Moneta europea? Inutile senza l'unità economica di Guido Carli

Moneta europea? Inutile senza l'unità economica STAMPA SERA del lunedi Moneta europea? Inutile senza l'unità economica « La formazione dell'unione monetaria — ha scritto molto giustamente Guido Carli nella prefazione al volume di Giovanni Magnifico, "Una moneta per l'Europa", recentemente edito da Laterza —, costituirà probabilmente il tema dominante del processo di unificazione europea durante gli Anni 70 e 80, così come l'attuazione del trattato di Roma, per la parte relativa all'unione doganale e alla politica agricola comune, e stata la principale realizzazione degli Anni 60 ». Lo stesso Carli osserva, però, a ragione, subito dopo, che un assetto monetario non è separabile né isolabile, se deve significare qualcosa di realmente valido e vitale, rispetto al più generale processo economico, per cui, « se non si elaboreranno — come egli dice — e attueranno politiche economiche comunitarie, che tengano conto delle esigenze di tutte le parti interessate, l'assetto monetario che ci si prefigge di creare si rivelerà un edificio troppo fragile ». Sono trascorsi in effetti ormai quasi sette anni da quando nel dicembre 1969 i capi di Stato e di governo della Comunità economica europea presero all'Aia la decisione di avviare una unificazione monetaria della Comunità stessa. Dietro la decisione vi era la constatazione sempre più evidente che le intese monetarie di portata mondiale raggiunte a Bretton Woods una trentina di anni prima, e rimaste poi a base degli scambi internazionali, non reggevano più nelle nuove condizioni dell'economia e della finanza mondiale. In Europa si reagì alla crisi del sistema di Bretton Woods col « tentativo di fare della Comunità un arcipelago di stabilità, nel quale i Paesi membri potessero meglio ripararsi dal dilagante disordine monetario internazionale »; e, nello stesso tempo, col tentativo di avviare « la ricostruzione di un sistema a livello mondiale, basato questa volta sull'organizzazione di una pluralità di aree monetarie ». Magnifico ha perciò buon gioco nel rilevare l'intrinseca debolezza di questi tentativi, che si concretavano nello sforzo di mantenere parità di cambio fisse tra le monete comunitarie proprio mentre il principio stesso delle parità fisse a livello mondiale veniva meno. Ma, lungi dal deprimere in Magnifico la fiducia nella convenienza dell'istituzione di un sistema monetario europeo unitario, questi avvenimenti lo spingono a ritenerla oggi ancor più reale di ieri. Il rilievo del problema della disponibilità di materie prime, in particolare di quelle necessarie per la produzione di energia, negli ultimi anni, non lo trattiene, ad esempio, dal respingere la lesi che « i benefici derivanti dalla intensificazione dei traffici coi Paesi produttori primari, ossia con Paesi a struttura economica complementare, superino quelli che l'integrazione fra Paesi industriali, ossia tra economie competitive, è ancora in grado di offrire ». Nonostante tutti gli aspetti in contrario presentati dal problema di un sottosviluppo largamente esteso nel mondo, restano, cioè, in piedi le buone ragioni « del modello di sviluppo tipico di questo dopoguerra, allorché l'espansione cumulativa degli scambi di prodotti manifalturati tra Paesi industriali ha avuto la parte di gr*n lunga più importante nella spettacolare espansione del commercio mondiale ». Semmai, nota giustamente Magnifico, si deve notare che, « nonostante il forte sviluppo degli scambi all'interno della Comunità europea, l'interpenetrazione commerciale è ben lontana dai livelli che essa ha raggiunto nel sistema di regioni di cui i mercati nazionali si compongono». Aumento degli scambi all'interno della Comunità, completamento dell'unione doganale e sistema valutario comune sono perciò facce di un problema che in realtà è unico. La libera fluttuazione dei cambi tra Paesi ad economia integrata è un rischio che, del resto, non ci si può permettere di correre anche da un altro punto di vista. Nella lotta all'inflazione prima e alla recessione poi, l'Europa ha potuto trovare in questi ultimi anni una coincidenza di obiettivi con gli Stati Uniti, anche dopo che la crisi degli accordi di Bretton Woods si era manifestata appieno. Ma, nota Magnifico, superata la fase recente di coincidenza tornerà a porsi il problema di una salvaguardia degli interessi europei rispetto a quelli americani. F ciò significa che « l'Europa potrà ritrovare la sovranità monetaria che le consenta di proteggere l'unione doganale da sussulti di origine interna ed esterna e di perseguire una politica monetaria consona agli obiettivi comuni, che essa dovrà di volta in volta prefissarsi in quanto evolva verso una unione economica, solo se saprà organizzarsi in un'area monetaria, ossia acquistare una dimensione comparabile a quella degli Stati Uniti ». Se si conviene, come sembra logico, su queste premesse, ne deriva un'altra conseguenza. « La politica monetaria — fa osservare Magnifico — è parte essenziale della politica economica generale dei governi, i quali in questo dopoguerra hanno generalmente riconosciuto e accettato una speciale responsabilità per i problemi dell'occupazione e dello sviluppo equilibrato. L'unione monetaria quindi non può essere conseguita in astratto, come fine a se stessa, ma deve essere considerata come parte dell'unione economica e, non diversamente dai singoli governi, la Comunità dovrà riconoscere una sua responsabilità per i problemi dell'occupazione e dello sviluppo ». Magnifico non si nasconde i problemi che l'integrazione economica europea ha già presentato e che presenterebbe tanto più se fosse spinta a fondo per « Paesi, tra cui l'Italia, che sono gravati da problemi storici di squilibri regionali. Poiché le loro regioni meno favorite si troveranno in posizione ancor più periferica rispetto al circolo di più intensa agglomerazione dell'attività economica della Comunità, per quei Paesi peseranno maggiormente i vincoli imposti dal processo di unificazione ». Potremmo avere, cioè, per quanto ci riguarda, un Mezzogiorno ancor più « meridionalizzato » (per così dire) di quel che non è oggi. Ma — ed ecco il punto sottolineato da Magnifico — una moneta europea, entrando « gradualmente in circolazione a fianco delle esistenti monete nazionali, consentirebbe di utilizzare i profitti di signoraggio per il finanziamento di una politica europea di crescita economica, differenziata secondo i bisogni dei maggiori raggruppamenti regionali ». Magnifico pensa perciò, in maniera tanto audace quanto interessante, all'introduzione di un'imposta della Comunità, resa via via sovrana anche dal punto di vista fiscale, su quella particolare rendila di posizione che per le imprese deriva dal trovarsi in regioni ad alta concentrazione di iniziative economiche e di capitali. Ripetiamo che la proposta di Magnifico è indubbiamente audace. Ma, come egli in ultimo fa rilevare, « se armonizzazione non significa che tutto debba essere uniformato, essa pone tuttavia limiti all'autonomia delle scelle nazionali ». « E' la contropartita richiesta da una soluzione che offra ai Paesi europei prospettive di sopravvivenza sovrana ». Di questo, infatti, nella sostanza e in ultima analisi, si Iratta, e non di altro. Giuseppe Galasso

Persone citate: Carli, Giuseppe Galasso, Woods

Luoghi citati: Bretton, Europa, Italia, Roma, Stati Uniti