Firenze: solo ora si comincia a dragare il letto dell 'Arno di Francesco Fornari

Firenze: solo ora si comincia a dragare il letto dell 'Arno Firenze: solo ora si comincia a dragare il letto dell 'Arno (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 3 novembre. «Erano le 5 del mattino: proprio qui, in questo punto, ho visto il primo schizzo d'acqua superare l'argine. Era l'inizio dell'alluvione». Il prof. Piero Bar gel li ni, sindaco di Firenze nel 1966, ricorda l'alba tragica del 4 novembre di dieci anni fa. Siamo venuti sul Lung'Arno, nei pressi della Biblioteca nazionale, nel punto esatto in cui le acque del fiume in piena ruppero gli argini e si incanalarono con furia distruttrice lungo le strette vie del centro storico. Alle 16, in piazza Santa Croce l'acqua aveva raggiunto l'altezza di metri 4,65: all'interno della Chiesa, dove sono custodite opere di famosi artisti, lo spettacolo era desolante. Del Cristo del Cimabue emergeva dalla fanghiglia solo la testa. Da quel giorno, quando Firenze fhii sotto la piena dell'Arno, sono trascorsi dieci anni. L'Arno è tornato negli argini, è passata l'emozione, è finito lo slancio della solidarietà. Si sono spente le polemiche che, come sempre, concludono ogni tragedia italiana. Da tempo si è addirittura perso il ricordo di quei giorni di angoscia, con la certezza che oggi Firenze non corra più alcun pericolo, che sia stato fatto qualcosa per scongiurare la minaccia di una nuova tragedia. Invece il pericolo è rimasto lo stesso: se arriva un'altra piena, Firenze ritorna sotto l'acqua come in quei giorni del '66. La pioggia di queste settimane ha fatto temere il peggio: ogni mattina i fiorentini si fermano a guardare l'acqua limacciosa che scorre sempre più alta sotto i ponti e fanno gli scongiuri. Perché non è stato fatto assolutamente nulla per evitare il rischio di una inondazione. Piani per realizzare una protezione della città ne sono stati presentati tanti: cose serie studiate da gente seria. I primi risalgono al '69, altri sono stati presentati dopo. Anche ora, proprio alla fine di ottobre. Ma nulla è stato fatto. «Si sono persi troppi anni in discussioni accademiche e siamo ancora al punto di partenza. Io ho sempre sostenuto che bisogna fermare Attila prima che arrivi in città, ma nessuno mi ha dato retta», commenta l'ex sindaco Bargellini. Il comunista Elio Gabbuggiani, attuale sindaco di Firenze, rincara la dose: «Un ritardo la cui colpa ricade sugli organi centrali, che hanno dimostrato di non avere la capacità di andare al di là delle opere di ripristino. Hanno ri¬ costruito gli argini, dov'erano e com'erano. E tutto si è fermato lì. Si è dovuto attendere quasi dieci anni per vedere l'inizio dei lavori di dragaggio dell'Arno nel tratto che attraversa la città e solo la prossima primavera, finalmente, si apriranno i cantieri per l'abbassamento delle platee del Ponte Vecchio e di quello di Santa Trinità». Dice il dottor Davis Ottati, assessore all'Ambiente, al cui ufficio fanno capo; fra gli altri, i problemi relativi alla regimazione delle acque nel territorio: «Le prospettive sono soltanto tutte sulla carta. In dieci anni non abbiamo fatto molti passi avanti, anche se di progetti ce ne sono stati tanii». Illustra i primi interventi operati dal Genio civile. «Opere d'emergenza fatte a tempo di record, perché c'era il pericolo che arrivasse una seconda ondata di piena». Per questi lavori sono stati spesi circa due miliardi, poi, cessata l'emergenza, tutto quello che è stato fatto è stato distrutto per dare inizio a lavori meno provvisori. «Sono slati rifatti argini, muragliani, tutte le opere di difesa che erano state spazzate via dalla furia del fiume. Due anni di lavoro, un mucchio di denaro e alla fine, nel '68, tutto era di nuovo come prima dell'allu- vione, vale a dire inefficiente oltre un certo limite, come ha dimostrato quello che è accaduto durante la piena». I tanto decantati lavori annunciati subito dopo il disastro per garantire la sicurezza di Firenze non sono mai neppure incominciati. «Sono anni che Roma dorme sui progetti di una serie di bacini a monte dell'Arno e degli affluenti più pericolosi, soprattutto la Sieve, il Bisenzio e l'Ombrane». Uno di questi, la diga di Bilancino, risale addirittura al '58: i tecnici affermano che questa diga offrirebbe buone garanzie in caso di piena e risolverebbe anche il problema del fabbisogno idrico della città. Rispolverato dalla Commissione nominata dal ministero dei Lavori pubblici all'indomani dell'alluvione, il progetto di questa diga ricompare puntualmente in tutti i piani tecnici che sono stati progettati sinora, compreso quello «pilota» a cura della Regione. Dopo una serie di questioni burocratiche, non ultima l'opposizione presentata dall'ideatore del primo progetto a quelli che sono seguiti, tutto è rimasto fermo per anni, ed intanto «i costi per la realizzazione sono aumentati in maniera paurosa — dice l'assessore Ottati —; dai 16 miliardi previsti nel '64, siamo passati ai 42 di oggi». In tutti questi anni la questione della regimazione delle acque è stata dibattuta in lungo e in largo: sul piano dello studio sono stati fatti notevoli passi avanti. Spiega l'ingegner Delia, direttore dell'acquedotto municipale: «Nel '70, quando fu presentata la relazione della Commissione insediata dal ministero dei Lavori pubblici, si parlava esclusivamente di difesa, l'Arno era considerato soltanto un nemico, non un mezzo di sviluppo, una risorsa idrica da sfruttare. Se si fosse realizzato quel progetto, sarebbero stati spesi miliardi per creare opere difensive fine a se stesse, senza alcuna altra utilità. Il nuovo progetto pilota, invece, assicura la protezione garantendo lo sfruttamento e l'utilizzazione delle acque». Ribatte il prof. Bargellini, ricordato come «il sindaco dell'alluvione». «Per me sarebbe stato meglio se si fosse dato inizio a quei lavori. Oggi si dice che avremmo commesso un errore, ma sembra che nessuno si renda conto che il pericolo è sospeso sopra dì noi in ogni momento, anche adesso». I danni causati dall'alluvione del '66 sono stati immensi, il patrimonio artistico e culturale custodito nelle Chiese, nei Musei e nelle Biblioteche fiorentine subì l'affronto più grave. Oggi almeno la metà delle opere danneggiate sono state restaurate (più critica la situazione per gli incunabuli della Biblioteca nazionale: i lavori di restauro sono complessi, lenti e difficili), ma qualcuna, purtroppo, è stata danneggiata in maniera irreparabile. Francesco Fornari Firenze. Un'immagine dell'alluvione del 1966: fango ed acqua a Santa Croce (Tel. Upi)

Persone citate: Bargellini, Davis Ottati, Elio Gabbuggiani, Piero Bar, Sieve