Il potere e i giornali una storia perversa di Stefano Reggiani

Il potere e i giornali una storia perversa Convegno delPIpi a Mantova Il potere e i giornali una storia perversa (Gli esperti internazionali parlano della crisi italiana) (Dal nostro inviato speciale) Mantova, 6 novembre. Tra i giornali e il potere politico in Italia c'è ancora una zona franca, una terra di confine: vi sventola oggi, simbolicamente, la bandiera della libertà di stampa, della provocazione critica; vi circola un'aria di allegria radicale che solleva, nel confronto col recente passato, persino stupori imbarazzati, la tentazione di nuovi conformismi. Ma si capisce che tutto è precario. Ci si interroga: e domani? Il vero tema del dibattito provocato tra i politici dalla crisi economica dell'editoria sembra raccolto intorno ad alcune domande definitive: è proprio indispensabile la libertà di stampa? E' opportuna la presenza di tanti giornali? Non sarebbe meglio lanciar affondare il più gran numero di testate e raccogliere le superstiti sotto l'ala di una piacevole connivenza col potere? Il piano di decimazione non è stato ancora messo a punto; qualcuno si chiede come mai; qualcuno nega che esista. Magari vi sono degli scrupoli. Le armi di pressione in mano al governo italiano sono tre, ha affermato oggi Piero Ottone al convegno dell'International Press Institute: 1) il prezzo politico dei giornali, che non possono adeguarsi, secondo la logica del mercato, all'aumento dei costi; 2) i sussidi economici all'editoria, che possono essere concessi o negati secondo calcoli politici: 3) la necessità delle aziende editrici di indebitarsi presso le banche, che appartengono ih gran parte al settore pubblico. Per tacere dei primi due punti, intorno ai quali molto si è discusso in queste settimane, basterebbe un'improvvisa rigidità sul terzo per strozzare i giornali. Mettiamo che le banche di Stato — ha detto il direttore del Corriere della Sera — chiedano agli editori di «rientrare», di restituire i capitali presi a prestito. Che succederebbe? La do manda è di attualità perché molte grandi operazioni edi toriali vengono condotte con denaro delle banche. I sindacati sostengono che è un modo per condurre intraprese private con soldi pubblici Per Ottone è una necessità di sopravvivenza. Ha esclamato: «Chi fa dell'ironia sugli editori indebitati si rende complice di un ignobile scherzo». Oggi qual è l'alternativa per un grande editore, che campi solo di giornali? Ottone: « Indebitarsi o fuggire all'estero». Per bizzarria della situazione e perversità degli uomini, i mezzi di pressione del governo sono usati «malamente». La riforma dell'editoria giace in qualche cassetto, le soluzioni globali sono promesse con allarmante e rivelatrice pigrizia. Ma intanto il credito corre, il disegno distruttivo viene rimandato. Naturalmente, ha ragione Ottone quando si chiede perplesso: «A questo punto, perché ci lasciano liberi, perché siamo liberi come non siamo mai stati? ». Lui suggerisce, in simmetria coi mezzi di pressione del potere, tre risposte: 1) Malgrado tutto c'è un equilibrio di poteri. Nessuno in Italia può ancora fare quello che vuole. 2) C'è una volontà comune di editori e giornalisti per difendere la libertà di stampa. 3) C'è un peso dell'opinione pubblica, che preme perché non si perda e neppure si attenui il sapore della libertà. E' troppo gradito al palato, corroboran¬ te persino nei suoi (apparenti) eccessi. I soci europei dell'Ipi, che si sono riuniti come una compagnia di attori nel teatro del Bibiena, sono rimasti un poco sc'occati e sovrastati dal caso italiano. Ieri hanno udito le crude cifre esposte da Fabio Luca Cavazza (il passivo previsto per i quotidiani in 140 miliardi), oggi hanno meditato sull'analisi di Ottone. Ma hanno anche capito che le testimonianze erano rese più amare o drammatiche nelle parole di direttori ed editori da un nodo non sciolto: il prezzo dei quotidiani, che si vorrebbe portato a 200 lire per adeguarlo ai costi. Si sa che vi si oppongono i sindacati dei giornalisti e dei poligrafici in attesa della riforma globale; si sa che la riforma globale è nascosta nella perversità del potere. I giornalisti dell'Ipi hanno tuttavia portato ai colleghi della sezione italiana, presieduta da Giovanni Giovannini, delle testimonianze che allargano il quadro della crisi e inducono a sopportarlo meglio, nel confronto delle situazioni nazionali. Se è vero che all'estero i giornali seguono il prezzo di mercato (come in Italia i settimanali), è altrettanto vero che tutti gli editori, in modo più o meno diretto, ricevono benefici con denaro pubblico. Ed è stato accertato che all'estero, come da noi, le sovvenzioni si prestano al rischio della discriminazione: nei Paesi nordici i giornali di partito ottengono più denaro di quelli privati. Certo, gli interventi al convegno di Jacques Sauvageot di Le Monde e di Rino Bulbarelli, presidente della Cooperativa che stampa la Gazzetta di Mantova, civilissima organizzatrice del dibattito, hanno ravvivato il mito, la necessità della formula cooperativa, del giornale senza padroni. Ma per adesso in Europa Le Monde e Gazzetta di Mantova, nel grande e nel piccolo, sono eccezioni non si sa quanto a lungo imitabili, quanto esportabili. Se c'è una morale immediata da trarre dopo due giorni di discussioni, è questa: i giornali devono riformarsi per raggiungere l'indipendenza economica; ma quando c'è la crisi gli aiuti, le sovvenzioni, le facilitazioni vengano dallo Stato, siano una garanzia costituzionale, mai un favore dei governi. I governi chiedono sempre in cambio qualcosa; oggi ti aiutano, domani, chissà, ti strozzano. Stefano Reggiani

Persone citate: Fabio Luca Cavazza, Giovanni Giovannini, Jacques Sauvageot, Piero Ottone, Rino Bulbarelli

Luoghi citati: Europa, Italia, Mantova