Quel tragico autunno

Quel tragico autunno Quel tragico autunno 23 ottobre 1956. Ore venti. Gli altoparlanti collocati agli angoli di ogni strada, nel centro di Budapest, trasmettono la voce metallica di Emo Gero, segretario del pc ungherese, uomo di fiducia di Rakoczi: « Condanniamo tutti coloro che cercano di seminare il veleno dello sciovinismo tra la nostra gioventù... ». Tutta Budapest è nelle piazze, per chiedere un socialismo più umano. La « condanna » di Gero è accolta con un boato. La manifestazione si trasforma in rivolta aperta. Sulla via Santi or Brody, cominciano i primi scontri, i primi spari, e i morti. La polizia apre 11 fuoco contro i dimostranti, gli studenti si procurano armi nei magazzini militari. Nella piazza Stalin, si comincia la demolizione della grande statua del dittatore. Durante la notte, il comitato centrale vara un compromesso: Gero resta alla segreteria del partito, Imre Nagy diventa capo del governo, invocato dai manifestanti, ma senza potere reale. All'alba della mattina seguente, 24 ottobre, intervengono i carri armati sovietici. Si costruiscono barricate in tutte le strade; bottiglie molotov vengono lanciate contro i cingoli degli automezzi. I combattimenti si estendono, iniziano le vendette, i saccheggi, la caccia all'uomo. E' la rivolta, ma forse esi¬ stono ancora margini per un recupero della situazione. Tutto, invece, precipita la mattina del 25 ottobre. Una gran folla è ammassata davanti al Parlamento. Chiede le dimissioni del « pagliaccio Gerii ». Dai tetti qualcuno spara. Dieci carri armati sovietici, che presidiano la piazza, ricevono l'ordine di sparare a zero sulla folla. E' un massacro. Gli scontri riprendono con rinnovata violenza. Nel pomeriggio del 30 ottobre le truppe sovietiche si ritirano da Budapest. Non è la svolta tanto attesa. I reparti si concentrano appena fuori dalla città. In attesa dei rinforzi. Mosca ha già deciso. La tragedia ha il suo epilogo il 4 novembre. La radio trasmette un appello di Nagy: « Le truppe sovietiche hanno attaccato Budapest. Il governo rimane al suo posto ». I soldati russi hanno l'ordine di stroncare ogni nido di resistenza. E ubbidiscono. Terminati i CGmbattimenti, la radio torna a far sentire la sua voce: « Qui è Janos Radar che vi parla, il vostro nuovo presidente del consiglio ». Nagy si è rifugiato nell'ambasciata di Jugoslavia. Ne esce il 22 novembre, dopo aver ottenuto l'autorizzazione a riparare in Romania. Ma il camion che lo trasporta viene circondato da autoblindo sovietiche. E' impiccato pochi mesi dopo.

Persone citate: Imre Nagy, Janos Radar, Nagy

Luoghi citati: Budapest, Jugoslavia, Mosca, Romania