La Nazionale non è da linciare di Giovanni Arpino

La Nazionale non è da linciare Critichiamola pure per la goleada mancata, però... La Nazionale non è da linciare Una squadra da correggere per farla funzionare meglio - Gli impegni internazionali di mercoledì, valido test per gli azzurri In tempi fortunatamente ormai lontani — anche se tuttora pesanti nel ricordo — questa Nazionale fu auspicata come il Club dei « piedi buoni ». Ma se non ci sono le egregie zucche di Graziani-Bettega, crani che fanno tre gol su quattro in Lussemburgo, vari « piedi » non godrebbero di testimonianze a favore. Dobbiamo ritornare sulla prima delle partite eliminatorie per i « mondiali 78 ». Nel piccolo e provinciale stadio del Granducato capitan Facchetti e compagnia bella hanno avuto ben novanta minuti a disposizione per liquidare i giovanotti del commissario iussemburghese Legrand: e noi neppur mezz'ora per dettar giudizi velocissimi al telefono. Con un « charter » che ci aspettava all'aeroporto, abbiamo dovuto trasferire nei commenti la frenesia che gli Azzurri avevano espressa sul campo. Al "video 99 Dunque: questa Nazionale non è piaciuta. I tifosi incollati al « video », molti emigranti che avevano affollato le tribune, gli stessi giocatori dotati di autocritica hanno giudicato mediocre la gara e il risultato. Numerosi appunti si sono riversati sul « solito » Causio, sul « solito » Antognoni, sulle intemperanze dinamiche di Rocca podista, sulle incertezze di Mozzini, preso alla gola dall'emozione del debutto (ehi, campione, sta calmo e te la caverai meglio alla prossima). Ad alcune obbiezioni si può rispondere così: Causio ha alternato momenti di vena a sregolatezze ormai tipiche, però ha messo il suo notevole zampino in tutte le occasioni dei gol segnati (e si è visto negare una rete per una mancata restituzione di palla in triangolo da parte di Graziani). Rocca, non contento di sé, mugugnava nervoso durante il viaggio di ritorno: « A me 'sto avversario non faceva che dire: merde, merde. E cos'i ci siamo anche menati ». Mozzini non è stato bravo, ma chi è bravissimo nelle retrovie italiane, al giorno d'oggi? GrazianiBettega possono sostituire l'efficacia di Giggirrivva, ma un altro Burgnich non è nato. Solo Tardelli è difensore-propulsore d'eccellenza, talmente d'eccellenza che la sua squadra, la Madama, è costretta per «realpolitik » pallonara a farlo giocare in avanti. Ma eccoci, anzi rieccoci, ad Antognoni, croce e delizia. Il biondo va e non va. Gli inglesi lo adorano. Ora, i casi - .io aue: o gli si sdilinquiscono davanti come erano soliti per Rivera, colpiti dalla grazia del « solista » e senza badare alla dura necessità di squadra, oppure sono cosi machiavellici da lodarlo perché noi lo si schieri contro di loro. In modo che il « settebellezze », marcando nessuno e fallendo per eccesso di precisione (era un termine di Scopigno per indicare paletti e traverse colpiti) favorisca le imminenti offensive di Don Revie. Sono stato forse il primo, se non addirittura il primissimo, a scherzare su questo ragazzo sovraccarico di responsabilità per le sue doti difficilmente esprimibili. Ma mi voglio anche dissociare da chi oggi, obbedendo al facile andazzo, lo critica con cieco furore. Antognoni dà e sa dare molto, come atleta. E non ha paura mai. Non è all'altezza di interpretare il suo ruolo: questa la verità. Se però infilava tre « pappine » possibili nella rete lussemburghese, state certi che avremmo assistito a osanna vergognosi. E' nostro vizio antico — e becero e paesano — pretendere da un uomo solo, per di più ventenne, una globale resurrezione sull'erba pedatoria. Con Riva, con Rivera, con Antognoni. E cosi non badiamo alla completezza della squadra. Vogliamo, non avendolo, un Pelé per cui delirare. Siamo noi le prime vittime di un divismo orbo d'intelligenza. Questa Nazionale non è da linciare: ecco il mio motto. Possiamo, dobbiamo correggerla, e pretendere che ogni suo uomo, ogni suo schema, funzionino meglio. Ripeto: una coppia da gol, pedestri o aerei, qual è quella di Graziani-Bettega, se la ricordano solo gli annali molto antichi del nostro « balòn ». E' necessario sorreggerla, cosi com'è necessario « chiudere » una difesa che sta diventando troppo allegra per smania di giocar palla. Un appunto ancora, amichevole ma netto: Enzo Bearzot ha difeso la squadra <« che sa attaccare », con molta foga. E comprendiamo il suo gesto. Però riteniamo più utile una minima sordina. Servirà per non creare pericolose illusioni. Il « vecio » Enzo ha ereditato un patrimonio di difficoltosa manovra, insidiato dalle polemiche, da un annoso « capataz » che siede in tribuna a partire dalle 13,30 ma che si precipita negli spogliatoi per dir la sua appena la gara è finita. Vi sono equivoci al vertice, che naturalmente si ripercuotono nel cuore del Club. I giocatori ascoltano, leggono, pensano, si confidano, ed abbisognano di un « responsabile » al massimo della credibilità. Enzo Bearzot è di stomaco ferrigno e di temperamento ligio al dovere. Sa di dover proteggere i suoi « galletti ». Non vorremmo però che il suo volonteroso ottimismo creasse speranze assurde nella tifoseria, sempre felice di pretender sangue dalle rape. Sacrificio La Nazionale è una squadra « in fieri », cioè costretta a sacrificarsi per la sua stessa crescita. Ha più muscoli che non cervelli, ahimè, e forse solo qui — sottolineamolo — sta il suo limite attuale. Don Revie, che si pretende ducetto della pelota anglosassone, è convinto di poterci far fuori nell'arco dei due incontri diretti. Meglio così. La sua sicurezza ci può far comodo, ma non gridiamola ai quattro venti. Ben vengano le Coppe, ora, con i loro turni cruenti. Sarà eccezionale occasione per coloro che hanno speso sudore più o meno facile in Lussemburgo (ma penso anche a quelli rimasti seduti, da Scirea a « Zac » a Benetti). Abbiamo necessità di passaporti, cosa difficile se li chiediamo al Manchester United (le ha beccate nell'ultima partita, sembra ma non è mai buon segno) e al Borussia Moenchen-babau. E' solo con questi timbri sul documento d'identità che potremo affrontare la disfida con gli inglesi. E nel frattempo Antognoni. ultimo Amleto in mutande della patria pallonara, non si ritenga al riparo nella troppo beata (anche questo è il guaio) oasi fiorentina. Giovanni Arpino Enzo Bearzot ha difeso la squadra «che sa attaccare»

Luoghi citati: Lussemburgo, Manchester