Torrentelli in piena nel Bellunese fecero macerie, morti e profughi di Luciano Curino

Torrentelli in piena nel Bellunese fecero macerie, morti e profughi Torrentelli in piena nel Bellunese fecero macerie, morti e profughi (Dal nostro inviato speciale) Belluno, 3 novembre. Dieci anni fa, in questi giorni, da tutto il Veneto, dal Friuli e dal Trentino arrivavano notizie paurose. A Venezia la più alta marea in mille anni. Il ragliamento straripato nel Friuli: dieci paesi evacuati, a Latisana sono in 8 mila a lasciare le case. Trento allagata dall'Adige. Nel Trentino 23 morti, 12 nell'Udinese, 22 nel Bellunese. Ma si teme il peggio nel Polesine. Il mare ha infranto le dighe e la vasta zona di Porto Tolte con tutte le sue case è sotto due metri d'acqua. Il Po, che trasporta normalmente 800 metri cubi al secondo, raggiunge gli 8 mila. L'enorme massa preme sugli argini. Se questi cedessero, sarebbe una catastrofe simile a quella del 1951: migliaia di persone perderanno case e terre, qualcuno anche la vita. Deve ancora arrivare l'onda di piena. Parecchie centinaia di volontari e soldati lavorano giorno e notte, alla luce di torce, per rinforzare le sponde. Per tre giorni si vive sul ciglio del disastro. A Porto Tolle allagata c'è chi si ostina ad abitare nell'altopiano asciutto ed ha la barca legata alla finestra. Si alza un po' di vento e smuove l'acqua che si frange contro la corda del campanile, facendo suonare la campana. Gli uomini continuano a rafforzare gli argini. Per questo lavoro, ma anche perché l'Adriatico «riceve bene» e l'alta marea è sopportabile, l'onda di piena passa il giorno 8 senza danno. Il Po comincia a decrescere, il Polesine è salvo. Si va a vedere altre zone alluvionate. A Venezia si vive al freddo e al lume di candela. Hanno sofferto di più i quartieri dei poveri. Porte spalancate su canali e caili, e dentro vedi la desolazione: la marea ha distrutto quello che non ha risucchiato e portato via. Ora le donne spazzano il fango dalle stanze dove resta qualche mobile scardinato. Nella provincia di Treviso, il torrente Livenza ha rotto nella notte del 5 novembre: Motta è sotto quattro metri d'acqua. Il bestiame annegato nelle stalle, su 8 mila abitanti 1500 senza tetto, danni per decine di miliardi. Nel Trentino, un primo bilancio dà 80 mila alluvionati. I drammi della povera gente della Valsugana che ha perduto la casa, la ter¬ ra, tutti i risparmi. Fabbrichette schiacciate dalle frane o spazzate dalle acque. Un caso tra i tanti: a Tezze, che è tutta macerie, un cieco, paralitico da tre anni, padre di sette figli e che vive con 29 mila lire di pensione al mese, sta per annegare in casa. Lo salvano sfondando il tetto, lo portano via, paralizzato nel letto. Gli rimane soltanto questo letto sconquassato e il materasso macero. I tre quarti della provincia di Belluno sono devastati. Distruzione e morte in una settantina di Comuni. Chilometri e chilometri di strade franate e 25 ponti crollati. I profughi arrivano ai centri di soccorso, ognuno con un tragico racconto. Un uomo di Campolongo fuggiva dalla piena con la madre sulle spalle, la furia del torrente gli strappò la donna, gliela portò via, lui la sentì urlare ma non la vide più. A Presenaio un torrente, che normalmente ha un metro di larghezza, ora ha una sede di ottanta metri e durante la piena era alto sei metri. Le case vicine sono sparite. Longarone stava risorgendo, seppur lentamente. Saltano gli argini del Piave e la nuova zona industriale è allagata. Uno dei superstiti di Longarone nella catastrofe dell'ottobre 1963 era stato il dottor Trevisan, medico condotto. Muore in questa alluvione, scomparso, travolto dal crollo del ponte sul Mah, mentre con un amico va per un ammalato a Ponte delle Alpi. Nel Cadore, nell'Agordino e nel Comelico ogni giorno si scopre una nuova tragedia. Tremila soldati impegnati a liberare le strade dalle frane. Profughi che soltanto dopo parecchi giorni riescono ad uscire da valli devastate: «Il nostro paese? Non c'è più, è sparito». Cencenighe è un'apparizione apocalittica. Il torrente Biois, impazzito, è usciio dall'alveo, ha invaso il paese: i detriti arrivano alle grondaie delle case, la piena ha strappato dal camposanto, portato lontano, decine di salme. E molti altri paesi sono ora pietre, soltanto pietre. Nel Bellunese gli alluvionati sono 70 mila. Paesi di gente che da sempre vive soprattutto d'emigrazione. Anni di lavoro all'estero per farsi la casa qui e viverci gli ultimi anni. Gli bastava la casetta, un bicchiere di vino e non avere debiti per essere contenta. Adesso la casetta è metà crollata, quello che resta dovrà essere abbattuto. Una povera donna piange tra le macerie. Il marito le posa una mano sulla spalla: «Cosa vuoi disperarti, va là. E' meglio che scaviamo per trovare qualcosa. Guarda: adesso è tornato il sole». Luciano Curino Venezia. Alluvione 1966: la piazzetta S. Marco diventata laguna (Telefoto Ap)

Persone citate: Motta, Tezze, Trevisan