Vestivamo all'americana

Vestivamo all'americana I JEANS E LA MODA DI MASSA Vestivamo all'americana — Senti, come ci si veste? La domanda era d'obbligo, alla vigilia di un invito. Invece adesso la signora ha aperto l'armadio, ha tolto dalla gruccia un vestito, lo ha indossato, si è guardata allo specchio, si è sfilata il vestito, ne ha indossati altri due, poi con un moto di stizza si è rimessa i jeans che aveva appena tolto. La tela ruvida da marinaio, detta « tela di Genova importata nel secolo scorso dai mercanti d'oltreoceano col nome abbreviato di Jean, avrà certo un suo posto nella storia del costume. Un nazionalista potrebbe anzi trarne motivo di vanto: che un'invenzione così fortunata abbia, al pari del telefono o della radio, origini italiche. Santi, navigatori, poeti ma anche distratti: inventiamo senza poi sfruttare, in attesa che uno straniero immancabile perfezioni la scoperta. Nel caso dei jeans lo straniero si chiama Levi, ebreo commerciante di tessuti nel vecchio West. E' lui, dice la leggenda, che introduce come stoffa per abiti la « tela di Genova » usata fino allora per sacchi, tende e imballaggi. Possiamo immaginarlo, anzi, il primo cow-boy che esce trionfante coi suoi pantaloni azzurri dal negozio del signor Levi, cioè con un sorriso trionfante come ce lo propongono oggi i manifesti pubblicitari. E sono sicuro che si tratta di un « smilzo », piuttosto spilungone e ossuto, perché le taglie da allora non sono cambiate. E se non siete smilzi, ancora adesso nei jeans non riuscite ad entrare. Volevo fare la breve storia di questi pantaloni di fatica (divulgati nell'ultima guerra mondiale dalle portaerei americane e poi dalle bancarelle di Napoli) ma siamo arrivati senza volerlo alla domanda centrale: perché tanta fortuna per un paio di calzoni? Perché persino gli studenti moscoviti si ingegnano di contraffarli? La risposta credo che sia: perché jeans è uguale a gioventù, perché significa essere ancora magri ed agili, cioè averc un fisico da cow-boy, modello estetico imposto dal cinema in tutto il mondo. Vestire all'americana ha superato ogni barriera ideologica. Ne possono fare a meno i cinesi, i quali hanno Io stesso corrispettivo nella tuta celeste, ma per tutti gli altri l'indumento d'obbligo sono, appunto, questi maledetti jeans. Per quel che mi riguarda detesto da diversi anni questi pantaloni, e con impazienza ad ogni stagione ne aspetto la line. Ma il tramonto dei jeans non si vede. La moda di massa, cioè il conformismo, li ha ormai imposti come abito da cerimonia oltreché da barricata. Ho visto signore nei palchi della Scala con il visone portato con noncuranza sopra i jeans. I fascistelli in motocicletta indossano jeans esattamente come i loro nemici di sinistra. Jeans a scuola, jeans negli uffici, jeans (un po' meno) nelle fabbriche, jeans in casa come pantaloni di riposo, appena tolti i jeans da libera uscita. Soltanto i contadini (che dovrebbero esserne i fruitori naturali) li disdegnano. Che i jeans siano di tessuto resistente e non vadano mai stirati (solo gli studenti missini ripassano la piega col ferro da stiro) è solo un pretesto. La verità è che portare i jeans (anche quando la pancia, passati i quaranta, deborda dalla cintola) significa io sono con voi, cioè sono giovane (s'intende, di dentro) e sono furbo menefreghista scanzonato unisex aggiornato e tutto il resto. Come difendersi da questa epidemia? Il portatore di jeans è contagiosissimo. Il regista ha contagiato l'elettricista, l'attrice la casalinga. E' ormai prossima un'inaugurazione dell'anno giudiziario con severi magistrati in « tela di Genova ». I sarti ne hanno fatte di tutti i colori: casacche, impermeabili, giubbe, borsellini, cappelli, cinture, costumi da bagno, tailleur, stivali di jeans, e forse un giorno qualcuno penserà di usare questo tessuto per imballaggi, restituendolo così al suo uso primitivo e chiudendo il cerchio. Montagne di jeans straripano dai banchi nei mercatini di paese, nelle boutiques di città, negli angiporti che per primi li ospitarono. La targa sul sedere è d'obbligo, come per le automobili. Tu li arrotoli? Benissimo, e io li straccio, li sfrangio, li chiodo. Uguali sì, ma solo in apparenza. La gara è a chi li ha più stretti. Famiglie intere ogni mattina si vestono trattenendo il fiato e tirando con forza la lampo. E non è detto che l'intrinseca difficoltà ai rapporti sessuali (questa zip da brandire a due mani!) non sia sotto sotto incoraggiata dai governi di tutto il mondo, repressivi in materia. Nelle tavole vestimentarie di un futuro Racinet l'uomo la donna il vecchio e il bambino sarà raffigurato (nella tavola a colori « seconda metà del XX secolo») con un completo di jeans. E qualcuno intitolerà le sue memorie: « Vestivamo all'americana ». Il sociologo non ci dice quando il fenomeno declinerà. La moda povera, dicono gli esperti, si combina perfettamente con la recessione economica. E ignorano che un jeans di buon taglio costa come un capo di sartoria. Basta, vado a dormire. Ma prima mi tolgo i jeans. Carlo Castellartela

Persone citate: Carlo Castellartela, Di Massa

Luoghi citati: Genova, Napoli