Nasce la tv "italiana,, di Malta

Nasce la tv "italiana,, di Malta OPERAZIONE RIZZOLI: FARA TREMARE IL MONOPOLIO? Nasce la tv "italiana,, di Malta Un accordo con Dom Mintoli - Entro un anno i programmi forse potranno essere ricevuti in tutta la penisola (Dal nostro inviato speciale) Malta, 5 settembre. Uno scarno telegiornale, uno show comprato chissà dove, un film di second'ordine: sembra la programmazione raffazzonata e polverosa di una delle piccole stazioni televisive locali, fiorite in questi ultimi tempi in Italia. Tutto qui? viene spontaneo chiedersi dopo essere volati fino a Malta per scoprire la realtà della tanto declamata operazione televisiva dell'editore Rizzoli. Ma mai come in questo caso le apparenze ingannano: la modesta stazione quasi anonima (si chiama Radio Televisione Indipendente) che oggi trasmette il suo più che modesto programmino di tre ore, è l'avamposto di un attacco colossale che Rizzoli sta per sferrare al monopolio della Rai-tv. Le tappe dell'escalation son già rigidamente fissate. Se adesso soltanto le coste sudorientali della Sicilia ricevono le immagini irradiate da Malta, entro dicembre queste potranno essere captate in Italia Meridionale e nel giro di un anno arriveranno in quasi tutto il territorio della Penisola. Il «disturbo» arrecato dalla Svizzera, da Capodistria, da Montecarlo, impallidirà al confronto, perché la televisione di Rizzoli sarà — e non è un gioco di parole — la prima tv estera «tutta italiana». Grazie al supporto finanziario e tecnico dell'impero editoriale più grande — anche se più indebitato — d'Italia, non le sarà certo difficile raggiungere in fretta lo scopo. La fase operativa è già iniziata su tutti i fronti. A La Valletta si sta scegliendo il terreno su cui costruire l'edificio che ospiterà la sede della stazione emittente: «Sarà un grande palazzo», dice con un sorriso d'orgoglio Joe Avellino, 42 anni, presidente (maltese) della società televisiva di Rizzoli. Grande come quello della vera televisione di Malta? «Noo, ... no ... molto, molto più grande». L'idea di Rizzoli ha la straordinaria ovvietà del fatidico uovo di Colombo. Se, difatti, le televisioni indipendenti che operano in Italia sono state vincolate — anche nell'ultima, favorevole sentenza della Corte Costituzionale — ad un ambito esclusivamente locale, le televisioni straniere hanno da tempo avuto via libera nel nostro Paese, dopo la gaffe del mini¬ sbcsdssag stro Togni, che pretendeva di bloccarle col metodo borbonico dello smantellamento dei ripetitori. Nei seimila anni della sua storia, questa piccola isola del Mediterraneo ha conosciuto ogni sorta di «conquistatori», dai primitivi siciliani costruttori di strani templi, ai fenici e ai romani, dagli arabi ai normanni, dagli inglesi alle truppe della Nato. Ma pochi di essi — c'è da giurarlo — sono stati ben accolti come i due uomini della Rizzoli, Bruno Tassandin e Edoardo Pierozzi, che alcuni mesi fa sono venuti dal primo ministro Dom Mintoff a recargli la buona novella delle propizie intenzioni del loro editore. Pensate: tramite la Siee (una sua finanziaria con sede al Lussemburgo) Rizzoli si è impegnato a investire a Malta due miliardi nei prossimi due anni; non solo: ha costituito a sue spese una società (Tivù Malta) lasciando metà delle azioni al governo maltese, con il quale dividerà i profitti pubblicitari — enormi, si immagina — che saranno rastrellati sul mercato italiano. Porterà soldi Dom Mintoff non poteva aspettarsi nulla di più favorevole: non ha sborsato una lira, e si ritroverà in casa una cospicua sorgente di miliardi. E di soldi, Malta è oggi particolarmente assetata, dopo aver «sloggiato» le truppe della Nato, che gli rendevano quaranta miliardi all'anno, un quarto del suo bilancio. La televisione di Rizzoli potrebbe aiutare l'isola — indipendente i j dal 1964, trecentomila abitanti, reddito pro-capite inferiore al milione di lire — in questa sua affaticata rincorsa del benessere: farla conoscere agli industriali italiani sempre più smaniosi di investire all'estero (piangendo miseria in Italia), convogliarvi quel turii smo di massa che l'ingomj brante presenza militare ha finora tenuto lontano. Tra pochi giorni, il 17 e 18 settembre, si svolgeranno le elezioni generali: anche se l'esito è tradizionalmente incerto (nell'ultima votazione, il partito laborista di Mintoff ebbe un solo candidato in più del partito nazionalista), si può già essere sicuri che non si smorzerà l'abbraccio consumistico-capitalistico cui l'ex colonia inglese sembra essersi votata. Sonni tranquilli, dunque, per il clan Rizzoli. Quasi a simboleggiare l'unione perfetta, in attesa del «grande palazzo», la sua televisione è ospitata, tra mille premure, dalla televisione dell'isola, che si chiama Xandir Malta e appartiene al governo. Giorgio Rossi, il giornalista del Corriere della Sera che è venuto a organizzare il telegiornale (ma ufficialmente è in ferie) ha a disposizione uno studio e un piccolo staff di tecnici per mandare in onda ogni sera, alle 7,30, il suo programma di notizie. Tra una quindicina di giorni tornerà a Milano, lasciando, per il momento, un piccolo drappello di giornalisti maltesi bilingue. Anche in questo settore — è ovvio — si preparano però parecchie sorprese: tutti fanno il nome di Fabiano Fabiani (il grande escluso della lot¬ a a o . è ò ¬ tizzazione Rai) per il posto di direttore, ma — dice Rossi — «si è accesa una vera e propria gara anche per gli altri posti: non pochi giornalisti dell'ente televisivo italiano ci hanno chiesto di venire a lavorare per noi». Il mistero più inestricabile resta quello relativo al sistema con cui Rizzoli riuscirà a distribuire i suoi programmi in Italia. A livello di tecnologia tradizionale, i casi sono due: o Rizzoli, fiero dei suoi debiti, ha pensato di accenderne ancora per qualche decina di miliardi costruendo egli stesso i due-trecento ripetitori necessari alla diffusione in tutta Italia, oppure confida di produrre programmi talmente graditi da invogliare — come è successo con la Svizzera, Montecarlo e Capodistria — i negozianti di televisori, in ogni città, a installare piccoli ripetitori privati. La terza soluzione è quella cui si è accennato, ed è la più accreditata dalle voci, anche se la più fantasiosa: Rizzoli vorrebbe — come sta già facendo lo Scià di Persia, con il supporto di studio della californiana Standford University — piazzare un piccolo satellite, suo o in comproprietà, per convogliare direttamente i programmi in Italia. Ma se davvero egli pensa a questa possibilità, va incontro a una serie di ostacoli giuridici di natura internazionale, perché le trasmissioni dirette via satellite da un Paese all'altro — propugnate oggi solo dagli Stati Uniti, paladini della dottrina del free flou) of Information nell'apposito gruppo di lavoro delle Nazioni Unite i — possono essere rifiutate o a a i a n , e o dallo Stato verso cui sono dirette: in questo caso l'Italia. «Ma no, che diavolo andate a pensare — mi diceva l'altro giorno a Milano un tecnico televisivo, l'ingegner Gianfranco Lovisolo —. Rizzoli probabilmente farà, in grande, quello che già sta facendo in piccolo Montanelli. Non crederete mica che lo staff del "Giornale" vada ogni giorno a Montecarlo per i suoi cinque minuti di commentini? Trasmettono direttamente qui da Milano, dal grattacielo. E' un trucco tecnico giuridico che funziona, perché le immagini non portano mica scritto da dove vengono: ufficialmente, per tutti, esse vengono da Montecarlo: anche la tv di Rizzoli arriverà da Malta, ma in realtà la maggior parte dei programmi giornalistici sarà realizzata, prodotta e irradiata in Italia». No comment Impossibile, ovviamente, sapere qualcosa a questo proposito dagli uomini della Rizzoli: il no comment è di regola. I maltesi, addirittura, negano e sostengono che tutto, rigorosamente, partirà di qui: «Finora noi abbiamo ricevuto i vostri due programmi — dice con un sorriso Joe Avellino —, ora ne riceverete voi uno nostro. Non è forse giusto?». E per sviare il discorso, parla della «rivoluzione» prodotta dalla tv italiana nell'isola, a partire dall'inizio degli Anni 60, per cui la gente parla più italiano che inglese, veste più all'italiana che all'inglese. I segni di quella «rivoluzione» si vedono anche sulle case dell'isola: dalle baracche del porto agli austeri palazzi settecenteschi della Kingsway, non vi è tetto che non abbia almeno una decina delle lunghissime antenne — ventun metri — necessarie per captare i programmi italiani. Ora vi prenderete la vostra vendetta?, chiedo per scherzo a Joe Avellino. E lui, per scherzo, dice di sì. Ma sa perfettamente che in tutto questo grosso «affaire» di miliardi, legati (si fa per dire) alla libertà di espressione, Malta non ha una parte da protagonista. L'vnica, vera vendetta, potrebbe prendersela, se imponesse a Rizzoli di trasmettere in lingua maltese: che è un dialetto punico, con influenze arabe, elementi normanno-siculi e italiani, locuzioni spagnole, idiomi inglesi. Carlo Sartori