aria europea. «Oggi si traduce anche troppo, è forse opportuno ripiegarsi su casa nostra»: dedicando omaggi a Campana, a Rosai, a Calamandrei. All'insegna di una fiorentinità, è stato detto, «mai provinciale, mai folkloristica, mai dimenticata»; come dimostrò Palazzeschi, transfuga solo apparente a Venezia e a Roma, come volle ribadire con la sua morte, lasciando a Firenze non soltanto le spoglie, ma anche una eredità cospicua di case, dipinti, manoscritti e documenti rari. Ci sono una quarantina di De Pisis ceduti all'Università che dovranno essere convertiti, non si sa come e, si spera, senza troppe dispersioni, in borse di studio. Quanto all'archivio del poeta, appare esemplificato, per campioni significativi, in una mostra bibliografica inaugurata a Palazzo Strozzi. Qui si svolge, fino a tutto lunedì, il convegno su Palazzeschi, uno scrittore che ha costeggiato tutte le avanguardie s le tendenze del secolo restando compiutamente se stesso, che ha prolungato e rinverdito la sua fortuna fino agli anni ultimi della sua lunga vita (basti pensare al romanzo «Il Doge»J. Parleranno di lui poeti, scrittori c critici eminenti. Oggi è stata la vol¬ ta di Luciano De Maria, Edoardo Sanguineti e Renato Barilli, che si sono disputati variamente il Palazzeschi dell'«Incendiario» e del manifesto futurista «Il Controdolore», lo scrittore cioè proiettato sul versante più sperimentale e refrattario. Ma il «clou» lo si è raggiunto, fin dalla mattinata, con Montale. Perché Montale? Perché, dal 1928 al 1938, il poeta degli «Ossi di seppia» è stato direttore del Vieusseux, complice degli spiriti magni di Leopardi e Tommaseo, di Monti e Giordani. Perché, «escluso l'immortale Marino Moretti, sono io il più anziano amico di Aldo». «Lui non amava i letterati, ma io mi trovo a metà strada e credo comunque che Palazzeschi non sarebbe troppo insoddisfatto sapendo che mi hanno chiamato a commemorarlo». Montale ha ricordato i suoi interventi di critico letterario sull'amico, l'originalità di «un cammino a spirale che rifiuta ogni facile catalogazione». «Uomo del suo tempo, di Sanfrediano e Scandicci, Palazzeschi non fu mai prigioniero del suo tempo. Era sorretto da un «amor vitae» che è di pochissimi, perché pochissimi sono gli spiriti liberi». Ma più ha coinvolto il salone gremito (di amici, di autorità, di giovani) quando, imponendo fermezza alla voce contro le insidie dell'età, contro il ronzio delle cineprese, ha parlato dell'uomo Palazzeschi. Pronto a dirottare in felpata malizia ogni intenerimento che rischiasse di smuovere la sua maschera impenetrabile. Il Palazzeschi che amava la strada più dei libri. Il figlio di famiglia che, alla morte degli idolatrati genitori, anziché uccidersi, si tramuta di larva in farfalla, prende il volo. I suoi peccati estetizzanti e cristianizzanti, in compagnia di amici che sono una versione fiorentina e granducale dell'eroe di Huysmans, le debolezze per le monache custodi ed oranti, l'amore per le musiche religiose, per i riti sontuosi ed arcaici che forse «non lo rendevano troppo lontano da monsignor Lefebvre». Ricaviamo tutto questo dalle parole di Montale più che dai suoi appunti, negletti nel trasporto della rievocazione. Fino all'ultimo saluto di Aldo, nei giardini del Quirinale. Un volto scavato, dì rughe in¬ cise, di occhi crudelmente segnati: «Aveva appena subito un furto di francobolli e ceramiche. Mi salutò con affetto e con un arrivederci che aveva un'intonazione un po' diversa dalle solite e che poteva anche significare un non arrivederci». La fedele Gina, in prima fila, quasi sillabava le sue parole, salutando con un sorriso l'avvicinarsi spedito all'epilogo, al consenso ottenuto senza calcare le rugiade della commozione, con dignità. Applausi e, ancor più, una ressa affettuosa intorno al maestro, alla poesia. Lorenzo Mondo

Luoghi citati: Campana, Firenze, Roma, Scandicci, Venezia