Grande spettacolo sportivo e di entusiasmo popolare di Carlo Moriondo
Grande spettacolo sportivo e di entusiasmo popolare Il "Giro del Piemonte,, tra Valentino e collina Grande spettacolo sportivo e di entusiasmo popolare Le rampe di via Gatti erano il Tourmalet, la discesa della « strà dij mort », da San Vito a Ponte Isabella, era il tuffo giù dall'Iseran verso Saint Maurice. E la felicità aveva nome Moser, da vedere per dieci volte a distanza di dito, o Gìmondi da invocare, o Maertens da ammirare, ma non senza augurargli di essere sonoramente sconfitto dai nostri... Spettacolo di lusso, insomma, per il quale Torino aveva sfoggiato, come fa talvolta, una giornata da dépliant turistico, con una collina spruzzata dì giallo oro e le montagne biancheggianti sul fondo. Qualcuno temeva: questa specie di Giro del Piemonte miniaturizzato, come un baobab costretto in un vaso di fiori, richiamerà folla eccessiva ed indisciplinata, il Valentino, i prati, gli alberi, gli steccati delle ville soffriranno l'assalto dei patiti del ciclismo. La folla c'è stata, sì, ed in misura imponente, ma né il Parco né la collina, a quanto ci risulta, ne hanno sofferto. E' stata anche una eccellente prova di organizzazione e di disciplina, quindi. Chi aveva percorso in anticipo la stradetta che da San Vito porta al Po, aveva no¬ tato con apprensione le curve a gomito, le strettoie, la pendenza che ha fatto apporre all'inizio il cartello con la scritta « strada pericolosa ». E figuriamoci se questo non era un invito a nozze per gente abituata a piombare a valle sul filo degli ottanta all'ora. Non è successo nulla, la gente si è divertita e molti hanno riscoperto la collina e quindi ci torneranno, anche senza il richiamo degli assi delle due ruote. La partenza era alle 14,30, ma alle 13 c'era gente sui tornanti di viale Catone, viale Settimio Severo, viale Seneca (quanti nomi austeri, per questo ambiente di allegria): sull'erba si spalancano giornali, escono dai cesti polli freddi e bottiglie. Decine, centinaia di picnic, sotto il sole di settembre. I piccoli ricoverati del centro Don Gnocchi sono tutti sulla soglia dell'ingresso, con le suore. Sui muretti delle ville sono appollaiati ragazzi, ma anche signore anziane, liete di essere nella prima fila di poltrone. Si dà la scalata agli alberi: sui rami più alti, fotografi con enormi teleobiettivi (ma quanti patiti della fotografia a Torino!) studiano temerarie inquadrature. Ciclisti domenicali, in tuta e calzamaglia, arrancano alla ricerca del posto giusto per vedere come « cambia » Moser o se ce la fa ancora il vecchio, popolarissimo Zilioli. La folla, più dispersa lungo la parte collinare, si addensa in modo impressionante in città. In corso Massimo d'Azeglio, in corso Vittorio, in corso Fiume, a mano a mano che i giri si susseguono, si restringe il corridoio umano: alla fine non resterà che un budello largo a malapena tre metri, in cui, misteriosamente corridori e furgoni passano senza fare guai. Chissà quanti eravamo, in totale: certamente più di centomila. C'è stata gloria per tutti, anche per il vecchio Magni, che dal finestrino dell'auto ringraziava chi ancora gridava il suo nome, dopo tanto tempo; anche per gli ultimi arrivati, dai nomi ignoti per la maggior parte, che pure qualche supertifoso riusciva ad individuare da lontano, chissà come, forse dal modo di portare il berrettino o dal modo di stringere i denti, in una smorfia disperata, per non perdere altro terreno. Grande spettacolo su un meraviglioso palcoscenico; primadonna assoluta, la vecchia, buona bici: e non è necessario essere dei Pollentier per amarla ed usarla. Carlo Moriondo
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