Come siamo stati picchiati

Come siamo stati picchiati Il nostro inviato (ferito) ci racconta da Madrid Come siamo stati picchiati La giornata di lotta proclamata venerdì scorso a Madrid dalle associazioni democratiche, in Spagna ancora definite «clandestine», è stata durissima. Lo sciopero di protesta contro l'uccisione dello studente Carlos Gonzales, ad opera di estremisti di destra, è stato di vaste proporzioni. Cinquantamila persone sono affluite davanti alla cappella dell'Università, dove è stata celebrata la messa di suffragio. Qui, al termine del rito, la polizia ha attaccato, senza motivo, colpendo con gli sfollagente e sparando proiettili di gomma. 11 nostro inviato Mimmo Candito è stato aggredito dagli agenti, picchiato malgrado si fosse subito qualificato come giornalista; anzi, la furia dei poliziotti è raddoppiata quando hanno sapunto che era uno straniero. «Tornatene nella tua patria e vai a scrivere le cose di tua madre», gli hanno urlato mentre lo colpivano con gli sfollagente sulla testa e sulle braccia. Mimmo Candito, portato in ospedale, ha rifiutato il ricovero; ora è in albergo con la commozione cerebrale e i medici lo tengono sotto controllo. Non può scrivere, gli abbiamo perciò telefonato per farci raccontare che cos'è accaduto davanti alla cappella dell'Università, a Madrid. Ecco il suo racconto. Lo sciopero generale del 1° ottobre è stato la più grande manifestazione democratica avvenuta in Spagna dalla guerra civile in poi. Circa cinquantamila per¬ sone si erano radunate davanti alla cappella dell'ateneo, dov'è uno spiazzo che ha un unico sbocco. Terminata la funzione, la gente si è incolonnata per andare via. Non erano avvenuti incidenti. All'improvviso, la polizia ha cominciato a sparare candelotti lacrimogeni e fumogeni. Era molto buio, si vedevano le scie luminose dei proiettili rigare l'oscurità, poi gli scoppi e nuvole di gas che bruciavano occhi e gola. Mentre la folla si sbandava, gridando per la paura, gli agenti hanno aperto il fuoco con i proiettili di gomma. «Ci massacrano», hanno cominciato a urlare i più giovani. Di corsa, migliaia di persone si sono dirette verso plaza de Espana, il cuore di Madrid, inseguite dalla polizia a cavallo e in camionetta. Per cercare di fermare, o almeno rallentare, l'inseguimento (gli agenti continuavano a colpire e sparare) sono state rovesciate alcune auto di traverso la strada. Dovunque stagnava il fumo dei candelotti. Ero tra la gente terrorizzala — continua Candito — ir. calle Princeza, quando due ragazzi mi sono corsi incontro, gridando: «Qualcuno sta sparando, forse dalla folla verso i poliziotti». Ho deciso di tornare indietro, di andare a vedere che cosa stava realmente accadendo. Se la folla spara, la situazione diventa incandescente — pensavo — si corre il rischio di una provocazione o di una svolta da parte delle au¬ torità, sempre pronte a sfruttare ogni occasione per imporre un giro di vite. All'improvviso mi sono trovato davanti a un cordone di poliziotti su camionette, alcuni sono secsi e si sono avventati contro di me. D'istinto mi sono messo con le spalle al muro, per proteggermi; ho alzato le braccia e gridato: «Sono un giornalista straniero». Queste parole hanno peggiorato la mia situazione. Sono stalo picchiato, molto forte, sulla testa e sulle spalle. Mi sono accorto che stavo per cadere e ho pensato: se vado a terra, mi ammazzano. Allora ho spinto i poliziotti, facendomi largo. Forse sono stati sorpresi dalla mia reazione; sono fuggito. Ho avuto paura che mi sparassero, mi hanno invece urlato: «Torna in patria e scrivi le cose di tua madre». Ho avuto completa la sensazione di che cosa sia la violenza del potere. Di corsa, sotto choc, ho fatto il giro d'un palazzo e mi sono ritrovato in calle Princeza. C'è stata un'altra carica; la folla mi ha spinto in un bar. Qui ci siamo trovati in molli: c'ertoo anche due colleghi spagnoli e l'inviata di Paese Sem. Il proprietario ha chiuso la porta a vetri con una spranga e ci ha detto: «Qui non entreranno, ve l'assicaro». Ma gli agenti hanno cominciato a martellare i vetri con gli sfollagente, spingendo e urlando: «Apri, apri». La moglie del proprietario ha supplicalo il marito: «Ubbidisci, ubbidisci, altrimenti ci ammazzano tutti. Ti prego, ubbidisci». Quell'uomo ha dovuto cedere, ma non per paura. Il bar è una specie di corridoio, i poliziotti si sono messi ai lati in fila e mentre la gente passava in mezzo per uscire hanno alzalo i bastoni e picchiato, picchiato. La gente in mezzo, e loro a pestare. Restavamo noi giornalisti, per ultimi. Ci ha salvati un incidente banale: è caduta a terra una grossa pianta ornamentale, con fracasso e sporcando tutto di terra. Vi sono stati attimi di confusione, e siamo fuggiti. In strada, l'aria era irrespirabile. Mi hanno portato in albergo, dove ho ancora potuto scrivere quanto stava accadendo, poi sono andato all'ospedale, dove ho rifiutato il ricovero. A un giornalista possono accadere molti incidenti, ma qui è stato diverso: i poliziotti erano consapevoli di picchiare un giornalista. Questo è un aspetto della Spagna di oggi, quello di un fascismo che resiste, che cerca di sopravvivere, ma che sta anche morendo. Cinquantamila persone, tra cui moltissimi giovani, hanno dimostrato che in Spagna c'è una forte volontà di democrazia, una volontà che non deve essere sottovalutata. Non è ancora chiaro quale strada intende scegliere l'attuale regime, che non definisce quali sono i limiti tra tolleranza e intolleranza.

Persone citate: Carlos Gonzales, Mimmo Candito, Paese Sem

Luoghi citati: Madrid, Spagna