McCarthy il vero pericolo per le ambizioni di Carter? di Fabio Galvano

McCarthy il vero pericolo per le ambizioni di Carter? Da un "indipendente,, una mano a Ford McCarthy il vero pericolo per le ambizioni di Carter? A otto giorni dalle elezioni americane il cempo di Jimmy Carter sembra impegnato non tanto a impedire una rimonta finale da parte del presidente Ford, che tutti i sondaggi danno ormai per sconfitto, quanto a contenere lo stillicidio di voti democratici di cui è responsabile Eugene McCarthy. L'ex senatore democratico del Minnesota, i cui duri attacchi furono forse il motivo principale che indusse il presidente Johnson a non ripresentarsi alle elezioni del '68, e le cui critiche non favorirono certo la campagna di Humphrey emerso quell'anno dalla Convenzione democratica, ha deciso di presentarsi come indipendente, in aperta polemica con la partitocrazia americana che limita la scelta dei cittadini ai due candidati espressi da repubblicani e democratici appunto Ford e Carter. Il suo nome figurerà, martedì 2 novembre, sulle schede elettorali di 31 dei 50 Stati, e i più recenti sondaggi d'opinione concordano nell'affermare che McCarthy può conquistare, a seconda delle regioni, fra il 3 e il 12 per cento dei voti. E' presumibile che ogni suo voto sia sottratto al cartello democratico, cioè a Carter. Indirettamente, quindi, McCarthy potrebbe favorire il presidente Ford nel suo tentativo di restare alla Casa Bianca. Basterebbe infatti che negli Stati di maggiore equilibrio fra i due contendenti ufficiali egli «rubasse» una percentuale seppur minima di elettori a Carter per dare a Ford una maggioranza relativa e con quella, grazie al sistema vigente negli Stati Uniti dove il vincitore piglia tutto, il blocco dei «voti elettorali » di quegli Stati. McCarthy ammette di non potere vincere le elezioni. Perfino la sua esplicita speranza di affermarsi in quattro o cinque Stati sembra eccessiva agli osservatori americani, sebbene negli ultimi giorni egli abbia concentrato gli sforzi in nove Stati dove ha un potenziale elettorato fra i democratici liberali, non del tutto soddisfatti dalla politica troppo «conservatrice» di Carter. Quella strategia sembra, per chi osserva da fuori, a senso unico: sembra in grado, cioè, di causare il massimo danno a Carter. McCarthy sembra trovarsi a proprio agio nella parte di «guastatore». Ai comizi, non senza un certo compiacimento, osserva: «Sono stato accusato di essere un guastafeste. Ebbene, come si può guastare questa elezione se non c'è niente da guastare?». In effetti sembra avere raccolto, facendola sua, l'indifferenza e le critiche di parte dell'elettorato americano, che ha assistito a uno scontro finale, fra i due principali contendenti, di insospettata modestia, con un Carter troppo vago sui più assillanti problemi degli Stati Uniti e un Ford impegnato a farsi bello della ripresa economica americana e di altri meriti che forse non gli competono. Proprio nel clima di delusione per una campagna che prometteva faville e si sta risolvendo invece in meschini rimbrotti fra i due contendenti, McCarthy trova combustibile per la sua marcia. A questo si aggiunge il favore dei giovani, quegli stessi che quattro anni fa dovevano costituire l'asso nella manica di McGovern: così si spiegano le trionfali accoglienze che gli sono state riservate soprat tutto nelle università. McCarthy, che da sempre sa esercitare un fascino anche fisico sugli americani, con quella sua figura alta e snella da americano «in forma», con i capelli ormai candidi che vorrebbero rappresentare il buon senso dell'età, si è creato una piattaforma populista: sostiene la necessità di produrre automobili più piccole per ridurre i consumi di benzina, invoca l'abolizione degli straordinari in modo da creare un maggior numero di posti di lavoro, vuole sottoporre le grandi multinazionali a un controllo più stretto piuttosto che smembrarle, come sembra essere invece l'intenzione di Carter. Inoltre ha esasperato certe istanze moralizzatrici di Carter rivolgendole proprio a danno del candidato democratico. Sostiene, per esempio, che c'è del marcio nella legge sulle elezioni presidenziali, la quale attribuisce a una commissione ogni decisione sul finanziamento pubblico dei candidati. Ha il dente avvelenato, perché fu proprio quella commissione a negargli i sussidi pubblici, con un voto di parità, tre a tre; a esprimersi in favore erano stati i tre commissari repubblicani, che vedevano appunto la prospettiva di una spaccatura fra l'elettorato del partito rivale, e contro avevano votato i tre democratici. Fabio Galvano

Persone citate: Eugene Mccarthy, Ford Mccarthy, Jimmy Carter, Johnson

Luoghi citati: Minnesota, Stati Uniti