"Chi parla di scontro dimentica il passato" di Carla Fontana
"Chi parla di scontro dimentica il passato" "Chi parla di scontro dimentica il passato" Adalberto Minucci, segretario del pei in Piemonte, membro del comitato centrale e della direzione nazionale. Reduce dal recente scontro in Comitato centrale tra le linee di Berlinguer, Amendola e Longo, si porta addosso l'etichetta di difensore del segretario: «Sono intervenuti i quadri emergenti del pei, cresciuti con Berlinguer, e ne hanno sostenuto la relazione introduttiva a spada tratta», hanno commentato press'a poco alcuni giornali. A Minucci quest'interpretazione sta scomoda: «Ho detto le cose che pensavo. Partivo da un'angolatura tipica come quella della situazione torinese e mi sono riconosciuto nella linea di Berlinguer, che è poi passata all'unanimità». E qual è la linea di Berlinguer, vista da Minucci? «Si articola su tre punti essenziali. Primo: riconoscimento dell'estrema gravità della situazione economica e sociale, di cui l'elemento di maggior pericolosità è rappresentato dal processo di inflazione in atto. Secondo: necessità che il popolo italiano accetti sacrifici, per impedire che si vada verso una vera e propria catastrofe con gravissimo pericolo per le istituzioni democratiche. Terzo: per bloccare l'inflazione e mvertire la tendenza, occorre avviare subito un processo di mutamento nelle strutture economiche, nella macchina dello Stato e nella direzione politica». Sembra semplice, detta co- | si, ma al Comitato centrale | ha provocato uno scontro con altre due tesi, agli estremi: quella di Amendola, secondo cui l'inflazione è così grave e comporta tanti rischi che il suo superamento rappresenta un obiettivo immediato e a sé stante; e quella di Longo, che privilegia il rapporto con le masse e si fida poco di questo governo. «Ma se chiamiamo scontro questa, che è semmai una differenziazione di analisi sulla situazione», corregge Minucci, «come dovremmo chiamare gli scontri altrettanto pubblici dell' ottavo Congresso (1956: destalinizzazione, fatti d'Ungheria, via italiana al socialismo) o dell'undicesimo (1966: democrazia all'interno del partito, nuovo modello di sviluppo per l'Italia) o dei Comitati centrali a proposito del centro-sinistra?». Intanto, però, riconosce che il nodo del dissenso è «il giudizio che si dà sui rapporti politici attuali, è la maggiore o minore diffidenza sullo spiraglio che essi offrono al pei di pesare di più». In sostanza: combattere l'inflazione e fare sacrifici sta bene sia a Longo, sia ad Amendola, sia a Berlinguer. Ma tutto questo serve al pei? Rende in termini di governo? Berlinguer, tradotto da Minucci, risponde di sì. «Certo, è una scommessa politica». Non si limita alla disquisizione strettamente economica se sia davvero possibile portare avanti contemporaneamente e la lotta all'inflazione e l'allargamento della base produttiva. «L'operazione che tentiamo è di portata storica: la necessaria stretta dei consumi deve portare a un mutamento di regole e modi di vita: con una contropartita di equità e di servizi sociali migliori, ma si tratta pur sempre di un salto di civiltà». Così il pei «educa» le sue masse, le convince a digerire i sacrifici («se ci fermassimo alla protesta, al rifiuto, sarebbero gli altri a tenere il maz zo in mano, con rischi gravis simi per le stesse istituzio ni»), ma gli presenta possibile e non troppo lontano anche il mitico sbocco: la classe operaia, cioè il pei tout-court al governo. «Oggi il pei si trova a fare un grosso passo, quasi conclusivo, sulla via del governo», ammette Minucci. E lo fa combattendo da una parte l'inflazione, dall'altro tentando — attraverso gli stessi provvedimenti economici di innescare una riforma delle strutture dell'economia, della produzione e dello Stato medesimo. E soprattutto condizionando il più possibile ii governo Andreotti, che non1 può fare a meno del pei né in Parlamento né nei rapporti con le masse. Paradossalmente, ma non troppo, le stesse divergenze fra i capi comunisti hanno finito per rafforzare il sostegno all'attuale governo. La parola d'ordine potrebbe essere: « Teniamolo in piedi, condizioniamolo fino a renderci indispensabili: allora toccherà a noi». Minucci non dice proprio così. Questa la sua affermazione conclusiva: «In lima di massima abbiamo ribadito la volonth di non far cadere questo governo, fino a che non si siano realizzate condizioni che permettano soluzioni più avanzate. Per questo, come ha detto Berlinguer, occorre stanare la de, che ora sta zitta, si nasconde, non affronta i grandi temi e si ripiega su questioni interne. Ma intanto il Paese ha bisogno di essere governato: noi condìzionenmo il governo perché faccia cose giuste e orientate al cambiamento». A sua volta anche il pei ha bisogno di un collaboratore: «Per ottenere tutto questo oc corre che la classe opeiaia non sia corporativa, ma più "politica", più aperta alla comprensione dell'interesse generale». La partita è rischiosa, la posta in gioco molto grossa. Ma Berlinguer gioca come se avesse in mano una scala reale. Carla Fontana
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