Giappone: con le moto la riconversione record di Giorgio Viglino

Giappone: con le moto la riconversione record L'esempio nella fabbrica Yamaha Giappone: con le moto la riconversione record Tokyo, novembre. La colossale macchina Industriale giapponese viaggia a ritmo pieno anche in questo periodo di latente crisi economica nazionale. Ha 1 suol settori forti (industria pesante, motoristica), altri soltanto non deboli (l'elettronica in difficoltà per la concorrenza spietata di Formosa, repubblica del sottosalario) ma nel complesso tira in pieno continuando a soddisfare un mercato che si estende su tutto 11 Sud-Est asiatico, ma che per certi prodotti particolarmente pregiati ha il suo sbocco maggiore negli Stati Uniti. Proprio il mercato statunitense ha messo recentemente alla prova la robustezza di uno del settori cardine dell'economia, quello della produzione motociclistica. Il Giappone produce da solo circa il settanta per cento delle unità motociclistiche che escono da tutti gli stabilimenti del mondo, in valore assoluto oltre 3 milioni e duecentomila macchine, suddivise diversamente tra il colosso Honda (oltre un milione di pezzi), i due gruppi fortissimi Yamaha e Suzuki, la più limitata Kawasaki che però per le sue quattrocentomila moto ha prezzo unitario ben maggiore visto che la cilindrata media è superiore ai 350 ce. Ebbene, i dominatori del mercato motociclistico mondiale si sono trovati di fronte ad un problema veramente enorme quando il Congresso americano ha approvato la nuova legge federale, che ha efficacia su tutti gli Stati dell'Unione, relativa alla pollution, all'inquinamento tollerato. La nuova legge elimina di fatto seppure non nominandoli direttamente 1 motori a due tempi, cioè quelli nel cui dolo l'olio lubrificante viene bruciato in miscela con la benzina. I residui combusti sono infatti praticamente Ineliminabili e risultano inquinanti in ragione di dieci a uno nei confronti di quanto lascia 11 motore a quattro tempi. Delle case giapponesi soltanto la Honda aveva centrato la produzione sui modelli a quattro tempi, mentre le altre tre avevano scelto il due tempi, più agile e brillante, incredibilmente più semplice nella costruzione e nella manutenzione. Il cambiamento nella legislazione statunitense era quindi poco meno d'una catastrofe, in particolar modo per la Yamaha, che tramite la sua consociata Yamaha International, guida il mercato americano nelle medie e grosse cilindrate. « Potevamo farci prendere dal panico e mandare a vuoto trenfanni di progressi — dice ring. Sato — invece abbiamo sfruttato le conoscenze del nostro ufficio studi e abbiamo subito impostato modelli diversi. Seguire le corse, il loro sviluppo tecnico, ci è servito per rimanere sempre al passo con gli avversari ». Negli stabilimenti Yamaha si è quindi impostato, accanto alle linee produttive dei modelli tradizionali, una prima motocicletta a quattro tempi della classe « maxi ». E' stato una sorta di lavoro di precisione poiché la produzione delle catene usuali non doveva fermarsi e nello stesso tempo bisognava mettere in efficienza quella nuova. La differenza tra 11 due e 11 quattro tempi, con la incredibile complicazione di lavoro che 11 secondo comporta (valvole, molle, alberlnl, quanti pezzi in più rispetto all'altro) è stato assorbito dalla manodopera senza choc, grazie ad un aumento di circa 11 dieci per cento degli operai impiegati. « In chiave futuribile crediamo che il due tempi sia destinato a ridurre sempre di più il suo raggio d'azione — dice l'ing. Mlsuchi — ma è anche un peccato. Noi avevamo scelto questa linea di produzione perché la ritenevamo più adatta all'applicazione su una motocicletta, veicolo per sua natura instabile e quindi facilmente condizionabile da una decelerazione troppo brusca. Ci hanno imposto di tornare sui nostri passi nell'interesse della collettività, magari contro quello del singolo. Noi eseguiamo e a giudicare dai risultati commerciali con buon successo: le nuove Yamaha vanno letteralmente a ruba ». Giorgio Viglino

Persone citate: Kawasaki, Sato

Luoghi citati: Formosa, Giappone, Stati Uniti, Tokyo