Carter ha scelto i "tecnici" di Fabio Galvano
Carter ha scelto i "tecnici"Chi sono gli uomini che il georgiano vuole a Washington Carter ha scelto i "tecnici" Carter è un'equipe. E' suo il sorriso, è suo il ricciolo « alla Kennedy », sono suoi anche l'entusiasmo e la speranza che ha saputo infondere nell'elettorato americano che lo sostiene: ma alle sue spalle c'è, da quattro anni, da quando cioè diede il via alla sua corsa per la Casa Bianca, un gruppo di esperti che lo hanno guidato, soprattutto negli ultimi mesi, attraverso l'insidioso labirinto di un mondo politico al quale l'ex governatore della Georgia non era familiare. Per lanciare la sua sfida a Washington — è questo uno dei temi di maggior successo della sua campagna — Carter ha dovuto valersi di esperti che dessero alla sua politica interna ed estera un'impronta caratteristica. Che ci sia riuscito è talora parso dubbio persino ad alcuni dei suoi più accesi ammiratori: sta di fatto, comunque, che a meno di due mesi dalle elezioni presidenziali del 2 novembre la linea politica plasmata dalle « eminenze grigie » dì Carter è sempre piti distinta da quella di Ford e della sua amministrazione. Il peso di quella équipe si sta facendo sempre più manifesto, con l'avvicinarsi della data decisiva: dai nomi dei suoi componenti è anche possibile tratteggiare un quadro del governo che Carter formerà dopo l'ingresso alla Casa Bianca, eventualità che dal mondo delle speranze e dei sogni sta entrando, in base ai risultati dei più recenti sondaggi demoscopici, in quello della realtà. La profonda avversione dì Carter per il segretario di Stato Kissinger si dovrebbe tradurre con la nomina a quella carica di Zbigniew Brzezin- ski, professore di legge all'università di Columbia e direttore dell'istituto di ricerca per gli affari comunisti in quell'ateneo. Brzezinski è l'anima della politica estera carteriana, l'uomo che ha enunciato per bocca del candidato democratico alla Casa Bianca la tesi della « riapertura » agli amici tradizionali degli Stati Uniti, vale a dire Europa e Giappone, rinunciando al compromesso del « nessun amico permanente e nessun nemico permanente » che ha caratterizzato la politica estera di Nixon e ora di Ford. Un atteggiamento più fermo nei confronti dell'Unione Sovietica, che secondo Carter ha finora tratto i maggiori vantaggi dal processo di distensione fra le due superpotenze, oltre alla riduzione delle spese militari, sono altri punti fermi. Per formularla, l'ex governatore della Georgia si è valso, oltre che del contributo di Brzezinski, di validi consiglieri. Sulle loro enunciazioni, già in stile di segretario di Stato, Brzezinski si è riservato fin dall'inizio una specie di potere di veto. Essi sono i professori Richard Cooper di Yale, Richard Gardner di Columbia, Henry Owen della Brookings Institution, l'ambasciatore Averell Harriman, l'ex vice ministro della difesa Cyrus Vance (candidato a quel dicastero in un governo Carter), l'ex sottosegretario di Stato George Ball, e altri due professori di Harvard, Milton Katz e Abram Chaise. La coorte di legionari scelti tra i « cervelli » d'America ha assistito Carter mese dopo mese. I problemi economici sono nelle mani di Lawrence Klein, professore all'universi¬ tà di Pennsylvania: quelli della pubblica istruzione sono nelle mani dì Clark Kerr, ex rettore dell'università di California, e dell'ex ministro Wilbur Cohen; quelli dell'urbanistica sono affidati a Julius Edelstein, del City College di New York, e a Ted Sorensen, vecchio e fedele collaboratore dei Kennedy; i trasporti sono affidati a Alan Boyd, già titolare di quel dicastero sotto l'amministrazione del presidente Johnson; la politica dei servizi sociali, che nel manifesto di Carter assume una parte preminente, è stata plasmata dall'ex direttore dell'assistenza sociale Robert Ball, mentre dei problemi della giustizia si occupa Henry Ruth, uno dei pubblici accusatori del caso Watergate. Questi nomi dovrebbero tutti figurare nella lista dei ministri e dei sottosegretari che Carter intende nominare dopo la vittoria; si ha l'impressione di scelte rigidamente « tecniche », che poco lasciano al gioco di partito e meno ancora a quello di corrente, un gioco che Carter ha così abilmente frenato lungo la sua opera di ricostruzione dell'unità dì partito, un'unità che va ben oltre le espressioni formali tanto care al mondo della politica. Nel suo impegno di « moralizzare » la cosa pubblica, Carter ha cominciato con il dare un buon esempio nella fase della campagna elettorale. Gli avrebbe fatto comodo soddisfare questa o quell'ala di partito introducendo nelle proprie schiere nomi con peso politico ed elettorale; non lo ha fatto per essere coerente con la sua linea programmatica, Fabio Galvano
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