Due partiti, due protagonisti di Fabio Galvano

Due partiti, due protagonisti Elezioni tedesche: un risultato denso di incognite Due partiti, due protagonisti Schmidt Lo chiamano «schnautze», grugno, per la sua espressione sovente accigliata e la corporatura lievemente tozza, ma anche per la testardaggine con cui macina ogni scoglio politico. Helmut Schmidt, 57 anni, grazie ai liberali ancora nella carica di cancelliere che occupava dal maggio 1974 per successione a Brandt, sembra deciso a scalare il titolo già attribuito al principe Ottone di Bismarck, quello di «cancelliere di ferro». L'opportunità di far valere le sue qualità di «uomo forte» gli viene dall'esiguo margine di vantaggio sulla coalizione edu-esu di Kohl e Strauss, che lo costringerà a equilibrismi politici per raggiungere senza incidenti il termine del mandato. A muso duro, non esita ad andare contro tutto e tutti, in onore del pragmatismo bismarckiano (famosi i suoi scontri, vent'anni fa, con Adenauer e Strauss). Ma del celebre cancelliere prussiano del secolo scorso Schmidt non ha la diplomazia, come ha già avuto modo di dimostrare ampiamente, non solo in occasione delle recenti minacce intese a «bloccare» un ingres so del pei nel governo italiano. , ma anche negli scontri con i suoi rivali elettorali, ai quali non ha risparmiato battute quasi ingiuriose. Deputato socialdemocratico al Bundestag dal 1953, e ministro della Difesa nel 1969, non esitò nel 1972 a conquistare il posto-chiave di ministro delle Finanze togliendolo al suo vecchio maestro, il professor Karl Schiller, che nel 1949 gli aveva conferito la lode nell'esame di laurea in scienze economiche e lo aveva ingaggiato come «giovane speranza» nel suo staff ministeriale. Inflessibile al limite dell'arroganza, come ministro della Difesa rifiutò di fare sloggiare dalla Germania le basi missilistiche americane, che l'opinione pubblica considerava sgradevoli simboli di guerra fredda e contro le quali molti speravano che si sarebbe scagliato quel ministro della Difesa, il primo socialista in quarant'anni. La sua fedeltà agli Stati Uniti, in effetti, è quasi proverbiale, sebbene Kohl e Strauss lo abbiano ripetutamente accusato di essere troppo «rosso». Nel febbraio del '74, quando si svolse il vertice energetico di Washington, il ministro francese degli Esteri Jobert tentò la vecchia carta gollista di un'autonomia europea dalla guida americana. Schmidt si oppose con durezza: «Il mio Paese — disse — concederà sempre la priorità alla cooperazione con gli Usa anche a costo dell'unità europea». Improntata all'efficientismo {ammira i managers dell'iniziativa privata e ne copia i sistemi), la sua azione ha talora asswito aspetti brutali, come quando mandò in pensione trentasei generali che non gli andavano a genio come quando prese le redini della Cee conquistando alla Germania una «leadership» europea soffiata alla Francia nel sottile gioco dell'«entente» instaurata da Adenauer e De Gaulle. I suoi bilanci quadrano alla perfezione, e questo deve essere per gli americani un merito non indifferente, se gli hanno perdonato la svalutazione del dollaro di qualche anno fa, a cui Washington fu costretta proprio dalla testardaggine di Schmidt nel difendere il marco. Figlio di un professore, è nato ad Amburgo nel 1918. Studiò al liceo dì Lichtwark, fucina di quadrati cervelli tedeschi. Abile canottiere, fece parte come marinaretto della Hitlerjugend, ma dal '36 riuscì a mettersene in disparte. Ufficiale di complemento, combatté nelle Ardenne e cadde prigioniero degli inglesi. Al ritorno dalla prigionia si iscrisse all'università, e da allora la sua carriera non si è fermata. Da 34 anni è sposato con Hannelore Glaser, figlia di un operaio comunista e sua compagna di scuola. Ha una figlia di 29 anni. Il lavoro, per lui, è tutto. Si concede pochi hobbies: qualche suonata dì organo, gli scacchi, la barca a vela. Vita ordinata, vizi limitati (qualche fumata di pipa e un goccio di whisky): proprio come si conviene a un «cancelliere di ferro». Kohl Soprannominato « gigante nero » per la sua alta statura e la carnagione scura, Helmut Kohl ha raggiunto risultati ben più sostanziosi di quanto potessero prevedere, un anno fa, i suoi stessi sostenitori politici. Ha 46 anni, è dal '73 presidente del suo partito, l'unione cristiano-democratica (edu), e la sua scelta a candidato per la cancelleria risale a poco più di un anno fa, date le divergenze fra edu e il esu di Strauss. Nonostante la maggioranza relativa del suo partito, sembra condannato dal gioco delle coalizioni a restare all'opposizione. L'esperienza politica di Kohl è limitata agli angusti confini della Renania Palatinato, del cui governo regionale è presidente. E' riuscito a prevalere nell'ambito del suo partito, concordano gli analisti tedeschi, per la sua mancanza di una forte personalità. Ha saputo evitare, cioè, di crearsi nemici all'interno del partito. Provinciale un po' scialbo, modesto oratore, privo di competenze specifiche fama definirsi « uno specialista in questioni generali »), ha trovato ampi consensi fra il tedesco medio. Praticamente sconosciuto in Germania e all'estero fino a pochi mesi fa, è riuscito a un certo punto a superare il 50 per cento nelle preferenze espresse dai sondaggi: un successo insperato Se non l'ha spuntata — ma il vincitore morale di queste elezioni tedesche resta lui — è forse per il condizionamento a cui è stato sottoposto dall'alleanza con Franz-Josef Strauss, considerato « uomo forte » della coalizione edu-esu Nato a Ludwigshafen nel 1930, Kohl si è laureato nel 1958 in diritto, scienza dello Stato e storia, dopo avere frequentato le università di Francoforte e Heidelberg. Assistente e consulente di dirigenti industriali, già nel 1959 fu eletto deputato del parlamento regionale di Magonza, e nel '63 divenne capogruppo del suo partito. E' alla direzione nazionale della edu dal '65, non ha mai fatto parte del Bundestag. Fabio Galvano