Cefis, magnate dei debiti di Eugenio Cefis

Cefis, magnate dei debiti IL PIÙ DISCUSSO TRA I MANAGERS DI STATO Cefis, magnate dei debiti Friulano, 55 anni, nel 1971 aveva "stregato" migliaia di piccoli azionisti, politici e grandi imprenditori, fino a convincerli che solo lui era in grado di risanare la Montedison - Ma oggi, al di sotto della crisi Montefibre, tutta la holding appare dissestata - C'è chi lo vede trascinato nella polvere, ma i più dicono che "riesce sempre a nuotare al centro della corrente" «Il Faraone Eugenio I». «Eugenio il genio». «Eugenio crack». Tre definizioni che scandiscono la storia personale di Eugenio Cefis, ex presidente dell'Eni, da cinque anni presidente della Montedison, certo il più discusso e il più criticato tra i managers di Stato, regista e prim'attore del mutamento profondo vissuto dalla società industriale e finanziaria italiana nel corso dell'ultimo decennio. Più volte sugli altari, al punto da apparire il salvatore della nostra disastrata imprenditoria pubblica, sembra oggi destinato ad essere trascinato nella polvere: l'acutizzarsi prenatalizio della cronica crisi della Montefibre — che, come è noto, potrà pagare solo una piccola parte degli stipendi di novembre — ha nuovamente aperto uno squarcio sul progressivo dissesto dell'intero gruppo Montedison, cioè di quella che, con la Fiat, è la più grande azienda industriale italiana. Le cifre, ormai, parlano chiaro, nonostante gli abili giochi d'artificio di cui Cefis è stato sempre maestro. Già nel 1975 il gruppo di Foro Bonaparte aveva perso ufficialmente 163 miliardi e ne aveva pagati 267 di interessi sui debiti (che assommavano a 4500 miliardi), ma le perdite effettive erano state molto superiori. Ora è certo che il 1976 porterà con sé — nonostante un aumento anche massiccio delle vendite — una valanga di perdite che non sarà senz'altro inferiore ai 200 miliardi. Non è un caso che la Montedison, la quale incassa ogni mese qualcosa come 400 miliardi, non riesca a racimolare, per la fine di novembre, quei 4 o 5 miliardi che servirebbero alla Montefibre per pagare gli stipendi dei suoi dipendenti. E se anche questi — come qualcuno sospetta — ci sono ma non vengono ti- rati fuori per una precisa volontà politica, la crisi e il dissesto della holding restano un'inquietante realtà. E Cefis, di questa realtà, è indicato come il responsabile. Eppure questo cinquantacinquenne friulano — uscito dall'Accademia militare di Modena, laureato in legge, resistente in vai d'Ossola, amico e pupillo di Enrico Mattei — cinque anni fa aveva «stregato» migliaia di piccoli azionisti, politici e grandi imprenditori, fino a convincerli che solo lui era in grado di risanare dalle fondamenta il colosso della chimica italiana. Aveva un programma tagliato con l'accetta (abolire i rami secchi, eliminare la rivalità tra i dirigenti di provenienza Montecatini e quelli di provenienza Edison, mettere un po' d'ordine nella gestione finanziaria), e sembrava il tipo adatto per attuarlo: tratti e modi molto decìsi, spregiudicatezza, inflessibilità, sicurezza. Ma la grande borghesia che confidava in lui, e che lo aveva preferito a Visentini, non aveva fatto i conti con una sua caratteristica fino ad allora rimasta in ombra: la sua ambizione di manager. Invece che al risanamento del gruppo, appena messo piede nella Montedison Cefis ha cominciato a pensare a progetti di espansione: ha allargato deliberatamente il settore delle fibre, lo stesso che oggi egli indica come massimo responsabile del cattivo andamento della holding,- ha acquistato il 44 per cento della Snia Viscosa, cioè di un'azienda che ha avuto nel '75 un «buco» effettivo di un'ottantina di miliardi; si è lanciato nell'assalto dei quotidiani accumulando debiti e grane; ha intrapreso ardite operazioni fi- nanziarie per cercare di tappare i buchi della gestione industriale. Così, dice Scalfari, «non ha risanato un bel niente». Ma l'anno scorso, per rinsaldare la vacillante fiducia dei piccoli risparmiatori, ha deciso di distribuire un dividendo di 33 lire per azione. Era il frutto di un periodo eccezionalmente favorevole per la chimica in tutto il mondo, che aveva permesso alla Montedison di chiudere l'esercizio con un bilancio attivo di 80 miliardi. Secondo i suoi critici. Cefis con quel gesto perdeva l'ultima possibilità di ricostituire le riserve della società e intraprendere una vera opera dì risanamento. Sono molti i suoi critici. «Cefis parla molto ma dice poco», ha detto di lui Giorgio La Malfa, che ha proposto una nuova indagine conoscitiva sulla Montedison da parte del Parlamento. «Ogni volta che Cefis si è schierato da una parte, gli interessi del Paese stavano dalla parte opposta», hanno sentenziato Scalfari e Turani in «Razza padrona». L'anno scorso, quando sotto Natale minacciò dì chiudere due stabilimenti Montefibre, furono in molti a dargli del «ricattatore». C'è chi lo definisce, per i quattrini che elargirebbe ai partiti (senza far troppe distinzioni) un «elemosiniere generoso ». Ma non mancano gli estimatori. «Basterebbero nove 0 dieci uomini come lui — è l'opinione del petroliere Monti — per risollevare l'industria italiana dalla crisi e farla andare avanti a gonfie vele». Del resto anche i detrattori gli riconoscono doti non comuni: «La qualità fondamentale di questo personaggio, che lo rende così diverso dal suo altrettanto spregiudicato maestro Enrico Mattei — sono ancora parole di Scalfari — è che non muove mai un passo avanti se non è sicuro di avere almeno due vie d'uscita». Non solo, è anche uno che — quasi seguace di antica saggezza — «riesce sempre a nuotare al centro della corrente, mai ai bordi». Il suo capolavoro di scaltrezza è considerata la storia delle famose dimissioni della primavera dell'anno scorso. Molestato da un «uomo ombra» che aveva rastrellato dall'estero cento milioni di azioni della società, dicendosi amareggiato dagli errori e dalle contraddizioni del governo, che rischiavano di «far perdere ancora una volta il treno alla Montedison», minacciò di andarsene nel giro di pochi giorni. In realtà, orchestrando alla perfezione la vasta rete di amicizie politiche e suonando le note giuste attraverso gli organi di stampa da lui direttamente e indirettamente controllati, riuscì a sbaragliare coloro che si opponevano al ritiro delle sue dimissioni e uscì vincitore, più in auge di prima, presidente della società e capo del sindacato di controllo. Il tutto, ovviamente, senza possedere neanche un'azione della Montedison, senza rischiare un capello di suo: resta un funzionario, che però dipende solo da se stesso e può persino dare scacco allo Stato. E' dunque reale immaginarlo trascinato nella polvere dal dissesto Montedison? 1 più lo dubitano. Con la sua tattica di nuotare al centro della corrente, appare spalleggiato da diversi uomini politici di diversi partiti. Prima era vicino a Fanfani, adesso si calcola che sia in zona Andreotti, ma allo stesso tempo non lontano dall'a- rea socialista di Mancini (che un tempo, invece, non lo vedeva con simpatia). Incredibile ma vero, non sembra sgradito neppure ai comunisti, che addirittura avrebbero parlato di lui co¬ me possibile presidente di un gruppo Montedison completamente statalizzato. Viene il dubbio che non sappia solo nuotare al centro, ma anche cadere in piedi. Carlo Sartori Eugenio Cefis

Luoghi citati: Modena, Montecatini, Ossola