Mandelli: "Produrre di più e non ridurre i consumi,, di Walter Mandelli

Mandelli: "Produrre di più e non ridurre i consumi,, CHE FARE PER L'ECONOMIA Mandelli: "Produrre di più e non ridurre i consumi,, « Stampa Sera » ha aperto un spettive e, soprattutto, sulle strade re dalla crisi e non rendere effimeri che si sono manifestati negli ultimi ogni lunedì, mercoledì e venerdì striali, rappresentanti sindacali ed tori. Oggi ospitiamo il parere del dermeccanica, Walter Mandelli. dibattito sulle proda battere per uscii sintomi di ripresa mesi. Intervengono, , economisti, indùesperti dei vari setpresidente della Fe- « Austerità sì, austerità no », «programma a medio termine», « nuovo modello di sviluppo»; bastassero le formule, la crisi economica del Paese sarebbe già superata da tempo. In realtà la ricerca ostinata di sempre nuove formule non è altro che il mezzo per tentare di superare le difficoltà eludendo la questione di fondo; il fatto, cioè, che oggi in Italia si lavora poco e male. Circa la ineluttabilità dei sacrifici che ci attendono tutti sono d'accordo; quando però si tratta di individuare concretamente in che cosa il sacrificio debba consistere, allora si preferisce porre l'accento su misure restrittive di tipo salariale o fiscale, piuttosto che sul ripristino di condizioni di lavoro analoghe a quelle esistenti nei paesi nostri concorrenti, benché sia certamentL più popolare proporre sacrifici sul piano della riduzione dei consumi individuali che non su quello di un maggiore impegno lavorativo. Eppure ogni ipotesi di ripresa produttiva passa necessariamente attraverso questo tipo di sacrificio: infatti, a ben considerare, tutti gli altri segni allarmanti che riscontriamo nella nostra economia (inflazione, disoccupazione, ecc.) non sono che la conseguenza del fatto che in Italia le opportunità di assentarsi dal lavoro — si chiamino esse ferie, ponti, festività, assenteismo, congedi di vario tipo — sono mediamente più elevate che altrove. Lavorare di più: che in Italia gli orari effettivi dell'industria siano di circa 200 ore inferiori alla media europea, è stato ripetuto sino alla nausea. Il problema però non riguarda soltanto il settore industriale, perché è ancor più grave nel settore pubblico: lì, infatti, le opportunità di assenza sopra denunciate si sommano ad un orario normale di lavoro già di per sé inferiore a quello dell'industria. La proposta del 6x6 (sei ore di lavoro per sei giorni la settimana), sulla quale all'inizio dell'estate si è rinfocolata la polemica, non è nuova, ma già da tempo operante nel settore dell'impiego statale; ed i risultati che essa ha dato sono la migliore riprova di come questa non sia una strada percorribile. Lavorare di più, nel caso del settore pubblico, significa sveltire i tempi di attuazione dei provvedimenti e di definizione delle pratiche contribuendo anche per questa via a rallentare l'inflazione. Quante volte abbiamo lamentato e sentito lamentare l'enorme lasso di tempo intercorrente fra stanziamento e spesa effettiva; eppure anche in questo caso la soluzione viene ricercata sul piano delle formule, evocando costantemente il mito della « riforma burocratica » e dimenticando che molto spesso, alla origine dei ritardi, vi è una prassi amministrativa che rimanda a domani quello che può evitare di fare oggi. Naturalmente, il solo fatto di lavorare di più non è sufficiente, perché l'attivismo fine a se stesso normalmente crea più problemi di quelli che pretende di risolvere. Occorre anche lavorare meglio; il che significa poter adattare l'impiego delle risorse umane alle esigenze di volta in volta mutevoli. La mancanza di mobilità che deriva da un tipo di legislazione eccessivamente garantista è forse il malanno numero uno di cui soffre l'industria; non potendo infatti adeguare gli organici aziendali alle necessità produttive, capita normalmente che in periodo di alta congiuntura si produca al di sotto della domanda, mentre in periodo di bassa congiuntura l'offerta ecceda le possibilità di assorbimento rfdnvercato. Nell'uno come nell'altro caso si verifica perciò uno sperpero di risorse. Anche in questo caso, la mancanza di mobilità determina gravi conseguenze non soltanto nell'industria, ma ancor più nel settore del pubblico impiego. La polemica sulla soppressione degli enti inutili, sulla necessità di un diverso e più razionale impiego del personale dipendente, è ormai talmente annosa da essere diventata clausola rituale di ogni dichiarazione politica di un certo impegno. In concreto, però, la istituzione delle Regioni, che poteva segnare l'inizio di un processo di razionalizzazione del sistema, si è tradotta in un duplicato di competenze, e quindi di uffici, e quindi di spesa, in tal modo accentuando il processo di trasferimento delle risorse dal settore produttivo a quei settori che produttivi non sono. Ma nessun sistema può reggere al continuo trasferimento della ricchezza da coloro che la producono a coloro che la consumano; tanto meno può reggere, poi, se coloro stessi che la producono sono organizzati in modo tale da produrne sempre di meno. Forse all'origine del pudore nell'affrontare questi temi vi è la convinzione che la bassa produttività individuale favori¬ sca l'incremento dell'occupazione. Il discorso di ritagliare le fette della torta secondo il numero dei commensali poteva anche andare bene in una società di tipo preindustriale, nella quale i bisogni individuali e collettivi erano sensibilmente ridotti, mentre non è assolutamente proponibile in una società industrializzata, se non altro per il condizionamento che a questa deriva dall'esistenza di altri sistemi industriali concorrenti. In questo caso la difesa dell'occupazione passa necessariamente attraverso l'espansione della base produttiva; ma questa non si verifica se vengono ignorate le condizioni in cui si opera negli altri Paesi e non si cerca di riprodurle anche in Italia. La settimana lavorativa di 40 ore è stata indubbiamente una conquista di civiltà, e non è escluso che la prossima conquista sia quella di un orario ancora inferiore. La strada maestra per uscire dalla crisi non è quindi quella di ridurre i consumi riducendo il tenore di vita dei cittadini: viceversa è quella di produrre di più, per vendere di più all'estero e poter comprare le materie prime che non abbiamo. Walter Mandelli

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