I rischi della cautela

I rischi della cautela PCI I rischi della cautela Pochi giorni fa, un grande giornale del Nord pubblicava una fotografia quasi storica: il sindaco comunista di Torino, Diego Novelli, a colloquio col papa. Membro di diritto del centro internazionale di perfezionamento professionale e tecnico, Novelli era stato ricevuto in Vaticano con gli altri esponenti dell'organizzazione, battendo sul tempo il suo collega romano Argan; e veniva effigiato nell'atto di contemplare con un sorriso tra cortese e cauto, diciamo riservato, il Santo Padre che benignamente gli porgeva le mani, presumibilmente per accompagnare un indirizzo di saluto. L'avvenimento non può essere paragonato all'incontro tra Giovanni XXIII ed Agiubei, il genero di Kruscev, ma un suo sapore ce l'ha. Diciamo anche che è una delle poche soddisfazioni che i dirigenti comunisti si siano prese in questo scorcio di una stagione politica che per essi sembra densa, viceversa, di preoccupazioni e di battaglie. Già su Stampa Sera del giorno 8, del resto, avevamo espresso la convinzione che non tanto Andreotti e la democrazia cristiana fossero nell'occhio del ciclone, quanto, per l'appunto, il partito comunista, pur vittorioso nelle elezioni del 20 giugno, dilagante nelle amministrazioni locali, e determinante nell'indiretto sostegno al monocolore andreottiano. I fatti che sono seguiti e che si succedono giorno per giorno, a parte l'incontro vaticano di Novelli, hanno l'aria di darci sempre più ragione: tra vicende internazionali ed impegni italiani, queste sono settimane che non fanno dormire l'onorevole Berlinguer ed i suoi collaboratori. Si badi che dalle nostre osservazioni esula ogni malanimo, perché ci rendiamo conto, e vorremmo che i cortesi lettori ricordassero, che le difficoltà a cui vanno incontro attualmente i dirigenti delle Botteghe Oscure non dipendono dalla loro perfidia, ma al contrario dal loro senso di responsabilità, dalla prudenza, dalla consapevolezza della grave situazione in cui versa il Paese, anche se è lecito sospettare che almeno in parte questa prudenza sia eccessiva e che non vada disgiunta comunque da un finissimo disegno tattico, che esige naturalmente un prezzo, e non esiguo. Cominciamo dal settore internazionale. La morte di Mao ha messo duramente alla prova lo spirito di indipendenza dei partiti eurocomunisti, non tanto perché essi abbiano esitato a prendere le distanze anche in questa congiuntura dall'Unione Sovietica, perché invece lo hanno fatto in modo netto, quanto per la sprezzante reazione del partito cinese di fronte agli omaggi e ai riconoscimenti tributati al leader defunto. Le punzecchiature dell'estrema sinistra, le rivelazioni di compagni dissidenti come l'on. Natoli, o come Jacoviello, si sono aggiunte ad innervosire ulteriormente 10 stato maggiore comunista, che riteneva di non avere nulla da rimproverarsi nei confronti di Pechino per il solo fatto di aver sempre rifiutato ogni tipo di scomunica nei confronti del maoismo. In realtà, la sostanza del contrasto sta altrove. Pechino non rimprovera ai partiti eurocomunisti la dipendenza da Mosca, ma il loro «revisionismo». Il discorso è sostanzialmente di tipo ideologico. Togliatti e i suoi successori hanno sempre evitato di approfondirlo, sia in rapporto all'analisi dello stalinismo, sia in relazione allo scisma cinese, in nome del «policentrismo» e dell'autonomia dei singoli partiti; ma Pechino chiede qualcosa di più: chiede un giudizio franco, una presa di posizione coerente sul terreno del marxismo-leninismo, non solo contro l'involuzione burocratica del pcus ma anche contro ogni tipo di «opportunismo», cioè di compromesso con la democrazia borghese. Siete ancora o non siete più rivoluzionari? Ecco la domanda, 11 tremendo quiz cinese, al quale il pei non può rispondere apertamente per non compromettere la sua strategia nazionale. A ben vedere, il problema si ripropone in termini identici sul piano interno. Berlinguer è stretto fra l'esigenza sollecitata da vasti strati popolari di una radicale trasformazione del sistema e il suo progetto di intesa «storica» con la democrazia cristiana, o almeno con una parte di essa, che quella trasformazione non intende accettare. Che il compromesso nasca da necessità obiettive, interne ed internazionali, dal ricordo del '22, dall'incubo della «prospettiva greca» o della tragedia cilena, conta fino ad un certo punto di fronte alle impazienze della base e alle provocazioni degli avversari. Il grave problema viene ripro- Antonici Ghirelli (Continua a pagina 2 in quinta colonna)

Luoghi citati: Mosca, Pechino, Torino, Unione Sovietica