Moro mediatore o ha già scelto ? di Antonio Ghirelli

Moro mediatore o ha già scelto ? STAMPA SERA del lunedi Moro mediatore o ha già scelto ? (La de tra compromesso storico e incontro con i socialisti) Rispetto agli altri protagonisti del dibattito politico, la democrazia cristiana si c mossa con più studiala lentezza all'indomani della ripresa autunnale; ma, in cambio, lo ha fatto con un impegno, una vivacità di articolazione, una serietà di approfondimento culturale che da anni non le si riconosceva. Questa reazione non cessa di essere positiva per il fatto di scaturire dai risultati del 20 giugno, c va pertanto analizzata con il massimo interesse, anche se ha confermato l'esistenza di contrasti interni che —■ almeno fino a questo momento — appaiono incolmabili. Se ne avrà sicuramente conferma nel consiglio nazionale che il partito terrà il 7 c l'8 ottobre prossimi. Il varo delle misure economiche di emergenza da parte del governo Andreotti rappresenta solo l'occasione più immediata, o se si vuole la sollecitazione più pressante, per un ripensamento globale da parte del partito di maggioranza relativa delle sue posizioni ideologiche e politiche. In realtà, il seminario parlamentare che si è tenuto a Roma nei giorni scorsi ha spaziato su una gamma di temi assai più vasta, come più vasti c ricchi erano stati i dibattiti tenuti in precedenza, rispettivamente a Roma su impulso del senatore Agnelli e a St.-Vinccnt nell'abituale convegno di « Forze Nuove », allargato per la circostanza alla componente morotea e a quella di « base ». La stessa iniziativa personale del senatore Fanfani nei confronti del partito socialista, pur nella forma brusca e vivace che è caratteristica del parlamentare aretino, si propone un bersaglio più ambizioso e lontano, giacché è opinione diffusa che almeno fino a primavera il monocolore delle astensioni abbia la sopravvivenza assicurata dalla stessa incertezza del Quadro politico generale. E' da credere che neppure il comitato centrale del psì, che è stato annunciato per novembre e dovrebbe registrare una controffensiva della superstite pattuglia demartiniana, possa modificare l'attuale maggioranza parlamentare, per anomala e precaria che sia. I tempi del chiarimento si annunciano, salvo deprecabili catastrofi economiche, lunghissimi e tutt'altro che scontati. Al centro dei tre momenti di riflessione cui abbiamo accennato — il convegno dell'Hilton. quello di St.-Vinccnt c il seminario parlamentare dell'Eur — sta, naturalmente, la contraddizione di cui ha parlato l'on. Piccoli, allorché ha sottolineato che la de è « maggioranza costituzionale come partito di governo » e al tempo stesso anche « minoranza parlamentare », perché al Senato e alla Camera le decisioni possono essere adottate da maggioranze « aritmetiche » ben diverse, come quella che sembra delinearsi per la legge sull'aborto. In questo caso il pericolo dell'assemblearismo, cioè di una confusione di ruoli tra Governo e Parlamento, si identifica con il rischio di un definitivo trasferimento della « centralità » dalla democrazia cristiani, al partito comunista; il che è quanto dire che non si tratterebbe più di spartire il potere con Berlinguer, ma (a breve o medio termine) di perderlo. Di fronte ad una prospettiva che e qualcosa di più di un'ipotesi da politologhi, la risposta delle varie componenti democristiane è tutt'altro che unanime. L'unanimità, semmai, riguarda la determinazione di conservare a qualunque costo la « centralità », come se il trauma del 20 giugno fosse definitivamente assorbito. La posizione più stimolante, o almeno più nuova, è quella assunta dal vicesegretario Galloni al seminario di Roma. Galloni non è lontano dalla linea dell'on. De Mita, quando sostiene che non c'è differenza qualitativa tra de e pei « quanto alla base popolare » e quindi l'accordo è « di per sé facile » sul terreno sociale, mentre le divergenze sono insuperabili sul terreno della libertà. Nel progetto di patto costituzionale che De Mita caldeggia dn anni, e che ha confermato a Sl.-Vincent, si postula per l'appunto l'irrobustimento delle istituzioni come premessa per l'accordo con i comunisti. Del resto, come ha ammesso anche Galloni, la corresponsabilità del pei nel potere non è una novità, si colloca « nella linea di evoluzione dei nostri istituti parlamentari, già cominciata da tempo », anche se i risultati del 20 giugno le hanno conferito « un esito clamoroso ». 11 vice secretano del partito, tuttavia va oltre le tesi puramente politiche del ministro per il Mezzogiorno ed investe un problema fondamentale per la sopravvivenza della democrazia, quello del rapporto tra il partito e la sua rappresentanza parlamentare, il gruppo. Galloni sostiene che bisogna capovolgere la tradizione stabilita nella de da don Sturzo. per il quale il partito stabiliva la linea politica e il gruppo l'attuava. Oggi che non esiste più maggioranza precostituita e la linea si decide in Parlamento, le due funzioni non possono restare più separate: « s'impone allora un'azione più collegata ed interdipendente » e soprattutto « un metodo di lavoro più coordinato ». Solo in questo modo si arriva alla sintesi delle spinte sociali presenti nel paese e alla mediazione tra società ed istituzioni, condizioni essenziali per conservare alla de l'egemonia e quindi arrivare al patto con i comunisti senza pericoli totalitari. Quanto sia largo il seguito che Galloni e De Mita hanno nel partito non è facile dire. Andreotti si è già dimostrato, praticamente, disponibile. Fanfani e Donat - Cattin sembrano orientati verso una strategia diversa, sebbene non sia chiaro se puntino seriamente al recupero dell'intesa con il psi o vagheggino inconfessati disegni di tipo gollista, alla maniera di Strauss; in questo senso, è probabile che sul loro atteggiamento eserciterà un'influenza determinante l'esito delle elezioni americane e soprattutto di quelle tedesche. Arcor più incerta e confusa appare la collocazione di ciò che resta della componente dorotea dopo la diaspora di Rumor: la sensazione è che Piccoli tenti l'aggancio con il cartello delle sinistre, magari favorendo il ritorno alla segreteria dell'on. Moro come il solo « leader » capace di assicurare, con la sua inesauribile vocazione di mediatore, l'unità del partito. Moro, però, è ancora disposto ad assumersi un ruolo del genere o non ha già scelto la linea Galloni-De Mila? Questo ci sembra l'interrogativo fondamentale per il futuro della de e del Paese, perché incontestabilmente lo statista pugliese ha tale statura politica e culturale da poter coagulare intorno a sé la maggioranza delle forze cattoliche. La stessa sua assenza dal convegno di St.Vincent, dove pure erano intervenuti morotei di sicura fede come il ministro Morlino, suggerisce l'idea di una candidatura >• super partes » alla successione di Zaccagnini. In quale direzione? La durezza dello scontro con De Martino in occasione della crisi di governo che ha portato allo scioglimento anticipato delle Camere fa sospettare che Moro consideri definitivamente chiuso, sotto qualunque forma o reincarnazione, l'incontro storico con i socialisti. E di storico, in tal caso, non resterebbe che il compromesso con Berlinguer. Antonio Ghirelli

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